Ecco cos'era quella strana sensazione di vuoto che ha assalito i pochi reggini partiti per qualche giorno di ferie e rientrati in città dopo Ferragosto. Girando per le strade si sono resi immediatamente conto che qualcosa di strano era accaduto durante la loro assenza: in tanti mancavano all'appello, ma non ne conoscevano il motivo. Esausti del tran tran quotidiano avevano deciso, durante il periodo di vacanza, di non consultare compulsivamente tablet e smartphone: il modo migliore per non essere investiti dal consueto flusso di notizie, dunque, nulla sapevano, neanche per sommi capi, di cosa fosse successo di tanto epocale. Enorme è stato lo stupore quando sono venuti a conoscenza che coloro che mancavano all'appello, nella fattispecie boss e capibastone della 'ndrangheta, se l'erano data a gambe. Con il terrore negli occhi sono scappati nottetempo perché sì, potevano sfuggire alle retate delle forze dell'ordine, ma certo niente avrebbero potuto di fronte alla mossa del cavallo decisa con un improvviso lampo di genio dal sindaco Giuseppe Falcomatà: piazzare, da qui ad un paio di settimane, lungo le strade della città cartelli anti 'ndrangheta. Mai avrebbero potuto resistere alla forza devastante di frasi dirompenti come "Comune vietato alla 'ndrangheta" o, addirittura, venendo meno ai precetti dell'accoglienza tipicamente meridionale, l'ardita asserzione: "Qui le cosche mafiose non sono benvenute". Pagato il giusto pegno al gusto del'ironia, siamo consapevoli che questa scelta ci costerà l'accusa di essere facili prede di "demagogia e populismo", ma purtroppo per i nostri eventuali critici, siamo ben convinti del contrario: che siano cioè gesti di questa natura ad avere le caratteristiche tipiche della facile propaganda. Immagine a costo zero, la ricetta migliore per individuare scorciatoie semplici da battere, ma che non conducono da nessuna parte, come insegna in tanti, troppi, casi, la storia recente. Se i risultati della guerra alla criminalità organizzata calabrese fossero proporzionali alla quantità di amenità simili partorite negli anni, al numero di targhe affisse all'ingresso degli edifici istituzionali, oggi parleremmo della 'ndrangheta come di un fenomeno appartenente ad antichi retaggi buoni solo per riempire pagine e pagine di libri di storia. Di fronte ai sorrisi ed al sarcasmo dei tanti che sui social network hanno commentato in queste ore la decisione del Primo Cittadino, è sceso in campo l'assessore alla Legalità Giovanni Muraca, il quale ha spiegato con pazienza a noi ingenui e sprovveduti che: "Quello dei cartelli non può certamente rappresentare l’unico strumento per combattere le mafie. Ma essi rappresentano un “simbolo”, uno stimolo al dibattito e allo smuovere le coscienze". Ed il nodo vero della questione sta proprio in questa motivazione a cui si è appigliato l'esponente della Giunta comunale presieduta da Falcomatà: la ricerca, costante ed ossessiva di 'simboli' vuoti di efficacia, con un deficit strutturale di forza reale e buoni solo, appunto, per "stimolare dibattiti". Ci sarebbe da preoccuparsi se nel 2015, dopo decenni impegnati inutilmente a "smuovere le coscienze", qualcuno fosse ancora convinto della bontà, anche minima, di questo genere di operazioni. Iniziative tutte concepite nel solco della sempre più perniciosa antimafia sterile che ormai è un filone capace di spaziare senza costrutto dalla politica alla letteratura, dall'associazionismo all'imprenditoria. E di scarso significato è anche la considerazione fatta dallo stesso Muraca che ha sostenuto trattarsi di un'idea partorita dall'ANCI (Associazione Nazionale Comuni Italiani) a cui Palazzo San Giorgio ha aderito con entusiasmo. Sfortunatamente per i tanti "esperti" dell'ultima ora, che affollano convegni e talk show, radio e televisioni, sebbene gli interessi della 'ndrangheta si siano spostati a migliaia di chilometri dalla culla d'origine, la mafiosità dei comportamenti non ha ancora pervaso il tessuto culturale che connette le relazioni sociali in Lombardia o in Veneto. Sposare, quindi, visioni ad effetto che possono avere un senso, sia pur residuale, a Pordenone, oltrepassano abbondantemente i confini del ridicolo se realizzate in Calabria. Raccogliendo l'invito di chi, su Facebook, ha con una lucida provocazione consigliato il sindaco di riempire la città di Reggio con cartelli contro topi e scarafaggi per provare a debellare così il fenomeno, ci permettiamo anche noi di suggerire che, in assenza dei drastici provvedimenti indispensabili a frenare l'inciviltà di un numero enorme di padroni di cani che insozzano con i loro animali le vie del centro e della periferia, un paio di insegne potrebbero essere destinate ad obiettivi concreti e più facilmente perseguibili dall'Amministrazione: "Comune vietato all'inciviltà", "Qui i padroni dei cani che insudiciano la città non sono benvenuti". Magari, un passo alla volta, riportiamo la città sui binari della normalità, al momento non rintracciabile nemmeno negli anfratti più nascosti dei sogni.