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La Calabria riscopre la paura dei terremoti

Sembrano sinistri messaggi, avvenimenti che precedono “l’evento”, quello che sarà ricordato a lungo. Gli ultimi giorni hanno ricordato che esiste un pericolo che tutti dovrebbero tenere in considerazione, ma su cui l’attività di prevenzione pare essere carente rispetto ai potenziali rischi. L’insistente sciame sismico che ieri ha interessato la Calabria ha fatto suonare nuovamente il campanello d’allarme: c’è chi comincia ad avere paura, chi ricorda mesti fatti del passato, chi sostiene che, in fondo, i movimenti tellurici possono essere studiati e non previsti. Alla mente tornano la terrificante distruzione della Certosa per effetto del terremoto del 1783 e i morti di Reggio Calabria nel 1908. Drammi, tragedie, disperazione. E se la terra tornasse a tremare in maniera violenta oggi, la Punta dello Stivale sarebbe organizzata per affrontarne le conseguenze? Nei mesi scorsi, qualche giorno prima di lasciare la guida della Protezione Civile, Franco Gabrielli si era lasciato scappare una preoccupante dichiarazione: “ho due incubi notturni – aveva affermato - il Vesuvio e il terremoto in Calabria. Sono queste le aree con maggiore criticità dal punto di vista della Protezione Civile". Già, perché non bisogna essere degli esperti per capire che l’abusivismo edilizio e la vetustà di tantissime abitazioni potrebbero tradursi in un disastro. Tutti ne siamo coscienti, eppure vanno a rilento i processi di ammodernamento dei centri calabresi. Si riscontra un’attività educativa nelle scuole, volta soprattutto ad affinare i piani di evacuazione, ma ciò non può essere certo sufficiente ad affrontare scosse di rilievo. Occorre svegliarsi, subito. Prima che un’altra L’Aquila, se non peggio, torni ad essere la prima delle emergenze nazionali.

 

Rifiuti come biglietto da visita: così uccidiamo Serra San Bruno

Ci sono realtà territoriali che non sono dotate di particolari motivi di attrazione turistica, eppure suppliscono alla carenza di paesaggi naturali e di spunti d’interesse storico con iniziative volte a far apparire come desiderabile quel determinato paese, che non ha risorse uniche o rilevanti. Lo fanno grazie al gioco di squadra, unendo le forze, dimostrandosi portatori di senso civico e rispetto verso se stessi e verso gli altri. E poi ci sono luoghi spettacolari, scelti dai più puntuali interpreti della spiritualità come meta da raggiungere, posti in cui fissare la permanenza per riscoprire l’essenza della vera vita. Serra San Bruno poteva essere lo scrigno contenente questi tesori, la culla di una cultura che fa della riflessione e della contemplazione i propri assi portanti. E invece si è trasformata, quasi per un crudele scherzo del destino, nell’esatto opposto, nella sede dell’assenza di senso civico e dell’incapacità di valorizzare un patrimonio inestimabile. E di questo suo squallore, anche  morale, dà rappresentazioni lampanti, addirittura avvertendo chi non ne sia ancora a conoscenza. Come dire: “Eccoci, ci presentiamo. Noi siamo questi e questo, sappiatelo”. Metafore? Costruzioni letterarie? Niente di tutto questo, l’avvertimento è terribilmente materiale. Entrata della cittadina della Certosa, arrivando da Soriano. L’insegna annuncia che si è giunti nel perimetro territoriale di Serra San Bruno. Ai suoi piedi spazzatura di ogni tipo, persino una poltrona. È un biglietto da visita inequivocabile per i visitatori: chi pensava di trovare boschi incontaminati ha sbagliato strada. La comunità serrese si autodenigra così. Inutile girarci intorno: non ci sono colpe da addebitare a chi denuncia questo stato di cose, anzi. Le responsabilità sono di Serra San Bruno nel suo insieme: di questa amministrazione che, dopo 4 anni, non è riuscita ad attuare un servizio di raccolta differenziata degno di questo nome; dell’amministrazione passata per la quale valgono le identiche considerazioni; di tutte le altre amministrazioni precedenti che non hanno gettato solide basi per una crescita civica; di chi è preposto a vigilare perché evidentemente non si trova quasi mai al posto giusto al momento giusto; degli operatori che si fanno travolgere dalla superficialità; dei suoi cittadini che di prendere esempio dalle aree più avanzate non ne vogliono sapere. Educare a crescere è impresa improba, perché c’è un assoluto rifiuto al cambiamento. C’è un muro invalicabile e chi non si adegua deve cominciare a preparare la valigia. C’è una mentalità stantia, anacronistica, rancida. Che offusca l’orgoglio di essere serresi, che ci fa dimenticare chi erano i nostri avi, quali erano (e sono) le nostre tradizioni. Quali erano (e sono) i valori di chi è “di la Serra”. Si preferisce criticare gli altri con ammonimenti severi, salvo poi fare di peggio. Si accusa la politica dei “ladri” e dei “politicanti”. Per le proprie “ruberie”, per i propri errori, si trovano al contrario le più “profonde” e “innocenti” giustificazioni. Chi pronuncia frasi velenose riguardanti gli altri, spesso, è sprovvisto di uno specchio per guardare dentro la propria coscienza. Certo, è vero che chi ha gestito negli scorsi decenni questa regione – che continua a sprecare e a rimanere inginocchiata - non ha saputo costruire il domani e lo ha anche compromesso concretizzando il più famelico familismo amorale, ma è utile ricordare che la classe dirigente è figlia delle indicazioni della società. Se la prima è marcia, lo è a maggior ragione la seconda. Siamo ai primi di agosto, il mese che aspettiamo un anno intero perché dovrebbe equivalere a “turismo” e “ricchezza”. Lo spirito con il quale lo affrontiamo è raffigurato nella foto che vi proponiamo.

