Quale sia la ragione per cui da vari ambienti, politici e giornalistici, sia partita negli ultimi giorni una campagna volta a blindare la posizione di Tonino Scalzo in qualità di presidente del Consiglio regionale, non è chiaro. A sbloccare lo stallo creatosi nella costruzione del mosaico è lo stesso inquilino di Palazzo Campanella che nella serata di lunedì pare si sia deciso a fare il passo indietro richiestogli. Quel che, però, appare lampante, è l'indefessa insistenza, in buona fede o meno, che accompagna l'idea secondo la quale il piano politico-istituzionale e quello giudiziario possano essere perfettamente interdipendenti e sovrapponibili. Sarebbe il caso di essere lineari e seguire un percorso coerente: il garantismo ed il giustizialismo non sono, e non potranno mai essere, armi da esibire in scontri da tenere fuori dagli uffici e dalle aule in cui si amministra la legge. In caso contrario, la confusione continuerebbe ad albergare nei cuori e nelle menti di un'opinione pubblica assetata del sangue della politica. Indugiare in sottigliezze sul piano formale, come è stato fatto finora, non aiuta a sciogliere nodi che sono tutti appartenenti alla sfera delle dinamiche interne ai partiti. Fingere che così non sia è una truffa a danno della credulità popolare. Ciò significa che la conferma, o meno, di Scalzo sullo scranno più alto di Palazzo Campanella non sarebbe dovuta discendere da distinguo operati in punto di diritto, ma, piuttosto, essere oggetto di una valutazione politica complessiva alla luce del quadro emerso dopo la deflagrazione dell'inchiesta "Erga omnes". Il cerchio, in questo ed in altri casi in cui si appalesa il cortocircuito, si chiuderà solo se e quando si riuscirà a separare, una volta per tutte ed in modo netto, i due livelli, politico e giudiziario. Sostenere, come fa qualcuno, che le presunte responsabilità dell'attuale presidente del Consiglio regionale, per come individuate dagli inquirenti, siano infinitamente meno gravi rispetto a quelle degli altri personaggi coinvolti nell'indagine sulla gestione dei fondi assegnati ai Gruppi consiliari, è un esercizio strumentale che attiene agli atti propri di una dinamica processuale. Perché, delle due l'una, o si rispetta lo Stato di Diritto, ed in questo caso anche Enzo Ciconte e Carlo Guccione avrebbero meritato di rimanere al loro posto in Giunta. O, in alternativa, sensibilità istituzionale e rispetto dell'etica politica imporrebbero un passo indietro a chiunque, finito nelle maglie dell'attività investigativa, rivesta ruoli apicali in ambito regionale. Una logica stringente che, a differenza di quanto rivendicato con finta obiettività dai suoi improvvisati, ha indotto il presidente della massima assemblea elettiva calabrese ad avviare il cammino verso la porta dell’uscita. D’altra parte, le considerazioni di chi si è ostinato a separare il destino di Scalzo da quello dei due assessori, non poggiavano su basi solide se si utilizzano argomenti legati al formalismo istituzionale. Operare una cesura fra il profilo esecutivo e quello legislativo è inutile ancorché velleitario: si potrebbe, infatti, obiettare con estrema semplicità che una dimensione terza è degna di essere al di sopra di qualsiasi sospetto più ancora di quella strettamente connessa al mandato proprio di un assessore. Si tratta, come si vede, di una perigliosa arrampicata sugli specchi che lascia intuire motivazioni individuabili soltanto se si frequentano i retropalchi dei teatrini della politica.