La riforma della Buona Scuola lede diritti costituzionali
Mentre la scuola pubblica vive un passaggio cruciale ed epocale, ci sono docenti, figli di un’altra età, che si congedano dalle aule. Alle loro spalle una storia ricolma di tanta esperienza, ma anche un’altra scuola che, ora, volta pagina, con la nuova legge di riforma appena varata, percorsa da tanti punti interrogativi. Maria Apa, Laura Marino e Domenico Contartese, insegnanti rispettivamente di Lettere, Inglese e Meccanica, dell’Istituto Tecnico Industriale “Enrico Fermi” di Vibo, rappresentano una classe docente che va in pensione, molto probabilmente, senza rimpianti per una scuola pubblica che ha smarrito la sua missione e il fondamentale ruolo, quello, per intenderci, a cui è stata chiamata con l’atto di accusa in “Lettera ad una professoressa” della scuola di Barbiana di don Lorenzo Milani, contro una scuola di classe che discrimina, che non riconosce i diritti dei più deboli e li esclude dai processi di emancipazione materiale e spirituale. Dalla fine degli anni ‘70 ad oggi, hanno conosciuto un cambiamento profondo, sotto il profilo socio-culturale e antropologico, che ha inciso, in particolare, nella formazione delle nuove generazioni. Altri tempi e un mondo figlio delle utopie umanitarie alla luce delle “magnifiche sorti e progressive” (come ha denunciato Leopardi ne la “Ginestra”) dei nuovi regimi dispotici che hanno creato profonde ingiustizie e inquinato le coscienze. Nel lungo arco temporale del loro insegnamento, anche la scuola ha vissuto quella che Pasolini ha definito “mutazione antropologica” e si è dovuta attrezzare per dare risposte sempre più difficili e complesse alle istanze e speranze delle nuove generazioni. Una serie di nodi che in una terra martoriata come la Calabria (si percepisce una certa risonanza con una indagine dell’illustre filantropo e intellettuale piemontese Umberto Zanotti Bianco, compiuta negli anni Venti, dal titolo “Il martirio della scuola in Calabria”), e nel territorio del Vibonese sono ancora più difficili da sciogliere per le note vicende legate al degrado che si vive, dove i valori etico-civili sono spesso sacrificati sull’altare del dio danaro e delle organizzazioni criminali, come emerge in modo drammatico in questi ultimi tempi, a cui la Scuola ha cercato di dare risposte; ma è stata lasciata sempre più sola, senza strumenti e con il ruolo dell’insegnante sempre più precario, fino al punto che oggi la sua dignità e la libertà di insegnamento viene messa a dura prova dalla nuova legge voluta dal governo Renzi, nonostante la protesta della quasi totalità del personale scolastico. Lo ha denunciato Mimmo Contartese, nel corso del suo intervento. Autore diversi anni fa di un interessante libro dedicato all’esperienza di insegnante dal titolo emblematico “Un mestiere difficile”, nel quale ha prefigurato quanto sta accadendo oggi nella scuola e nella società, Contartese in modo diretto ha denunciato la pericolosità dell’attuale legge di riforma che toglie la libertà e i diritti fondamentali sanciti nella Costituzione ed ha invitato i colleghi a lottare contro ogni forma di ricatto e di oppressione messa in atto come espiazione che il corpo docente deve scontare per il solo fatto di aver avuto la libertà di pensare e riflettere. Ed infine ha voluto lasciare il suo personale “testamento spirituale”, con il significato pedagogico del sorriso: oltre che a esprimere con l’esempio il valore della conoscenza e dell’istruzione, “un sorriso può cambiare se stessi e gli altri”, come il miglior vestito che si possa indossare. Una lunga carriera segnata da una esperienza di nomadismo scolastico, come la maggior parte degli insegnanti, è stato quello di Maria Apa, cominciato nel lontano 1977, facendo la spola tra la Calabria e il nord Italia. Identico viatico anche per Laura Marino, originaria di Napoli, la quale inizia giovanissima (1975) a Napoli, poi vaga per l’intera Calabria e infine arriva all’Iti. Questi tre docenti hanno vissuto la loro professione come missione, intrisi di ideali ispirati alla “pedagogia della speranza”, per citare il titolo di uno dei più importanti pedagogisti e teorici dell’educazione, come Paulo Freire (brasiliano, morto nel 1997), o a “Diario di scuola” del noto scrittore francese Daniel Pennac, che ha affrontato il grande tema della scuola dal punto di vista dei “somari” (anche lui nella schiera degli ex somari). L’alfabeto emotivo del loro discorso con il quale si sono congedati, nell’ultimo collegio che si è svolto nell’Aula magna dell’istituto per Geometri di Vibo, ha evocato questa tensione etica e maieutica, con un sentimento di riconoscimento per tutto quello che hanno ricevuto dai tanti allievi, a cui hanno trasmesso principalmente la loro umanità, linfa fondamentale nella formazione delle coscienze, senza la quale nessuna competenza e nessuna “meritocrazia” ha valore, come ha sottolineato anche la dirigente scolastica, Annunziata Fogliano, nel suo intervento con il quale ha inteso ringraziare i tre docenti per quello che hanno dato alla Scuola. Ma per come è stata congegnata questa riforma (che in modo mefistofelica è stata chiamata “Buona scuola”), a tanti insegnanti con una esperienza simile a quella acquisita da Apa, Marino e Contartese, non verrà più riconosciuta e tutto sarà affidato nella mani della Fortuna. Machiavelli fa “scuola”: pur di mantenere il potere e rendere l’uomo sempre più oppresso, si usano tutti i mezzi per neutralizzare i Resistenti. E si chiede al dirigente scolastico di incarnare il novello Principe e di essere “leone, volpe e centauro” e fare della scuola un Principato. Corsi e ricorsi storici.
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