Il 21 novembre 1935 sembra un giovedì come tanti altri. Il cielo è un po’ grigio, all’orizzonte si staglia qualche nuvola nera carica di pioggia, ma tutto sembra rientrare nella normalità.I Serresi sono presi dalle loro faccende, la preoccupazione tutt’al più è rivolta altrove.
Da più di un mese e mezzo, infatti, l’Italia ha dichiarato guerra al Negus. In Abissinia, a riscattare l’onta di Adua, ci sono molti fanti calabresi. A Serra quindi, non ci si cura molto delle condizioni climatiche. Non c’é, ancora, l’allerta meteo e la pioggia, in fondo, non fa paura. Ogni cosa procede secondo un preciso ordine. Uomini e donne sono alle prese con le loro occupazioni.
Nessuno immagina che quel 21 novembre è destinato ad entrare negli annali, come il giorno del “Dilluvioni”, ovvero qualcosa di più di una normale alluvione.
La giornata sembra, ormai, instradata sul binario della consueta normalità quando, verso le 16, le nubi iniziano a farsi minacciose. Sta per arrivare la pioggia, ma a Serra non è certo una notizia. Nessuno ci bada più di tanto. Verso le 17, inizia la salva di tuoni e fulmini che sembrano voler squarciare il cielo.
Intanto, con il buio è arrivata anche la pioggia la cui intensità inizialmente non lascia presagire cosa sta per accadere. All’improvviso, però, arriva quella che oggi definiremmo una bomba d’acqua. In poche ore cadono 509 mm di pioggia. Chi si trova per strada cerca scampo dove può, nella speranza si tratti di un normale temporale.
Ma quel giorno, di normale non ha proprio nulla. La furia della pioggia e del vento sono tali che iniziano a cadere gli alberi, qualcuno finisce nell’Ancinale. Nei punti in cui l’argine è più stretto, complice la presenza di qualche ponte, i tronchi si mettono di traverso e creano un effetto diga.
Il fiume tracima ed inizia ad invadere il centro abitato. Le zone più esposte sono le botteghe artigiane che sorgono sul Garusi e la zona abitata che sorge su corso Umberto I, attorno alle chiese Matrice ed Addolorata.
Il livello dell’acqua sale rapidamente, chi non ha fatto in tempo a scappare cerca scampo sui tetti. Le donne recitano il Rosario, gli uomini non credo ai loro occhi. Nessuno ricorda niente del genere. Dai tetti delle case che si affacciano attorno al Monumento lo spettacolo è desolante. Tutto è stato travolto e sommerso.
Corso Umberto I ha le sembianze di un lago. Le ore passano, la situazione non migliora. A molti sembra di trovarsi davanti ad una riedizione del diluvio universale. A rendere l’atmosfera ancora più lugubre, le tenebre che avvolgono il paese dopo che l’acqua ha trascinato via i pali della luce e della rete elettrica.
Verso la 22, sembra essere arrivato il miracolo che tutti hanno invocato, la pioggia cala d’intensità e le acque iniziano a defluire. Il tappo, di alberi e terra, che ha ostruito l’Ancinale è saltato.
Ciò che per Serra rappresenta la salvezza, per altri è l’inizio della tragedia. I paesi situati a valle del fiume vengono, infatti, travolti dall’onda d’acqua. A Spadola il ponte che collega a Brognaturo viene abbattuto. Le conseguenze più disastrose le subisce Cardinale, dove la parte bassa dell’abitato viene trascinata via insieme a 44 persone.
Passata la piena, i serresi scendono dai tetti. L’entità del disastro, però, sarà chiara solo alle prime luci dell’alba, quando gli effetti devastanti della tragedia saranno visibili nella loro interezza. I danni materiali sono ingentissimi. L’acqua, il cui livello ha raggiunto i due metri d’altezza, ha trascinato con sé ogni cosa. Strade e case sono invase da fango e detriti. Il cumulo di terra e sabbia, in alcuni punti, supera i tre metri.
Ma non è tutto. Alla disperazione di chi ha perso soldi e beni, in alcuni casi una vera e propria fortuna, si unisce il dramma di chi ha perso la vita. La pioggia non ha fatto distinzioni di età, sesso o condizione sociale. L’acqua ha trascinato tutto ciò che ha incontrato sul proprio cammino, compresa la vita di 18 persone.
Nella giornata del 22 verranno recuperati i primi 8 corpi, 5 uomini e 3 donne. Per gli altri dieci bisognerà aspettare i giorni successivi.
Tra le vittime della tragedia, il più anziano è un vegliardo, Giuseppe Muzzì che probabilmente, raggiunta la veneranda età di 88 anni, non si sarebbe mai aspettato di dover morire in quel modo.
I devastanti effetti dell’alluvione trovano ospitalità sulle cronache nazionali. La Stampa di Torino, nell’edizione del 23 e del 24 novembre, riporta ciò che è accaduto segnalando Serra San Bruno tra i “comuni più danneggiati”.
A distanza di più di 80 anni, di quella tragedia rimane soltanto una lontana eco. Altrettanto sbiadito è il ricorso di quella canzone scritta, con il tipico spirito canzonatorio dei serresi che riescono a burlarsi anche delle sventure e della quale ricordiamo, solo alcuni versi: “Lu 21 di novembri vinna lu dilluvioni/ mu si leva d’arriedi la chiesa chidha massa d’imbroglioni”.