Il 5 maggio 1945 è una normale domenica. Il reverendo Archin Mitchel, sua moglie Elsie Winters e cinque ragazzi tra gli 11 e i 13 anni che frequentano la parrocchia, ne approfittano per fare un pic-nic nella foresta di Gearhat Montain, non lontano da Bly, in Oregon. Giunti a destinazione, mentre il reverendo si attarda a parcheggiare l’autobus, i ragazzi e la loro accompagnatrice s’incamminano su un sentiero. Lungo il tragitto s’imbattono in uno strano oggetto e decidono di raccoglierlo. Segue una terrificante esplosione che squarcia il silenzio in cui è ancora immerso il bosco. Il reverendo Mitchel si precipita, la scena che gli si para innanzi è agghiacciante. Al suolo, straziati dalla deflagrazione, giacciono i cadaveri della moglie ventiseienne e dei cinque ragazzi. Nonostante lo shock, riesce a chiedere aiuto. Insieme allo sceriffo, arrivano militari, polizia federale e servizi segreti.
A provocare la strage non è stato un oggetto qualsiasi, ma una bomba giapponese. Senza portaerei in grado di attraversare il Pacifico e con il progetto del primo bombardiere a largo raggio ancora sulla carta, i nipponici, in teoria, non avrebbero le capacità logistiche per colpire il suolo americano. Quello che a molti sembra un enigma, tale non è, almeno per i militari che, da qualche mese, sono in allarme per alcune esplosioni legate a ciò che nel primo numero del 1945, la rivista Newsweek aveva definito il “Balloon mistery”. Un mistero per molti destinato a rimanere tale per effetto della censura. I cittadini, infatti, non devono sapere che l’America e sotto attacco a casa propria. Dietro al “Balloon mistery” ci sono, infatti, i giapponesi che, il 3 novembre 1944, hanno dato l’abbrivio all’operazione “Fu-Go” con l’impiego, su larga scala, della prima arma intercontinentale della storia. La “nuova” arma, battezzata “Vascello del vento”, non ha niente in comune con le V1 e le V2, i razzi tedeschi usati per attaccare l’Inghilterra. Lo strumento impiegato dai giapponesi è, apparentemente, rudimentale, ma per poco non cambia l’esito della guerra. La loro arma segreta è una tutt’altro che banale mongolfiera. L’operazione è stata inizialmente pensata per lavare l’onta subita il 18 aprile 1942 con il raid “Doolittle”, quando 16 B-25 decollati dalla portaerei Hornet erano riusciti a bombardare Tokyo. L’incursione, irrilevante sotto il profilo militare, rappresentò un duro colpo per i giapponesi che ritenevano di non poter essere colpiti sul territorio metropolitano. Per rispondere all’affronto, il 9 settembre 1942, un piccolo idrovolante portato a ridosso della costa americana da un sottomarino, lancia bombe incendiarie sul Monte Emily, in Oregon. Non può bastare. Lo stato maggiore nipponico vuole un’arma in grado di colpire gli Stati Uniti con regolarità. Qualcuno, forse pensa all’operazione “Outwad”, con la quale gli inglesi hanno lanciato contro la Germania nazista decine di palloni armati di bombe incendiarie. Tuttavia, l’impresa di far viaggiare per oltre 6 mila chilometri una mongolfiera è piuttosto complessa. I giapponesi, però, non partono da zero. Nel 1933, infatti, hanno già studiato la possibilità d’impiegare un pallone a fini bellici. Ad occuparsene era stato il tenente generale Reikichi Tada, del Japanese military scientific laboratory. Interrotto nel 1935, il progetto viene rispolverato dal generale Sueyoshi Kusaba e dal maggiore Kiyoshi Tanaka del 9° Istituto di ricerca tecnica militare.
