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Classifica sindaci: il capitombolo di Falcomatà è rumoroso, quasi quanto il silenzio

Nessuno, fra i cittadini di Reggio Calabria dotati di buonsenso ed intelligenza, dovrebbe dichiararsi entusiasta quando un'indagine nazionale, come quella che annualmente viene commissionata dal Sole 24 Ore certifica, come accaduto nel report pubblicato stamane, il crollo di popolarità del proprio sindaco. Goderne sarebbe solo un'effimera soddisfazione per gli avversari, preoccuparsene seriamente, a tutti i livelli, sia sociali che politici, è, invece, obbligatorio per chiunque: avversari e sostenitori. E' altrettanto inoppugnabile, però, che limitarsi ad una scrollata di spalle minimizzando l'entità della caduta in picchiata del consenso attribuito dai reggini a Falcomatà, si rivelerebbe un'operazione miope e stupida. I difensori d'ufficio, sempre baldanzosi ma in queste ore silenti, recuperando la parola avrebbero buon gioco, dal loro punto di vista, ad obiettare, che la maggioranza, quantificata dallo studio di Ipr marketing nel 55% della popolazione, continua a nutrire fiducia nell'operato del capo dell'Esecutivo di Palazzo San Giorgio. Il fatto stesso, tuttavia, che abbiano pensato opportunamente di arrestare, anche solo per un giorno, l'alluvione di glorificazioni del presente e demonizzazioni del recente passato targato Scopelliti, fa capire quanto il calo consistente, pari al 7%, registrato dalla ricerca condotta dall'istituto specializzato abbia minato le fondamenta del piedistallo su cui, del tutto ingiustificatamente, l'allegra comitiva di centrosinistra si era issata. Fa eccezione una dichiarazione dello stesso interessato, candidata di diritto al Premio Nobel "Per la mistificazione e l'arrampicata sugli specchi", e nella quale si staglia una spocchia mal riposta tacciando lo studio, serio come pochi, di essere un "borsino politico stilato dai quotidiani". Le condizioni disgraziate in cui versa la città, come scriviamo da tempo, sono lì ad inchiodare ciascuno degli inquilini del Municipio alle proprie rispettive responsabilità: solo ottusità e malafede possono nascondere questa amara, amarissima, verità. Non basta evocare una "Svolta" inesistente e mai esistita in questi primi quattordici mesi di consiliatura per propagandare e millantare meriti completamente assenti di qualsivoglia aderenza alla realtà. La discesa repentina nella classifica dei sindaci più o meno graditi, del resto, è resa ancor più rumorosa dalla circostanza che essa si è sviluppata lungo il primo anno di Amministrazione, quello tradizionalmente riservato alla luna di miele con l'elettorato. Non essere riusciti a capitalizzare quello scrigno di fiducia e speranza è più di un campanello d'allarme che, se udito anche dalle orecchie più chiuse, saprebbe dare la "sveglia" ad una squadra finora brillante solo per la sua impressionante debolezza. 

Sindaco di Petilia bacchetta ancora la Protezione Civile: "Il decreto è carta straccia"

"In mano abbiamo solo carta straccia. Un decreto provvisorio dell'agosto scorso senza impegno di spesa. E la colpa è della burocrazia, non della politica". Amedeo Nicolazzi, sindaco di Petilia Policastro, passa al contrattacco dopo che la Protezione Civile aveva rimpallato, adducendo presunte inadempienze da parte della stesso ente il cui massimo rappresentante si era scagliato contro la mancata erogazione dei fondi necessari per mettere in sicurezza il territorio investito da oltre trenta frane. Il Primo Cittadino, furioso per il tempo inutilmente trascorso fin qui, si è detto anche pronto anche a dimettersi dall'incarico se le lungaggini dovessero proseguire. "Sul documento, infatti - è la sua spiegazione - manca la firma".

Dove sono stati nascosti i cartelli anti 'ndrangheta annunciati da Falcomatà?

