A Soveria Mannelli “Il giro delle sette chiese”

E’ in fase di chiusura il programma della prima edizione del “Giro delle sette Chiese di Soveria Mannelli”, organizzato dalla locale Pro loco, in collaborazione con l’amministrazione comunale e le parrocchie di San Giovanni Battista in Soveria Mannelli e di San Michele Arcangelo in San Tommaso, Colla e Pirillo.

La manifestazione si svolgerà il prossimo sabato 4 agosto, all’interno della kermesse estiva “Essere a Soveria 2018” e riguarderà una passeggiata tra natura, cultura e spiritualità che toccherà l’intero territorio della Città del Reventino.

I momenti culturali prevedono la visita della Pinacoteca Comunale, presente all’interno del Palazzo Municipale “Cimino”, dei giardini dello storico Palazzo Marasco, costruito nel 1668, del Lanificio Leo, la più antica fabbrica calabrese della lana, il passaggio dalla Fontana dei Francesi, e la presentazione di tre libri della casa editrice Rubbettino.

Sono stati previsti anche momenti benessere con lo Yoga della Risata, gestito da Graziella Mazza, di svago con le sculture di palloncini per i più piccoli, abilmente modellati da Gianluca Abbruzzese, e di rivalutazione delle nostre tradizioni con un laboratorio di avvio verso l’apprendimento delle danze popolari Calabresi e del Sud Italia, nonché una dimostrazione di strumenti popolari, con Angela Bianco e Maria Giovanna Casalinuovo.

Durante la giornata si potrà ammirare il suggestivo ponte “Ivano Mauro” presente in località Baraccone, la villetta comunale “Valentina Cosentino”, i boschi ed il paesaggio fiabesco che fanno da contorno alla Chiesetta Madonna degli Abbandonati, ed il Parco del Gran Sasso di Soveria.

“Sono state inoltrate le varie richieste di autorizzazione per un percorso - afferma Antonio Ferrante, presidente della Pro loco di Soveria Mannelli - partirà dal Santuario dedicato alla “Nostra Signora di Fatima”, per giungere nella cappella presente all’interno dell’ospedale civile, passando dalla chiesa di San Michele Arcangelo, nella frazione San Tommaso, dalla chiesa Madonna degli Abbandonati, dalla Chiesa della Madonna della Salute, nella frazione Pirillo, e dalla chiesa Maria Santissima del Rosario, nella frazione Colla. Un percorso che valorizzerà sia il capoluogo che le bellissime Frazioni della nostra cittadina.”

Entra in chiesa e ruba oggetti sacri, arrestato

Gli agenti della Polizia di Stato di Reggio Calabria hanno tratto in arresto G.L., di 52 anni.

L'uomo, già noto alle forze dell'ordine e sottoposto all’obbligo di presentazione alla p.g., è stato sorpreso all’uscita della chiesa del Sacro Cuore con oggetti sacri appena trafugati.

Alla vista dei poliziotti, il 52enne ha cercato di scappare, ma è stato prontamente bloccato. Al termine della perquisizione cui è stato sottoposto, è stato trovato in possesso di alcune teche e scatole per particole in ottone, avvolte in un cellophane.

Il Pm di turno della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Reggio Calabria ha disposto che l’arrestato fosse collocato agli arresti domiciliari in attesa della celebrazione del rito direttissimo previsto per la giornata di oggi.

 

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I migranti e l'accoglienza senza umanità

 Da un punto di vista antropologico, la questione dei “migranti” viene affrontata in un modo che si può dire l’esplosione ufficiale del più evidente materialismo in versione piccolo borghese: “fuggono dalla guerra e dalla fame”; “cercano una vita migliore”… Queste sono le spiegazioni, che, nella mentalità comune, paiono anche convincenti, ovvie. E “accogliere” viene inteso come dare loro un tetto, del cibo, dei vestiti… nel caso migliore, quattro soldi (a loro!) e il cellulare. Non si sente alcun cenno, nemmeno da Altissimo loco, al fatto che essi, prima che “migranti”, sono esseri umani nel senso complesso di questa espressione, che non può essere ridotto a mangiare e bere e dormire. Ci sono o no esigenze esistenziali?