Il primo prototipo è testato nel marzo del 1943, quando un pallone di 6 metri di diametro attraversa il Giappone, percorrendo i mille chilometri che separano la costa orientale da quella occidentale. Il lancio è un successo. L’idea iniziale prevede, infatti, che la mongolfiera venga portata da un sottomarino a circa mille chilometri dalla costa Usa, gonfiato sul ponte e lanciato, previa attivazione del timer per il rilascio di una bomba. Per dare operatività al progetto, tre sommergibili vengono inviati nell’arsenale di Kure per essere sottoposti alle necessarie modifiche.
I lavori sono ad uno stadio avanzato, quando vengono repentinamente interrotti per destinare i battelli al rifornimento delle truppe sparse nell’immenso teatro del Pacifico. Il progetto, però, non viene accantonato. I risultati incoraggianti dei test hanno fatto nascere un’idea ancor più ambiziosa: sviluppare un pallone in grado di affrontare in autonomia l’intero volo intercontinentale. Dal 9° Istituto, si rivolgono all’Osservatorio meteorologico centrale di Tokyo, diretto dal dottor Arakawa, per sapere se esistono venti in grado di spingere una mongolfiera fin sulle coste Usa. I metereologi sono a conoscenza della presenza di una corrente che, nei mesi invernali, soffia sul Giappone tra i 2 ed i 300 Km/h ad un’altitudine di circa 12 Km. Ciò che è del tutto inesplorato, è il comportamento del vento sul Pacifico. Parte, quindi, uno studio che coinvolge sette stazioni meteo e alcune navi incaricate delle osservazioni in mare. Arakawa e il suo staff scoprono i “Fiumi d’aria in rapido movimento" - più tardi ribattezzati "Correnti a getto" - che, tra ottobre e marzo, spirano sul Pacifico al di sopra dei nove chilometri d’altitudine. I dati vengono suffragati dai risultati raccolti da 200 palloni meteo lanciati durante l'inverno 1943/44. A questo punto, gli ingegneri iniziano a lavorare al progetto ancor più alacremente. Gli ostacoli da superare sono molti, a partire da come far rimane in quota la mongolfiera durante la lunga traversata. L’idrogeno usato per gonfiare le sfere è piuttosto instabile. Di giorno, quando la temperatura supera i 30° il pallone rischia di prendere quota ed esplodere. La notte, invece, quando la temperatura scende anche sotto i 50°, la pressione atmosferica si abbassa, il gas si comprime ed il pallone inizia a scendere. Problemi di non poco conto, superati dal maggiore Otsuki, del Noborito research institute, con una soluzione brillante, ovvero una ruota d’alluminio con un dispositivo dotato d’altimetro che rilascia il gas quando il pallone supera gli 11 Km e libera la zavorra quando scende sotto i nove. Una volta caduti i 32 sacchi necessari per completare la traversata, un automatismo sgancia la bomba. La soluzione, efficace, ma troppo pesante, richiede un pallone più grande. I tecnici realizzano, quindi, una mongolfiera di dieci metri di diametro, costruita con carta di gelso tenuta insieme da un collante ricavato da un tubero, il konnyaku-nori. In vista dell’operazione, l’esercito allestisce un apposito Reggimento composto da 2.800 uomini, agli ordini del Colonnello Inoue. Le zone di lancio vengono individuate sulla costa orientale dell’isola di Honshu.
