Operazione “Diacono”, falso e corruzione: arresti e sequestri

E’ stata denominata “Diacono”, l’operazione con la quale a partire dall’alba di oggi, nelle province di Vibo Valentia, Cosenza, Catanzaro, Reggio Calabria e Napoli, i militari del Nucleo investigativo del provinciale di Vibo Valentia, con l’ausilio dei colleghi territorialmente competenti ed il supporto aereo dell’8° Nucleo elicotteri Carabinieri, hanno eseguito una ordinanza di misura cautelare emessa dal gip del Tribunale di Vibo Valentia su richiesta della locale Procura della Repubblica, nei confronti di 10 persone (8 in carcere e 2 agli arresti domiciliari), operanti nel settore dell’Istruzione, circuito Afam e istituti paritari, ritenuti responsabili in concorso, a vario titolo, di associazione a delinquere, corruzione, falso in atti destinati all’Ag, falso in atto pubblico, abuso d’ufficio e autoriciclaggio.

L’indagine è stata avviata in seguito al ritrovamento, avvenuto il 2 luglio scorso, di un arsenale e di un’ingente somma di denaro presso l’abitazione di Davide Pietro Licata, contigua all’istituto “Accademia Fidia”, gestito dalla famiglia Licata.

 Gli approfondimenti investigativi hanno consentito di ricostruire una rete di istituti formativi (paritari e artistici/musicali) che avrebbe illecitamente prodotto, in cambio di denaro e/o altre utilità, titoli di studio e attestati (oltre che operato fittizie assunzioni), al fine di favorire la partecipazione dei beneficiari a pubblici concorsi per l’assunzione di personale docente e Ata. Tali presunte illecite condotte sarebbero state agevolate e rese possibili grazie alla corruzione di un alto funzionario del Miur, il quale è incaricato, fra l’altro delle attività ispettive e di controllo degli istituti privati accreditati..

Grazie all’attività, gli investigatori hanno fare luce anche su un altro presunto episodio di corruttela, finalizzato a conseguire l’attribuzione di un importante incarico istituzionale nell’ambito del Ministero dell’Istruzione, a beneficio di una dirigente dell’Ufficio scolastico regionale della Calabria.

Nel corso dell’attività di esecuzione delle misure cautelari sono state poste sotto 19 società, operanti nel settore dell’istruzione, per un valore stimato in circa 7 milioni di euro.

Falsi e corruzione nella pubblica istruzione: 10 arresti e sequestro di 19 società.

E’ scattata all’alba di oggi, nelle province di Vibo Valentia, Cosenza, Catanzaro, Reggio Calabria e Napoli, un'operazione con la quale i Carabinieri del Nucleo investigativo del Comando provinciale di Vibo Valentia, con l’ausilio dei colleghi territorialmente competenti ed il supporto aereo dell’8° Nucleo elicotteri dell’Arma, hanno eseguito un’ordinanza di misura cautelare emessa dal gip del Tribunale di Vibo Valentia su richiesta della locale Procura della Repubblica, nei confronti di 10 persone (8 in carcere e 2 agli arresti domiciliari), operanti nel settore dell’istruzione, circuito Afam ed istituti paritari, ritenuti responsabili in concorso, a vario titolo, d'associazione a delinquere, corruzione, falso in atti destinati all’Ag, falso in atto pubblico, abuso d’ufficio ed autoriciclaggio.

Inoltre, nel corso dell’operazione sono state poste sotto sequestro con decreto d’urgenza 19 società, operanti nel settore dell’istruzione, per un valore stimato in circa 7 milioni di euro.

Ulteriori dettagli saranno forniti alle ore 10 di oggi, nel corso della conferenza stampa che si terrà presso il Comando provinciale di Vibo Valentia alla presenza del Procuratore della Repubblica, Camillo Falvo.

Accusato di falsificare sentenze per truffare le assicurazioni, avvocato interdetto per un anno

Complesse indagini eseguite dalla Sezione di polizia giudiziaria dei carabinieri presso la Procura della Repubblica di Locri (Rc), hanno consentito di definire un preciso e corposo quadro accusatorio nei confronti di un avvocato del Foro di Locri, al quale è stata inflitta la misura interdittiva del divieto di esercitare la professione di avvocato e tutte le attività ad essa inerenti per la durata di un anno.  