 Come tira avanti, un “migrante”, l’interminabile giornata d’estate? Si sveglia, fa colazione, aspetta il pranzo, aspetta la cena e va a dormire. Per esperienza diretta, giuro che un tale stile di vita non lo sopporterebbero nemmeno i miei tre cani: vogliono uscire, vogliono giocare, vogliono essere accarezzati, abbaiano per comunicare… Sono solo cani, i miei cani, ma a volte si annoiano; immaginate la noia profonda di un essere umano che per ventiquattr’ore non faccia niente di niente.

Non lavorano; ma quand’anche ci fosse lavoro da dare loro, resterebbe sempre gran tempo libero da riempire. Non studiano: e cosa? E in quali scuole? Non leggono: e cosa? Non praticano sport…

 Ho cominciato con il minimo: come passare il tempo. Ma andiamo ad esigenze che non sono solo fisiche, bensì anche psichiche: i rapporti umani e l’amore. E qui lascio il problema all’immaginazione del lettore; sperando che non si limiti a pensare al “sesso” solo in termini biologici.

 E tra loro ci sarà, ancora, qualcuno che creda in qualche religione! Io, che in chiesa vado ogni domenica, non ho mai visto “migranti” cristiani a Messa; né so di luoghi dove si riuniscano di musulmani. E non mi pare che qualcuno si preoccupi delle esigenze spirituali e religiose, come accadeva ai nostri emigranti, sempre meritevolmente assistiti da missionari. Nessuno tenta di dialogare con loro su Dio e l’anima: niente, solo mangiare e bere e dormire!

 Insomma, trionfo del peggiore edonismo spicciolo dell’Europa degenerata. Se un giorno qualcuno si preoccuperà mai di qualcosa in più di mangiare e bere e dormire, vedrete che porteranno i “migranti” in discoteca. Siamo o non siamo la “generazione Bataclan”?

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Il papato, l'Italia ed i Patti Lateranensi

Il problema politico dell’Italia, come rilevava già il Machiavelli, è la presenza millenaria di uno Stato della Chiesa, che, in quanto Stato, abbisognava di un territorio e delle forze armate proprie; il che era in evidente contrasto con il concetto di unità.

 Il Congresso di Vienna aveva restaurato lo Stato Pontificio nei confini del 1796: Roma e Lazio (fino a Sora), Umbria, Marche, Romagna. Ne era sovrano, con rango di re, il papa pro tempore.

 Pio IX nel 1848 ne aveva fatto un Regno costituzionale; ma gli eventi lo superarono, e nel 1849, con l’assassinio del ministro Pellegrino Rossi, venne proclamata una Repubblica mazziniana. Il papa si rifugiò a Gaeta, e chiese l’aiuto delle Potenze cattoliche. Intervenne di fatto solo la neonata Repubblica francese, il cui presidente e prossimo dittatore poi imperatore, era Luigi Napoleone Bonaparte. Questi era sostenuto dal partito cattolico francese, e doveva comportarsi di conseguenza.

 Tornato il papa a Roma e riaffacciandosi, con la Guerra di Crimea e il Congresso di Parigi, la questione politica italiana, Napoleone III e Cavour s’intesero per una confederazione tra Sardegna allargata all’Italia Settentrionale; un Regno dell’Italia Centrale; il Regno Meridionale; e Roma da lasciare alla Chiesa. Era un programma fragile, e ancora una volte prevalsero le cose sulle intenzioni: la Sardegna si annesse Milano, Parma, Modena, Bologna e Firenze, e cedette alla Francia Nizza e Savoia. Napoleone III si assunse l’onere di proteggere il papa.

 Quando Garibaldi conquistò le Due Sicilie con troppa facilità, e prese Napoli in treno, non fece mistero di voler puntare su Roma e cacciarne Pio IX, che definiva in un modo che qui non posso ripetere. Napoleone III, per evitare un diretto intervento francese e complicazioni europee, incaricò Cavour di fermare Garibaldi; e, trovato il vuoto, questi si annesse anche Marche, Umbria e l’intero Meridione.