Tassone (Pd): “Il Sud riparte solo con un impegno comune”

“Il rapporto Svimez, presentato giusto qualche giorno fa, ci consegna una fotografia, qualora ce ne fosse stato bisogno, di un’Italia che cammina a due velocità”. Lo afferma il segretario provinciale dei Giovani Democratici Luigi Tassone che rileva come ci sia da un lato “il Nord del Paese che, seppur lentamente, torna a crescere” e dall’altro  “un Sud che arretra, si spopola e vive una situazione di disagio probabilmente maggiore di quella greca”. “Bisogna iniziare a comprendere – sostiene Tassone - senza più tergiversare, che la questione del Sud è una questione di convenienza e interesse nazionale. Non ci può essere ripresa se l’Italia non cammina unita. Per tale ragione registro positivamente l’iniziativa intrapresa dal segretario del Partito Democratico Matteo Renzi, di convocare, già per il prossimo 7 Agosto, una direzione straordinaria del partito per discutere di come affrontare l’emergenza Sud”. Il ragionamento si sposta sull’aspetto squisitamente politico e Tassone sottolinea che “il centrosinistra, ed in particolar modo il Partito Democratico, trovandosi alla guida del Paese di tutte le regioni meridionali, rispetto a questa, seppur difficilissima, sfida, si giochi la sua stessa esistenza. E’ in questo contesto – aggiunge - che anche il nostro presidente della Regione Mario Oliverio, assieme a tutta la deputazione nazionale del Partito Democratico, debba imporsi, così come sta già facendo, rispetto al governo centrale per chiedere interventi mirati per il riscatto della Calabria. Non  servono  più soldi a pioggia o distribuiti senza una precisa strategia di sviluppo. Già lo sblocco e il completamento dei numerosi cantieri incompiuti presenti nella nostra Regione, assieme all’istituzione della Zes (Zona Economica Speciale) al porto di Gioia Tauro – asserisce il giovane esponente politico serrese - potrebbero rappresentare un’importante ripresa per questa martoriata terra di Calabria”. “L’impresa di rilanciare il Mezzogiorno d’Italia, visti i suoi atavici ritardi, non è cosa semplice – è la conclusione - ma attraverso un nuovo approccio culturale e una rinnovata sinergia tra governo del Paese, Regioni e cittadini, un futuro diverso si può veramente immaginare e costruire”.

 

Malasanità, Cassazione detta la linea: “Fine anarchia in sala operatoria”

La Cassazione mette ordine e stabilisce i confini di ruoli e responsabilità. Lo fa in riferimento al caso relativo alla morte di Eva Ruscio, l’adolescente deceduta il 5 dicembre 2007, in seguito al fatale intervento avvenuto presso l’ospedale “Jazzolino” di Vibo Valentia. L’operazione era volta ad operare l’ascesso che la ragazza aveva in gola (fu eseguita un’anestesia generale e non locale). La sentenza della Corte Suprema scrive il principio: non ci può essere “anarchia” in sala operatoria, ma chi guida l’équipe chirurgica deve essere determinante nelle scelte degli altri specialisti, innanzitutto anestesisti, opponendosi ad orientamenti non condivisi in base alle proprie conoscenze ed esperienze. In pratica, la Cassazione ha ribaltato la tesi di un primario – condannandolo per omicidio colposo -  che sosteneva che la diversità di conoscenze specialistiche limita “l’ambito delle responsabilità delle competenze scientifiche dei singoli”. Nello specifico, per la Cassazione “il lavoro di equipe vede la istituzionale cooperazione di diversi soggetti, spesso portatori di distinte competenze: tale attività deve essere integrata e coordinata, va sottratta all'anarchismo. Per questo assume rilievo il ruolo di guida del capo del gruppo di lavoro. Costui non può disinteressarsi del tutto dell'attività degli altri terapeuti, ma deve al contrario dirigerla, coordinarla”.

 

 

 

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