Per l'amor di Dio: non è nostra intenzione stuzzicare il cane che dorme, anche perché la nostra posizione in merito era stata scolpita in un commento che sbarrava le porte ad incomprensioni ed interpretazioni ambigue (qui il link all'articolo in questione). L'annuncio, da parte del sindaco Giuseppe Falcomatà, di voler collocare qua e là per le vie di Reggio Calabria cartelli che sprezzantemente ripudiassero la 'ndrangheta ci era apparsa idea carica di ridicolo e traccia di una banalità talmente deflagrante da ritenere la si volesse quasi ostentare, una sorta di firma del certificato attestante sia la totale assenza di guizzi intellettuali degni di tal nome che l'assortita confusione albergante nei pensieri dei "sommi sacerdoti" di Palazzo San Giorgio. La bocciatura, messa allora nero su bianco, fu pubblicata con carattere d'urgenza perché il Primo Cittadino a cavallo di Ferragosto aveva assicurato che l'immeritevole iniziativa si sarebbe tramutata in realtà da lì ad un paio di settimane. La nascita del mese di settembre sarebbe stata salutata, garantì il sindaco, dal fiocco dei severi moniti contro la criminalità organizzata. Inutile rimarcare che i corifei si entusiasmarono in inni gloriosi alla magnifiche e progressive sorti della "Svolta", dovere quotidiano dell'immancabile tributo al Salvatore della Patria. In omaggio all'austerity imposta dal Piano di rientro generato dalle "devastazioni delle casse comunali negli anni dello sperpero scopellitiano", come amano ricordare, un minuto sì e l'altro pure, i soldati dell'esercito falcomatiano, utilizzando queste parole a mo' di scudo anche per giustificare la mancata sostituzione di una lampadina, è immaginabile che questi simbolici bastioni anti 'ndrangheta non saranno stati commissionati ai più prestigiosi artisti contemporanei del settore. E' altrettanto prevedibile, altresì, che essi non saranno puntellati da materiali per i quali è necessario attendere anni prima che l'ordinazione abbia l'atteso esito favorevole. Dunque, la domanda, puerile nella sua elementarità, da porsi a distanza di quattro mesi dall'inizio di settembre è: tenuto conto che l'occhio umano del reggino non ha ancora incrociato uno solo di questi cartelli, in quale bunker segreto sono stati sistemati? L'auspicio, per una naturale coerenza con quanto scritto allora, è che lì rimangano celati, ma conoscere quale sia stato il loro destino sarebbe regalo gradito anche agli scettici osservatori, immobili mentre il "carro del vincitore" avanza, sempre più carico di zavorra umana, ma perdendo l'orientamento lungo il tragitto verso la buona amministrazione.

Serra e il crocevia elezioni comunali: ecco perché i migliori si devono fare avanti