 Restò al papa appunto Roma con il Lazio, in termini più brevi dell’attuale. L’Italia tuttavia proclamò Roma sua capitale. L’evidente contrasto venne risolto con la Convenzione di settembre 1864, con cui l’Italia non rinunciava a Roma ma a ogni atto di forza per averla, e trasferiva intanto la capitale a Firenze. In cambio, la Francia ritirava le truppe; ma le dovette mandare ancora dopo il colpo di testa di Garibaldi del 1867, tuttavia sconfitto dai Pontifici.

 Intanto si complicavano gli equilibri europei, e la Prussia di Bismarck attirava in una trappola Napoleone III, lo batteva e faceva prigioniero a Sedan, annientava anche la rinata repubblica. L’Italia, sentendosi libera da ogni impegno, attaccava Roma, il 20 settembre 1870. Il papa ordinò la resistenza perché non si potesse dire che avesse rinunciato al trono regale, poi, con una resa ai soli effetti militari della città, si chiuse in Vaticano. Da allora si aprì una frattura insanabile tra la Chiesa e il Regno d’Italia.

 Insanabile, a dire il vero, non del tutto. La Chiesa rifiutò la Legge delle guarentigie, ma se ne servì; e nessuno poté togliere agli Italiani, Vittorio Emanuele incluso, la Fede cattolica e le pratiche di pietà. Tuttavia lo Stato era formalmente scomunicato, e il papa si dichiarava prigioniero; vietando ai cattolici ogni partecipazione alla vita politica italiana.

 Un piccolo passo si ebbe con Giolitti e il Patto Gentiloni (ascendente di costui!), che consentiva ad alcuni cattolici di candidarsi a titolo strettamente personale; mentre veniva condannato il Partito Popolare di Sturzo. Scoppiata la Prima guerra mondiale, la Santa Sede nominò un Vescovo Catrense con giurisdizione sui cappellani militari. Piccole cose, tuttavia passi.

  Mussolini iniziò trattative segretissime, servendosi di intermediari insospettabili, tra cui il gesuita Tacchi Venturi, lo storico delle religioni, e l’avvocato Pacelli, fratello del futuro Pio XII. Base di discussione era, da entrambe le parti, il riconoscimento politico; sarebbero seguite poi le soluzioni ai problemi particolari.

 Del tutto inattesa, venne annunziata la firma dei Patti Lateranensi, l’11 febbraio 1929, festa della Madonna di Lourdes. La solenne cerimonia vide l’incontro tra il Capo del governo italiano, Mussolini, e il Segretario di Stato di Pio XI, cardinale Gasparri. I Patti constavano di due documenti, il Trattato agli effetti internazionali, e il Concordato agli effetti interni. Il primo riconosceva al papa un suo Stato indipendente, la Città del Vaticano; l’altro attribuiva al cattolicesimo la dignità di religione nazionale, del resto sancita dall’art. 1 dello Statuto del 1848, sempre in vigore.

 Attenzione qui. Mai come quando si tratta di religione, le parole pesano. Religione nazionale non significa religione dello Stato, e tanto meno una Chiesa di Stato come nel mondo protestante; significa l’affermazione che il popolo italiano è (o, nel 1929, era!) storicamente e attualmente cattolico, e perciò rappresentato dalla Chiesa Romana. A questa si attribuivano dunque privilegi come l’insegnamento della religione cattolica nelle scuole.

 Definite le questioni politiche e disciplinari, non è che tutto fosse senza ombre. Negli ambienti fascisti stessi si mostrò una certa opposizione, sia da parte di neopagani come Evola, sia, con ben altro peso, da risorgimentalisti come Gentile, che, una volta tanto d’accordo con Croce, votò contro in Senato; e altri criticarono Mussolini perché cedeva del territorio nazionale, per quanto piccolissimo. Né gli uni né gli altri né gli altri ancora preoccuparono il duce, che mirava a porre fine a una piaga morale e politica che aveva lacerato il popolo italiano.

 Più turbolenti alcuni ambienti come l’Azione Cattolica. Appena firmati i Patti, divamparono dei brevi ma vivaci contrasti per la questione dell’educazione della gioventù; e ne approfittò volentieri l’anticlericalismo del vecchio fascismo originario. Una curiosità: il bonario fascismo soveratese se la prese con i Salesiani, i quali, leggiamo nella Cronaca dei direttori, celebrarono il Corpus Domini al loro interno. La pace fece presto a tornare in tutta Italia, e quindi anche a Soverato.  I rapporti tra Chiesa e Regime furono solidi e tranquilli; nemmeno la guerra turbò l’indipendenza della Santa Sede.