Il legale risulta indagato tanto per falsità materiale commessa in atti pubblici (sentenze), quanto per la soppressione e distruzione parziale dei medesimi, nonché per truffa ai danni di compagnie assicurative.

Da quanto emerso dalle indagini, l'avvocato avrebbe falsificato sentenze emesse dal giudice di pace di Locri relative a giudizi civili generalmente concernenti richieste risarcitorie per illeciti extracontrattuali.

In alcuni casi il legale avrebbe modificato l’originale della sentenza, aumentando a suo favore gli importi riconosciuti a titolo di risarcimento danni ed oneri professionali; in altri episodi, invece, si sarebbe spinto a distruggere parzialmente le sentenze, sostituendo le pagine contenenti motivazioni e dispositivo con altre dal contenuto diverso ed a lui favorevole.

Così facendo avrebbe indotto in errore le compagnie assicurative che avrebbero corrisposto, a titolo di risarcimento danni e di competenze professionali, somme non dovute costituenti ingiusto profitto a favore dell’avvocato.

Le indagini si sono avvalse del supporto dei carabinieri della Stazione di Careri (Rc) e dei grafologi del Ris di Messina.

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Incontro sul "Falso Made in Italy", Wanda Ferro (FdI): "E' necessario tutelare le eccellenze italiane"

La necessità di tutelare le produzioni di eccellenza italiane e di potenziare gli strumenti di contrasto alle agromafie sono stati gli argomenti al centro dell’intervento che l’on. Wanda Ferro (FdI), segretario della Commissione parlamentare antimafia, ha tenuto ieri a Reggio Calabria nell’ambito di un incontro sul “Falso Made in Italy” organizzato a Palazzo Alvaro dal Forum nazionale dei giovani.

Wanda Ferro ha evidenziato come Fratelli d’Italia consideri centrale nel proprio programma la valorizzazione di tutto ciò che è marchio italiano e gli investimenti su tutte le aziende che producono lavoro in Italia e che non delocalizzano, ma soprattutto la difesa della qualità e dell’eccellenza italiana e del made in Italy contro la contraffazione e la concorrenza sleale.

  “Il business delle agromafie – ha spiegato Wanda Ferro - è quantificabile in almeno 24 miliardi e mezzo di euro, come emerge dall’ultimo rapporto Agromafie di Eurispes e Coldiretti. Negli anni il rapporto ha evidenziato il consolidarsi e l’evoluzione del sistema mafioso che occupa ormai spazi sempre più ampi dell’economia del settore, interessandosi di tutti i settori, dalla produzione, alla trasformazione, al trasporto, alla commercializzazione, alla vendita al pubblico. Ciò grazie soprattutto alla capacità delle organizzazioni criminali di sfruttare le debolezze di una normativa che soprattutto in campo agroalimentare non riesce a mettere in campo efficaci strumenti di contrasto, e che ha un potere sanzionatorio assolutamente inadeguato rispetto agli ingenti guadagni possibili, mentre rischia di punire solo chi commette piccole irregolarità. La ’Ndrangheta, in particolare, attraverso l’attività delle famiglie egemoni nel Reggino, ha conquistato importanti fette di mercato, praticando un forte controllo sulle attività economiche nei settori ittico, agrumicolo e dei trasporti. Basti citare le infiltrazioni ‘ndranghetistiche nel Mercato ortofrutticolo di Fondi, il più grande d’Italia, e nell’ortomercato di Milano”.

Wanda Ferro ha ricordato quindi che il “Made in Italy” agroalimentare ha fatto segnare nel 2017 un record storico nel settore delle esportazioni, raggiungendo la quota di 41 miliardi di euro.

“La globalizzazione dei mercati  - ha spiegato - comporta però dei rischi, come quelli causati dall’Italian Sounding, ossia da quelle pratiche di produzione e di commercializzazione di prodotti che 'suonano' italiani, ma che di italiano non hanno alcunché. Per l’agropirateria internazionale si stima un fatturato di oltre 100 miliardi di euro, con la contraffazione di sei prodotti su dieci immessi nel mercato mondiale e la perdita in Italia di trecentomila posti di lavoro”.

