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Isola ecologica di Serra, avvisi di garanzia per Bruno Rosi e Roberto Camillen

Oltre al sequestro dell’isola ecologica di Serra San Bruno eseguito dagli uomini del Comando Stazione della Forestale, nella giornata di ieri sono stati notificati gli avvisi di garanzia al sindaco Bruno Rosi e al responsabile dell’area tecnica Roberto Camillen. Le ipotesi di reato contestate sono la realizzazione di discarica abusiva e la violazione della normativa paesaggistica. “Dimostreremo l'inssussistenza dei fatti contestati” ha dichiarato il legale di fiducia di entrambi Antonio Carnovale aggiungendo che “per quanto riguarda la misura cautelare reale del sequestro, essendo palesemente infondata nei presupposti relativi alle esigenze applicative, e mancando completamente il fumus commissi delicti, stiamo già predisponendo gli opportuni atti da porre all’attenzione dell’Autorita giudiziaria”.

 

Addio Calabria, il Governo vuol fare la Regione del Ponente

Sono passati esattamente 20 giorni da quando il senatore del Pd Raffaele Ranucci ha presentato un ordine del giorno finalizzato alla riduzione delle Regioni da 20 a 12. Un episodio che sembrava rimanere tale se non fosse che il Governo ha fatto proprio quello schema, mostrando così la volontà di portarlo avanti. Di più, l’intenzione del ministro delle Riforme Maria Elena Boschi sarebbe quella di impostare un progetto più puntuale ed organico. Intatte rimarrebbero solo Lombardia, Sicilia e Sardegna, il resto sarebbe una rimodulazione completa. In particolare, alla Calabria sarebbe “annessa” la provincia di Potenza ed il nuovo nome del nascente territorio sarebbe “Regione del Ponente”. Inutile sottolineare il vespaio di polemiche che si sta allargando in questi giorni, perchè modificare confini storici è tutt’altro che operazione semplice. Innanzitutto, vi è un senso d’appartenenza che non può essere cancellato per decreto, come pure le esigenze di autonomia. Non a caso fra le più ostili al disegno vi è Debora Serracchiani, presidente del Friuli Venezia Giulia (Regione a Statuto speciale) e vicesegretaria del Pd. In secondo luogo, traspare quell’accecante mania di tagliare per risparmiare, anteponendo il mero calcolo economico a tradizioni secolari, radici storiche e culturali e derivanti stili di vita. Si ha la sensazione che nelle decisioni il popolo non abbia nessun ruolo, ma sia uno spettatore passivo che deve solo accettare e subire. Aspetto secondario è poi quello della denominazione: una locuzione anonima sostituirebbe il termine “Calabria”, che scomparirebbe mestamente. Ancora timida sul tema la politica regionale: probabilmente gli esponenti nostrani hanno altro a cui pensare.

 

Ospedale di Serra, chiusa un’ala del reparto di Medicina: dimezzati i posti letto

Ufficialmente la scelta è obbligata. Perchè i lavori di ristrutturazione che stanno interessando l’ospedale “San Bruno” non consentono il permanere dei pazienti in quell’ambiente. Ciò ha determinato la chiusura temporanea di un’ala del reparto di Medicina che così dai 20 posti letto (18 più 2 di Day hospital) è sceso a 10. Interpellato sulla questione qualche medico ha rassicurato, sostenendo che, appena completati i lavori, tutto tornerà alla normalità. Il problema, oltre ai disagi, è lo scetticismo dei cittadini del comprensorio, memori delle frasi volte ad alleggerire la pressione dell’allora direttore generale dell’Asp di Vibo Francesco Talarico sul reparto di Ostetricia e Ginecologia. O ancora delle dichiarazioni trionfalistiche sulla messa a norma della sala operatoria, con la successiva sostanziale privazione della Chirurgia. I timori sono inoltre alimentati dall’ormai famosa postilla a margine di una delle tabelle del decreto 9/2015, quella secondo cui, una volta costruito il nuovo ospedale della città capoluogo di provincia, quest’ultimo assorbirà tutti i posti letto per acuti del territorio. Magari sono solo coincidenze, ma portano tutte nella stessa direzione.

 

Infiltrazioni mafiose nei Comuni calabresi: quando il sospetto corre sul filo

Associare alla Calabria la negatività delle forze soverchianti è sin troppo facile, soprattutto per chi, vivendo a latitudini diverse, ascolta o legge notizie che spesso raccontano l’intreccio fra politica e ‘ndrangheta. Un quadro desolante per chi ha le sue origini in una terra profondamente amata/odiata che offre bellezze uniche ma non occasioni di crescita umana e sociale, ancor prima che professionale ed economica. Gli atteggiamenti quotidiani, oltre che gli episodi eclatanti, sembrano confermare una mesta impressione: qui vince chi spinge e sgomita più forte, chi utilizza qualsiasi mezzo per imporsi, chi trova il modo (con la pistola o con la giacca e la cravatta) per non far crescere i vagiti di libertà. Non possiamo affermare – questo è chiaro – di essere un modello di civiltà. Ma va detto che ad affossarci è anche la cultura del sospetto che vede l’intrigo laddove non c’è, che punta l’indice e crea macchie indelebili. Bisogna distinguere da caso a caso: operazione difficilissima, tanto per gli inquirenti quanto per la gente comune, in quei piccoli-medi borghi dove il mafioso, quello vero, lo conoscono tutti. E lo incontrano, magari mentre stanno prendendo un caffè al bar. Che fare in un caso come questo? Ha davvero senso allontanarsi dal locale ogni qualvolta vi entra chi è “in odor di mafia”? A proposito, che significa questa espressione tanto usata negli ambienti investigativi e giornalistici? Una persona o è mafiosa o non lo è. Chi viene considerato essere “in odor di mafia”, se non ha subito una condanna di una certa rilevanza, non viene privato del diritto di voto e ciò è motivo di ulteriori equivoci. Entrando nei casi specifici, Tropea è (cronologicamente) l’ultimo Comune della lista a veder arrivare la commissione d’accesso. Nel Vibonese, fra gli altri, lo avevano preceduto Nardodipace, Mongiana, San Calogero, Ricadi e Briatico. O, ancora, Serra San Bruno, il cui consiglio comunale alla fine restò in sella. Allargando il campo, l’esempio più eclatante è quello di Reggio Calabria. Il commissariamento della Città metropolitana – ovviamente i responsabili del disastro sarebbero coloro che avrebbero intrattenuto rapporti con la malavita e non chi ha voluto vederci chiaro (ma se si fosse trattato di un errore, le cose cambierebbero e di molto) – è stato un messaggio devastante. Recuperare è possibile? Forse nel lungo periodo e partendo da un generalizzato cambio di mentalità. Adottando comportamenti adeguati nella vita di tutti i giorni, isolando chi corrompe e chi è corrotto, votando secondo scienza e coscienza, aprendo con sapienza occhi, orecchie e bocca. Consentendo ai magistrati di avere a disposizione mezzi e uomini idonei, numericamente e qualitativamente. Respingendo il malaffare, diffondendo principi sani e mettendoli in pratica. Iniziando da subito e non da quando conviene.

 

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