Il busto reliquiario di San Bruno ed il mistero della sua apertura
Frutto di un argentiere napoletano, o del celebre maestro Laurana, in argento sbalzato, cesellato e butilato, centimetri 65 per centimetri 55, nel 1516 il busto argenteo di san Bruno fece il suo ingresso trionfale nella cittadina della Certosa tra i grandi festeggiamenti del fedeli. Due anni prima, Bruno di Colonia, fondatore dell’Ordine dei certosini veniva proclamato Beato viva vocis oraculo (19 luglio 1514) da Papa Leone X, che concesse ai certosini di celebrarne il culto. A questo atto pontificio seguirono, quindi, le bolle del 17 febbraio 1623 di Gregorio XV e del 1674 di Clemente X, che ne estesero il culto a tutta Chiesa.
La necessità di avere un busto reliquiario fu posta in essere da parte dei monaci certosini di san Martino dopo che qualche anno prima vennero ritrovare le spoglie di Bruno insieme a quelle del beato Lanuino da un signore di Stilo in un muro dietro l’altare dell’attuale Santuario mariano di Santa Maria del Bosco e dopo che vennero traslate ad opera dei monaci Cistercensi presso il Monastero di Santo Stefano che in quel periodo “occupavano” la Certosa. Le ossa del fondatore dell’Ordine vennero quindi spedite a Napoli dove fu fatta una nuova ricognizione e dove i monaci certosini s’incaricarono di far costruire un degno reliquiario che custodisse le rimanenti spoglie di Bruno.
L’attribuzione non è certa anche se sembra che l’influenza di Laurana ci stia tutta e, se non lui, ad eseguire questo finissimo lavoro di alta oreficeria potrebbe essere stato un suo discepolo. Il Busto reliquiario, raro esempio di cone l’arte sia riuscita nella raffigurazione plastica del volto dell’ascesi, una volta giunto a Serra, accolto dal lancio dei confetti, venne custodito nella Monastero bruniano fino al 1783, anno del disastroso terremoto che decretò danni irrimediabili alla struttura certosina. Successivamente venne custodito nella chiesa Matrice fino alla riapertura della Casa certosina avvenuta agli inizi del ‘900.
Il busto viene portato in processione sulla cosiddetta “varia”, un tronetto realizzato nel 1797 dall'artista napoletano Luca Baccaro. I quattro lati della varia sono rivestiti di lamine d'argento lavorate a sbalzo con motivi fitomorfi, Al centro di ogni lato vi è un medaglione d'argento incorniciato con rami di palma di bronzo. Il lato A raffigura una scena con i monaci certosini risparmiati dal terremoto del 1783. Nel lato B si vedono i monaci che ringraziano Dio per lo scampato pericolo. Nel lato C è riprodotto lo stemma della famiglia Taccone di Sitizano, donatrice della varia, e nel lato D lo stemma della Certosa. Ma il mistero s’infittisce quando si tratta di comprendere come vengono custodite e di cosa sono composte le reliquie di Bruno di Colonia.
A descriverci come si apre il prezioso reliquario e cosa vi si trova è lo storico dell’arte Domenico Pisani nel volume sul patrimonio storico e artistico della Certosa impreziosite dalle foto di Bruno Tripodi. Dopo aver aperto lo sportelletto sottostante il busto bisogna infilare in maniera particolare la mano in una cavità fino a giungere ai tre bulloni che tengono avvitato il capo al busto, svitandoli la testa del Santo si divide quindi a metà tra volto e cappuccio ed è possibile arrivare alla reliquia. Ma di cosa si stratta? Il complesso meccanismo di apertura con tutta probabilità voleva celare un piccolo segreto. Alla certosa di san Martino tra le reliquie principali fu inviata l’intera calotta cranica di san Bruno ma nel reliquario ne viene custodia solo metà, quella che arriva fino alle orbite. Con tutta probabilità i certosini di san Martino non volevano che si scoprisse questo “piccolo” particolare e avevano fatto si che venisse creato un meccanismo così complesso da vanificare i vari tentativi di apertura per non scoprire che avevano trattenuto “qualcosa” del loro Fondatore.