 Nel 1934, intanto, la Chiesa Cattolica tedesca firmava un Concordato con il Reich nazionalsocialista. Con tale atto, Hitler stravolgeva non solo la politica laicista di Weimar, ma la stessa tradizione anticattolica di Bismarck.

 La costituzione del 1948 ci ammannisce un articolo 7 che, fuori da ogni logica giuridica, fa dei Patti Lateranensi uno dei “principi fondamentali” della vita pubblica italiana. Quanto era più saggio lo Statuto del 1848, che parlava di “religione”; e quelli mussoliniani del 1929 erano dei “Patti”, non dei “principi”. I patti, che per definizione si fanno tra due parti distinte, si discutono e possono essere non solo modificati (come avvenne nel 1984), ma anche denunziati da una o da entrambe le parti; i principi dovrebbero essere eterni.

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Lamezia, referendum: Azione identitaria critica la scelta di concedere il salone vescovile

Riceviamo e pubblichiamo:

"In vista della consultazione referendaria è del tutto normale la scesa in Calabria di vari politici nazionali, tutti impegnati a sostenere e spiegare ai cittadini le proprie ragioni, quello che ho trovato decisamente fuori luogo è l’impegno attivo della Chiesa la quale, attraverso la Diocesi di Lamezia Terme, concede il salone vescovile ad un ministro come la Boschi, la quale nella sua azione politica, insieme ad altri suoi colleghi, non ha osservato il rispetto della Dottrina sociale della Chiesa, che dovrebbe essere quella di stare dalla parte dei poveri per come il Vangelo ci insegna e verso il quale lo stesso Papa non smette mai di ricordare. Che la Chiesa partecipi dando il suo fattivo contributo alle vicende ed ai dibattiti politici la trovo assolutamente una cosa normale, quello che stride fortemente è il distacco che questa assume in certe situazioni rispetto al Magistero tradizionale ed alla sua Dottrina.

 Papa Leone XIII scriveva nella sua enciclica che la società moderna stava andando verso un costante progresso dal punto di vista materiale e pertanto sosteneva che questo non poteva essere sufficiente e non bastava, in quanto lo scopo della società doveva essere quello di aiutare l’uomo a perfezionare se stesso nella prospettiva della sua salvezza eterna.

Leone XIII scriveva parole durissime contro quell’ipercapitalismo che oggi impera, “la cupidigia dei padroni e la sfrenata concorrenza che creano povertà, colpiscono gli indifesi operai e l’usura divoratrice continua grazie ad ingordi”.

Oggi il capitalismo è rappresentato dalle varie banche, istituzioni finanziarie e poteri sovranazionali che ordinano ai nostri politici ricette da prescrivere al popolo, non per guarirlo naturalmente, bensì per allungarne sofferenza ed agonia.

Con la Rerum Novarum Leone XIII aprì la strada ad una terza via, anticapitalista ed antimarxista con la quale sancì la superiorità del lavoro sull’economia, tutti insegnamenti ignorati dai governi, specie di quelli degli ultimi vent’anni, nei quali banchieri ne hanno e ne continuano a fare parte e la stessa ministra Boschi ne rappresenta la più vivida testimonianza pratica.

Governi come quello di Renzi che tollera suicidi di gente senza lavoro ormai disperata, migliaia di aborti, matrimoni omosessuali, come può la Chiesa ospitarne un suo rappresentante senza sentirsi in dovere di chiedere allo stesso sul perché di questa condotta politica che va decisamente contro l’insegnamento di nostro Signore Gesù Cristo?

Oggi quella enciclica e quelle parole scritte da Leone XIII sono ancora più attuali e comprensibili e dovrebbero essere prese in considerazione dalle istituzioni cattoliche e da tutte quelle associazioni che ruotano attorno ad essa . Non si venga a giustificare l’ospitalità alla ministra Boschi con la solita solfa della democrazia, parola nata sette secoli prima della nascita di Cristo in Grecia e l’unica volta in cui viene usata nel Vangelo è applicata per mandare Gesù a morire in croce e liberare Barabba. Oggi la Chiesa più che mai deve porsi come punto di riferimento per i più poveri, cosi come più volte predicato dallo stesso Papa Bergoglio, per dare speranza alla classe lavoratrice, artigianale e soprattutto ai giovani che non vedono un futuro.