“La pirateria agroalimentare – aggiunge Wanda Ferro – è incentivata anche da accordi internazionali come il Ceta, che contempera appena un settimo delle nostre produzioni Dop, Igp e Stg, e quindi priva di ogni garanzia i nostri prodotti, con ricadute pesantissime sul piano della qualità e della sicurezza dei consumatori.  Sostanzialmente è stata legittimata in un trattato internazionale la pirateria alimentare a danno dei prodotti Made in Italy più prestigiosi, dando il via libera alle imitazioni che sfruttano i nomi delle tipicità nazionali, come l’ormai famoso Parmesan canadese, ma anche con le imitazioni di prodotti come l’Asiago, la Fontina, il Gorgonzola, i prosciutti di Parma e San Daniele.  Le aziende italiane sono così vittime di una concorrenza sleale che si impone sul mercato con prezzi competitivi, ma nessuna garanzia su qualità e sicurezza”.

“Bisogna poi tutelare il prodotto di eccellenza italiano dalle fake news costruite ad arte in altri paesi, così come da sistemi di etichettatura che penalizzano le nostre produzioni”, ha detto Wanda Ferro, che ha ricordato le assurde posizioni dell’Organizzazione mondiale della sanità, che ha espresso la volontà di dichiarare nociva per la salute la dieta mediterranea, con i suoi prodotti simbolo come olio d’oliva, parmigiano, prosciutto, vino rosso.

“Un attacco assurdo e pretestuoso contro il nostro agroalimentare – ha detto Ferro -  e a tutto vantaggio delle multinazionali a cui ci siamo ferocemente opposti insieme a Giorgia Meloni”. 

 “Vogliamo che tutti i prodotti che entrano nei confini nazionali ed europei - ha proseguito la deputata di Fratelli d’Italia - rispettino gli stessi criteri di qualità di quelli prodotti in Italia. Ciò vale anche per le aziende che importano materie prime dall’estero. Bisogna garantire ai consumatori che dietro gli alimenti, italiani e stranieri, in vendita sugli scaffali, ci sia lo stesso percorso di qualità a garanzia dell’ambiente,  del lavoro e della salute dei consumatori. Servono politiche nazionali di tutela del Made in Italy, capaci di difendere le eccellenze nazionali, nel campo dell’agroalimentare come in quelli della moda, del design,  dalla contraffazione e dalle politiche commerciali degli altri paesi europei ed extraeuropei, che rischiano di danneggiare lo sviluppo di quei settori che rappresentano l’identità stessa della nostra Nazione”.

“Difendere le eccellenze del territorio – ha concluso Wanda Ferro -  è una sfida anche per la Calabria, che con i suoi prodotti di qualità, registra un fatturato significativo per l’economia del territorio: parliamo di 39 milioni di euro alla produzione, e oltre 1600 operatori impegnati nella produzione di prodotti Dop e Igp. Dati che fanno emergere le potenzialità della nostra regione, purtroppo non adeguatamente assecondate e messe a sistema da una politica regionale incapace di dare impulso allo sviluppo del territorio”. 

 

Falso e truffa, deferite 8 persone

Otto persone sono state deferite in stato di libertà, perché ritenute responsabili, a vario titolo e in concorso tra loro, dei reati di falsità ideologica e falsità materiale commessa da pubblico ufficiale, truffa ai danni dello Stato e false attestazioni e certificazioni in servizio.

Le denunce rappresentano l'epilogo di un’indagine condotta dai militari della Stazione di San Martino di Taurianova, con il coordinamento dalla Procura Ordinaria presso il Tribunale di Palmi.

Nel corso dell’attività investigativa, i militari avrebbero fatto luce su una serie di condotte illecite finalizzate ad ottenere elargizioni pubbliche nell’ambito previdenziale e assistenziale.

L’indagine è scaturita in seguito ad un accertamento, nel corso del quale era emersa l’assunzione fittizia di una 45enne taurianovese, da parte di un’azienda agricola.

In particolare, il titolare della ditta, un 40enne di Rizziconi, avrebbe attestato un inesistente rapporto di lavoro dipendente, al fine di far ottenere alla donna  illeciti compensi previdenziali e assistenziali. La 45enne, infatti, senza mai svolgere alcun lavoro agricolo, avrebbe ottenuto cospicue indennità di disoccupazione per malattia e maternità, nonché altre prestazioni sociali.