L’ora “X”, scatta alle 5 del 3 novembre, il giorno in cui è nato l’ex Imperatore Meiji. Il lancio della prima arma intercontinentale della storia è accompagnato dal favore del vento. La notte del 4 novembre, infatti, l’equipaggio di una motovedetta della Us Navy ripesca, a circa 60 miglia dalla California, uno strano oggetto dotato di ricetrasmittente. Gli esperti, dopo un primo sommario esame, ritengono si tratti del frammento di un pallone meteo. Nei giorni successivi, però, sono segnalati ulteriori ritrovamenti e alcune misteriose esplosioni. L’11 dicembre, ad esempio, due taglialegna trovano i resti di un pallone dotato di bomba incendiaria a Kalispell, nel Montana, a 475 miglia aree dalla costa del Pacifico. Il 19, invece, una bomba provoca un enorme cratere a Thermopolis, nel Wyyoming. Della vicenda iniziano, quindi, ad occuparsi Fbi e militari. A preoccupare sono soprattutto le bombe incendiarie che potrebbero devastare le regioni forestali lungo la costa occidentale. Per scongiurare il pericolo, viene elaborato il "Firefly project" con il pronto impiego di tremila soldati e la partecipazione della Fourth air force in funzione anti incendio. Quanto gli Stati Uniti prendano sul serio la vicenda, lo dimostra proprio la riattivazione della Fourth air force, ovvero l’unità incaricata della difesa aerea della costa occidentale, posta in riserva nel 1943 con il venir meno del pericolo di un attacco. Inoltre, per scongiurare le conseguenza di un eventuale uso di armi biologiche viene attivato il “Lightning project”, con il coinvolgimento del Dipartimento dell’Agricoltura, incaricato di raccogliere eventuali segnalazioni relative a strane malattie al bestiame o alle colture. Un timore, si scoprirà nel dopoguerra, del tutto infondato, poiché a Tokyo non hanno mai pensato d’impiegare armi non convenzionali. Identificato il pericolo, gli americani devono fare i conti con un altro rompicapo, ovvero la provenienza delle mongolfiere. Inizialmente, ipotizzano siano lanciate da sommergibili in prossimità della costa. Successivamente, sospettano possano essere opera di prigionieri giapponesi rinchiusi nei campi di concentramento della West coast.
In attesa di scoprire l’arcano, le autorità, preoccupate dalle conseguenze del primo attacco aereo della storia subito “at home”, impongono la censura e il 4 gennaio 1945 danno disposizioni affinché non sia data alcuna notizia sulle esplosioni provocate dai palloni. Nel frattempo, viene analizzano il materiale recuperato. Tessera dopo tessera, partendo dal dettaglio più banale, gli esperti riescono a ricomporre il mosaico. A dare la risposta definitiva sulla provenienza dei palloni, sarà l'Us Geological survey, il cui capo mineralogista, Clarence Ross, analizzando la composizione della sabbia contenuta nella zavorra, scopre la presenza di molluschi e organismi microscopici presenti sulla sponda orientale dell’isola di Honshu. I risultati vengono comparati con quelli elaborati dai geologi canadesi i quali, nella zavorra di una mongolfiera caduta sul loro territorio, hanno trovato sabbia prelevata nelle vicinanze di un altoforno. A fugare qualunque dubbio, saranno le ricognizioni fotografiche condotte nelle vicinanze di Ichinomiya, non lontano da Tokyo, dove vengono individuati due dei tre impianti impiegati nella produzione dell’idrogeno destinato ai “Vascelli dei venti”. Parte quindi una campagna aerea che nell’aprile del 1945, culmina nella distruzione di entrambi i siti.
Solo poche settimane prima, una mongolfiera era stata sul punto di cambiare, se non il corso della guerra, sicuramente il suo l’epilogo. Il 10 marzo, infatti, una bomba incendiaria sganciata da un pallone era riuscita a mandare in tilt la centrale nucleare di Hanford, dove, dal dicembre 1944, si produceva il plutonio utilizzato per la costruzione della bomba destinata a Nagasaki. A scongiurare la fusione e quindi l’esplosione dei due reattori, fu il meccanismo di sicurezza che, seppur non ancora testato, entrò regolarmente in funzione, risparmiando agli Stati Uniti il primo disastro nucleare della storia. Solo a guerra finita, gli americani scopriranno i dettagli dell’operazione “Fu-go”, durante la quale erano stati lanciati 9 mila “Vascelli dei venti”, l’ultimo dei quali - del migliaio che si stima siano arrivati a destinazione - è stato rinvenuto nell’ottobre del 2014 in una foresta canadese della Columbia Britannica.