Spero vivamente che lo stesso Emerito Vescovo Cantafora, che ha gentilmente messo a disposizione la sala della Diocesi alla ministra Boschi, voglia chiedere conto alla stessa della condotta politica del governo, che certamente è ben lontano dal vero pensiero Cristiano e sociale che deve assurgere a guida per risolvere i drammi dei nostri giorni"

Igor Colombo - Coordinatore regionale  Azione identitaria Calabria

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L’antica origine della festa di Ognissanti

La ricorrenza di Ognissanti ha una lontana eco celtica ed affonda le radici nell’VIII secolo, quando, ricorda Alfredo Cattabiani nel suo Lunario, “l’episcopato franco la istituì per sostituirla al Capodanno celtico che cominciava all’inizio di novembre”. 

Tuttavia, perché la festività si diffondesse in Europa dovettero trascorrere alcuni secoli. Inizialmente, la “Chiesa siriaca celebrava tutti i santi durante il tempo pasquale, quella bizantina la domenica successiva alla Pentecoste, mentre a Roma la commemorazione cadeva il 13 maggio” ovvero nello stesso giorno in cui, nell’anno 610, Bonifacio IV aveva ottenuto, dall’imperatore Foca, di consacrare il Pantheon, già dedicato da Marco Agrippa a Giove Vendicatore, alla Vergine Maria ed a tutti i martiri.

 A partire dall’VIII secolo, in seguito alle richieste avanzate dai monaci irlandesi, Papa Gregorio II stabilì che la festa di tutti i Santi dovesse essere celebrata l’1 novembre. L’intento era di “assorbire” nella nuova festa il Capodanno celtico.

 Non deve sembrare strana la circostanza che i celti festeggiassero il Capodanno nel cuore dell'autunno. Per i popoli legati ai cicli della terra, il periodo dell'anno compreso tra ottobre e novembre corrispondeva, infatti, all'inizio della stagione agraria. 

“Il grano - scrive Cattabiani - è stato appena seminato, è sceso negli inferi, nel cuore della terra, e comincia il suo lento cammino verso la futura germinazione. La vita si rinnova anche se sottoterra: vita e morte si con-fondono nel ciclo cosmico”. 

Nonostante gli sforzi dell’episcopato le vecchie credenze di matrice celtica continuarono a convivere con i nuovi riti cattolici. Per cercare di sradicare l’elemento pagano, senza suscitare le ire del popolo, la Chiesa franca introdusse, quindi, la commemorazione dei defunti. 

In particolare, pare sia stato “Odilone di Cluny a ordinare nel 998 ai cenobi dipendenti dalla celebre abbazia di celebrare l’ufficio dei defunti a partire dal vespro del primo novembre”. Solo a partire dal 1475 la festività di Ognissanti venne resa obbligatoria in tutta la Chiesa d’occidente da Sisto IV. Tuttavia, il culto del Capodanno celtico non si spense, anzi, seppur nella versione più deteriore, è arrivato fino a noi con la festa di Halloween.

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Dalle Serre a Riace, il cammino dei pellegrini dei Santi Medici

Il nome di Riace evoca inevitabilmente i Bronzi, le due magnifiche opere d’arte custodite nel museo nazionale di Reggio Calabria. Riace, però, non è solo il paese dei Bronzi, è soprattutto il luogo in cui ogni anno convergono migliaia di fedeli per rendere omaggio ai Santi Medici.

Tra i numerosi pellegrini, la pattuglia che arriva dalle Serre è da sempre particolarmente nutrita.

Nei giorni della festa, molti abitanti dell’area serrese, spinti dalla devozione e non solo, si mettono in cammino per raggiungere la cittadina ionica.