Solo da un paio di giorni Serra San Bruno è entrata con tutti e due i piedi nell'anno delle elezioni comunali. Un appuntamento apparentemente simile ai tanti che lo hanno preceduto nel passato, ma è indubbio che, alla luce del contesto storico locale e globale in cui esso sarà celebrato, riveste un'importanza capitale, se non decisiva. Non s'intravede esagerazione nel considerarlo, a tutti gli effetti, un incontro con il destino e sarà il modo in cui l'opinione pubblica, nelle sue mille sfaccettature di consapevolezza sociale, lo approccerà, a determinarne l'esito reale: non quello meramente numerico che darà un vincitore ed uno o più sconfitti, ma quello, ben più rilevante, della rotta da seguire verso il futuro, prossimo e remoto. Serra San Bruno è alla sua ultima chiamata, c'è poco da scherzare: il mix tra un'Amministrazione Comunale troppo pigra ed assente e gli oggettivi salti mortali che, in epoca di vacche magrissime, sono costretti a fare gli enti locali, ha determinato una lenta deriva verso il baratro. Con uno sforzo, neanche troppo faticoso, si fa spazio, ogni giorno sempre di più, l'idea che l'epilogo di questo declino, tuttavia, non sia ancora scontato. E' possibile, infatti, oltre che moralmente dovuto, fare di tutto per invertire il recente trend e risalire la china con orgoglio, con decisione, con la forza della tradizione e della pragmatica intelligenza. Perché queste non restino parole buone a rimpolpare il calderone degli auspici senza possibilità di tradursi in realtà serve, prima di tutto, una presa di coscienza da parte di tutti coloro che, per i motivi più diversi, hanno, anche senza saperlo, il peso della responsabilità derivante dalle loro stesse capacità, professionali ed umane. Il riferimento, chiaro, è agli uomini e alle donne di buona volontà che, se animati da un sincero amore nei confronti della loro "Patria", non possono più nascondersi, non sono più nelle condizioni di disertare. Hanno l'obbligo, di fronte al bivio della storia, di fare non un ulteriore passo indietro, ma dieci in avanti. E' il momento delle scelte decisive ed in questi frangenti le menti più brillanti, i lavoratori più instancabili devono avvertire la necessità di abbandonare indolenze e paure e lanciarsi nel mare aperto della sfida: costi quel che costi, bisogna metterci la faccia, rifiutandosi di attribuire deleghe in bianco. Opporre, dunque, un rifiuto secco all'offerta apparentemente protettiva di trovare rifugio sotto l'ombrello che, con interesse, viene aperto, salvo essere richiuso subito dopo la pioggia di voti, da questo o quell'esponente politico "di grido", da questo o quel partito. Con espressione abusata si potrebbe dire che "le chiacchiere stanno a zero" e le tipiche promesse precedenti le elezioni sono ormai uno scrigno vuoto. La "cassa" piange e nessuno ha più l'opportunità e la forza, se non quella millantata, di lasciare intravedere all'orizzonte la luce di un lavoro, di un'agevolazione qualsiasi, di un beneficio, sia pur minimo, a vantaggio della vasta platea di potenziali illusi. Il popolo è semplice nelle sue valutazioni utilitaristiche, ma quei patti, taciti o espliciti, sui quali si fondava gran parte del consenso, non reggono più per evidente assenza di materia prima: la moneta di scambio del favore in cambio della preferenza non viene neanche più coniata. Del resto, dall'osservatorio privilegiato di un giornale è facile cogliere il "sentiment" della gente, oggi segnato come mai in passato da delusione, rabbia, disincanto. Nessuno fra i big che pensano di stringere le redini del consenso immagini di detenere, nella stessa misura del passato, quei consistenti pacchetti di voti sui quali per troppo tempo hanno dormito sonni tranquilli. La festa è finita: per tutti. Quella della prossima tornata amministrativa a Serra San Bruno sarà una gara a perdere. Troppo remissiva la Giunta comunale uscente per poter sperare, in caso di discesa in campo con la stessa compagine, di riuscire a strappare una proroga ai tanti errori (amministrativi, politici e psicologici) commessi nel corso degli anni. Bruno Rosi e compagni pagherebbero, più che le azioni compiute, il disimpegno e la mancanza di dedizione alla causa. Limiti oggettivi che nel 2010 furono colpevolmente ignorati dal leader Nazzareno Salerno al momento della composizione delle liste. Se Atene piange, però, Sparta non rida