Coinvolti, inoltre, il cognato della donna, un rizziconese di 40 anni ed un medico dell’ospedale di Polistena, il quale, al fine di giustificare le assenze per malattie della finta bracciante, ne avrebbe falsamente attestato l’ingresso al pronto soccorso, diagnosticando, peraltro, patologie inesistenti. L’intervento del medico sarebbe stato richiesto, anche, quando la donna non veniva trovata a casa durante le visite fiscali disposte nei periodi di assenza per malattia.

Grazie al rapporto di lavoro fittizio, la donna avrebbe percepito dall’Inps, indennità previdenziali e assistenziali per oltre 27 mila euro.

Nella rete investigativa sono finiti, anche, un avvocato del foro di Palmi, un impiegato della Federazione nazionale agricoltura di Laureana di Borrello e un medico di famiglia, i quali, grazie a connivenze e conoscenze, avrebbero falsamente attestato visite mediche e patologie al fine di istruire favorevolmente istanze di riconoscimento di pensioni di invalidità.  

Altri due medici dell’ospedale di Polistena, dovranno, invece, rispondere in concorso di truffa aggravata e falsa attestazione in servizio, perché accusati di aver falsamento attestato la loro presenza in servizio.

I due, in accordo tra loro, attraverso una fraudolenta timbratura del badge, avrebbero nascosto la loro ingiustificata assenza dal lavoro, inducendo in errore l’amministrazione nel pagamento della loro retribuzione.

Peculato, falsità in atti e truffa. Sequestrati beni ad un funzionario pubblico

La guardia di finanza di Sibari ha dato esecuzione ad un nuovo decreto di sequestro di una somma di poco superiore ai 35 mila Euro emesso dal Tribunale di Castrovillari su richiesta della Procura della Repubblica, nei confronti di V.A. di anni 66, in qualità di dipendente pubblico del Comune di San Lorenzo Bellizzi (CS).

L’ordinanza è il risultato della prosecuzione di una complessa attività d’indagine espletata dalle fiamme gialle del Gruppo Sibari, che si è conclusa con la denuncia a piede libero del funzionario pubblico, in pensione dal novembre scorso, per i reati di peculato, falsità in atti e truffa.

L'uomo sfruttando gli incarichi rivestiti si sarebbe appropriato illecitamente di oltre 14 mila euro presso il Comune di Trebisacce (CS) e di poco più di 35 mila euro presso il Comune di San Lorenzo Bellizzi.

A giugno del 2017 era stato raggiunto dalla misura cautelare interdittiva della sospensione dall’esercizio del pubblico ufficio cui sono seguiti sequestri di beni fino alla concorrenza di  14.541 euro sottratti alle casse del Comune di Trebisacce.

Le prime indagini avrebbero evidenziato che il funzionario, sfruttando la sua carica di responsabile dell’ufficio Ragioneria presso il Comune di Trebisacce, dopo aver contratto dei finanziamenti personali con istituti di credito avrebbe operato solo formalmente la decurtazione sulla propria busta paga della ritenuta mensile del quinto della retribuzione.

Analoga attività sarebbe stata effettuata nel Comune di San Lorenzo Bellizzi dove, mediante appositi aggiustamenti e quadrature dei conti, l'uomo avrebbe sottratto più di 35.278 euro alle casse dell’Ente, per pagare, tra l’altro, un finanziamento contratto con una società finanziaria, a fronte della cessione del quinto dello stipendio.

Al fine di raggiungere lo scopo, il 66enne avrebbe posto in essere un articolato artifizio contabile che sarebbe sfuggito all’esame generale dei conti da parte degli organi di controllo interni.

Tuttavia, la ricostruzione operata dalla guardia di finanza, mediante l’esame di ogni singola movimentazione di somme tra i vari capitoli di spesa, avrebbe permesso di evidenziare e quantificare i reali ammanchi di cassa, consentendo la pronta applicazione del provvedimento di sequestro anche per equivalente, della somma di  35.278 euro tra beni immobili e saldi attivi di conti correnti bancari. 