In molti casi, si tratta di un vero e proprio cammino della fede in occasione del quale, centinaia di uomini, donne, vecchi e bambini, sfidano la stanchezza e talvolta le intemperie, pur di portare il loro omaggio ai santi Cosma e Damiano. Fin dalle prime ore della mattinata lungo malmessi sentieri ed antichi tratturi, i fedeli, seguendo un silenzioso richiamo, si mettono in marcia.

Si tratta di un rituale che affonda le radici in un lontano passato, nel tempo in cui, come ha scritto Emile Bertaux, «il pellegrinaggio non è (ra) uno straordinario dovere di pietà, ma un atto periodico della vita, diventato necessario quanto il lavoro di ogni giorno. Esiste per il pio viaggio un tempo stabilito, come per particolari lavori di campagna; il momento in cui la tradizione ha fissato le partenze verso i santuari oggetto di culto è determinato dalle stesse condizioni di clima che regolano le migrazioni dei pastori e dei mietitori: il contadino lascia i campi per i santuari nel momento in cui la terra, abbandonata a se stessa, può continuare un lavoro in sordina, senza l’aiuto dell’uomo».

Una festa singolare quella in onore dei Santi Medici, i due gemelli di origine araba che, secondo la tradizione, sarebbero diventati martiri in Siria ai tempi dell’imperatore Diocleziano. Una festività che rimanda agli antichi culti introdotti in Calabria dai monaci Bizantini.

Anche la Chiesa ortodossa celebra, infatti, Cosma e Damiano nei giorni del 1 luglio, del 17 ottobre e del 1 novembre. La devozione “serrese” in onore dei Santi Medici trova conferma nella diffusione dei due nomi presso molte famiglie.

Un’usanza scemata con il trascorrere del tempo e con l’esigenza di offrire, più che a Santi e Beati, ad improbabili personaggi televisivi il nome dei propri discendenti. Il pellegrinaggio dovrebbe essere devozione, espiazione, fede e speranza, ma nel corso degli anni ha subito una profonda trasformazione al punto che, in molti casi, è diventato una sorta di svago, quasi un divertissement. Del resto, l’aspetto ludico o utilitaristico non appartiene solamente ai nostri giorni.

Sul finire del Seicento, padre Giovanni Fiore da Cropani scriveva, infatti, che i pellegrini muovevano alla volta di Riace per « la devozione, e pel nobile e grandioso mercato o fiera [che] si fa in questo giorno ivi».

Non va però trascurato chi ancora vive il pellegrinaggio in aderenza agli antichi principi. Il percorso, per quanti partono dalle Serre, è caratterizzato da alcuni significativi passaggi intermedi.

Il santuario di monte Stella, in prossimità di Stilo, diventa, infatti, luogo di sosta e ristoro per coloro i quali sulle pendici dell’antico eremo bizantino trascorrono la notte in attesa di riprendere all’alba la via del pellegrino.

Alcuni, invece, sono soliti sostare e rifocillarsi a Stignano, piccolo borgo alle porte di Riace.

La notte, in attesa di riprendere il cammino, rappresenta l’occasione per cimentarsi in veglie di preghiera, in canti dal motivo più o meno religioso o in conviviali deschi attorno ai quali il vino solitamente si alterna agli altri piaceri del palato.

Andare all’origine della diffusione di un evento che coinvolge buona parte degli strati popolari serresi non è affatto semplice. L’unica certezza sembra essere quella che indica il 1669 quale data di origine dei festeggiamenti, che pare siano iniziati a Riace in seguito all’arrivo delle reliquie di San Cosma.

Una genesi peraltro confermata da padre Giovanni Fiore da Cropani, il quale ne “La Calabria Illustrata” (la cui ristampa, qualche anno addietro, è stata curata di Ulderico Nisticò) scrive: «Li SS. Cosimo e Damiano. Si fa festa singolare a questi gloriosi martiri in più luoghi della Calabria […] altresì nel territorio di Riace, villaggio della città di Stilo, diocesi di Squillaci, dove si adorano con gran venerazione le reliquia di questi santi miracolosi, con gran concorso di buona parte della provincia».

Si tratta, quindi, si una festa la cui tradizione viene rinnovata ogni anno attraverso singolari atti di fede, non da ultimo, il ballo dei gitani che al ritmo del tamburello offrono la testimonianza della loro devozione ai Santi venuti dall’Oriente.

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