con troppo anticipo: l'imbarazzante corsa iniziata dai tanti aspiranti di centrosinistra alla poltrona di Primo Cittadino ha fatto perdere di vista, come sempre, la visione a lungo raggio. Al momento, per le strade e sui social network, è tutto un indistinguibile vociare sul "prescelto" dal "Capo", nella fattispecie il deputato PD Bruno Censore, ma, escludendo roboanti recriminazioni contro l'attuale Amministrazione, non si intravede, nemmeno in lontananza, lo straccio di un'idea. Qualcuno potrebbe obiettare che per la proposizione di un programma alla cittadinanza c'è tempo e che le belle intenzioni, messe nere su bianco in "libro dei sogni" costituiscono un abuso della credulità popolare. In fondo, manca ancora qualche mese all'apertura dei seggi elettorali: nulla di più sbagliato. Se ci fosse stata una sincera aspirazione a sovvertire il pessimo andazzo di questi cinque anni, se questo desiderio fosse stato animato da un gratuito spirito di servizio al bene della comunità, non si sarebbe assistito, come accaduto in questi mesi, al balletto di posizionamenti di singoli personaggi "in cerca d'autore". Come se per loro il tempo si fosse fermato, le ambizioni personali hanno primeggiato sui drammi patiti da singoli e famiglie costretti ad una dura battaglia per la sopravvivenza in un contesto socio-economico depresso, depredato, piegato su sé stesso, salvo alcune lodevoli eccezioni rappresentate da chi, proprio no, non accetta l'ineluttabilità del declino. Serra San Bruno è un tesoro che, gestito con illuminazione e saggezza, saprebbe come risplendere di luce propria. Un'oasi di bellezza, di storia, di cultura, di benessere spirituale: gemme preziose, a maggior ragione, in un'epoca deturpata dalla globalizzazione uniformante e volgare. E' questa la ragione di fondo che induce ad abbattere egoismi e recinti ideologici, questi ultimi già abbondantemente ridotti in macerie dalla Storia. D'altra parte, quale valore aggiunto potrebbe mai dare il pensiero di destra o di sinistra nel ricercare soluzione degna di tal nome alla tragicommedia dei rifiuti, all'inaccettabile inquinamento dell'acqua, alla sempre maggiore percezione di insicurezza vissuta sulla pelle dai cittadini? Ed ancora, è davvero così qualificante essere di destra o di sinistra se la priorità è quella di arginare la sequenza di saracinesche che si abbassano per sempre, eventi che non sono da considerare, pur nella loro tristezza, semplici chiusure di esercizi commerciali, ma simboli portatori di un messaggio devastante alle generazioni future: Serra San Bruno sta per morire, il virus della rassegnazione da cui è affetta è contagioso. Sebbene non sia una questione anagrafica, perché il vento del "nuovismo" ha già arrecato tanti danni in altre parti della Calabria e dell'Italia intera, è fin troppo evidente che la "chiamata alle armi" vale, prima  di tutto, per quella generazione a cavallo dei 40 anni che, pur avendo accumulato un sufficiente bagaglio di esperienze, ha davanti a sé un pezzo di strada ancora lungo prima di cadere sotto la grandinata dei rimpianti. E non è neppure una questione politica in senso stretto: si discute, con vigore parolaio, di fantomatiche "terze liste", ma anche in questo caso qual è il progetto? Dov'è il disinteressato desiderio di chinarsi, deferenti, ai piedi di un disegno più grande, che altro non è se non quello di riprendere in mano la vita di una cittadina da troppo tempo, per un'imperdonabile irresponsabilità da parte della sua "classe dirigente" e con la complicità dei tanti che hanno subito passivamente in inutile attesa dell'osso lanciato dal "padrone", priva di punti di riferimento in grado di indicare la via? E' ora, è adesso, che ci si deve spogliare dagli alibi di comodo. E' ora, è adesso, che devono essere spalancate le porte al coraggio dei migliori. E' l'ultimo appello per costruire, con pazienza ed entusiasmo, un muro solido, da edificare facendo un uso corretto di buona prassi amministrativa. Mettano a disposizione, in una metaforica "chiamata alle armi", le ricche capacità di cui hanno dato prova nei loro rispettivi ambiti, le confezionino servendosi del legame indissolubile alla nobile culla bruniana e le offrano in dote alla causa da cui dipende la vita o la morte di un dono divino chiamato Serra San Bruno. Nessuno si senta escluso. 

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