Falso, i carabinieri arrestano un 69enne

I carabinieri della Stazione di Melito di Porto Salvo, hanno tratto in arresto, in esecuzione di un’ordinanza di espiazione di pena detentiva emessa dalla Procura Generale della Repubblica presso la Corte d’Appello di Reggio Calabria - Ufficio Esecuzioni Penali e ordinanza emessa dal locale Tribunale di Sorveglianza, il 69enne Domenico Colorisi.

L’uomo, già noto alle forze dell’ordine, dovrà scontare una pena a anni due e sei mesi di reclusione, perché ritenuto responsabile dei reati di concorso in falsità materiale commessa da pubblico ufficiale in certificati o autorizzazioni amministrative, falsità materiale commessa dal privato e truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche.

I reati sono stati commessi a  Bova e Roghudi  nel periodo compreso tra il 2004 ed il 2011.

Espletate le formalità di rito, è stato associato presso la casa circondariale “Arghillà” di Reggio Calabria in regime di semilibertà.

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Siria: il video "bufala" del falso salvataggio dei "Caschi Bianchi"

In guerra la verità è la prima vittima”. Il buon vecchio Eschilo ritorna di stringente attualità nel caso della clamorosa “bufala” che ha per protagonisti i cosiddetti “Caschi Bianchi” siriani. Una balla colossale che in Italia, come del resto in tutto l’Occidente, è stata coperta da un sepolcrale silenzio.

Del resto, al collaudato schema che vuole i buoni da una parte ed i cattivi dall’altra non poteva sfuggire neppure il feroce conflitto che dal 2011 strazia la Siria. I media nostrani hanno, infatti, affibbiato al legittimo presidente Bashar al Assad (già insignito, nel 2010, da Giorgio Napolitano dell’onorificenza di Cavaliere di Gran Croce della Repubblica italiana) le stimmate del sanguinario dittatore.

Sul fronte opposto, invece, è stata collocata l’opposizione, spacciata per moderata anche quando a rappresentarla sono i tagliagole dell’Isis o i terroristi di Al Nustra, ovvero il ramo siriano di Al Quaeda

In questo scenario, l’informazione ha ceduto, da un pezzo, il passo alla propaganda.

Tuttavia, l’abile gioco della manipolazione, a volte, sfugge di mano e si rivela per quello che è.

Succede, così, quello che è capitato ai “Caschi Bianchi”, presentati in Occidente come eroici soccorritori impegnati a strappare alla morte le vittime intrappolate sotto le macerie provocate dai  bombardamenti.

In realtà,  i “Caschi Bianchi” sono un’organizzazione finanziata dagli Stati Uniti e dal Syrian National Council, ovvero l’opposizione siriana con sede ad Istanbul. Si tratta, quindi, di una struttura tutt’altro che neutrale e perfettamente schierata al fianco di uno dei contendenti. Quanto i volontari siano impegnati nell’opera a sostegno dell’opposizione armata lo testimonia l’ultimo video propagandistico caricato in rete e prontamente rimosso dalle Forze rivoluzionarie siriane (RSF).

Nel filmato compaiono due "Caschi Bianchi" apparentemente intenti a soccorrere un ragazzo rimasto sotto i detriti di un edificio raso al suolo dalle bombe. Quello che sembra un atto di eroica generosità, in realtà, non è altro che un prodotto "cinematografico" girato ad esclusivo beneficio delle telecamere. Una volta scoperta, la "bufala" è stata prontamente fatta sparire da YouTube.

Del resto, dall'inizio del conflitto i falsi salvataggi operati dai "Caschi Bianchi" sono piuttosto numerosi. In alcuni casi l'intento propagandistico è talmente evidente da scivolare addirittura nel ridicolo.

All'inizio di questo mese, un giornalista siriano, Abbas Yomeh, ha dimostrato, ad esempio, la falsità delle immagini che ritraggono una bambina salvata dagli "eorici" soccorritori. In tre diversi fotogrammi vengono, infatti, immortalate le scene di tre differenti salvataggi in cui la protagonista è sempre la stessa bambina.

Dopo la pubblicazione dei video con i falsi salvataggi, in tanti sulla rete hanno ironicamente sostenuto che dopo essere stati candidati per il Premio Nobel per la Pace, i “Caschi Bianchi”  potrebbe essere nominati anche all'Oscar per i loro allestimenti cinematografici.

 

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