Serra, la crisi delle Congreghe e ritorno al cassetto
- Written by Bruno Vellone
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Era il 1694 quando l’assoluta devozione religiosa e la mancanza di qualsiasi forma di assistenza pubblica e delle più elementari garanzie specialmente per la parte più disagiata delle collettività serrese, indussero il cappuccino Padre Antonio da Olivadi, come testimonia la lapide che si trova all’interno della stessa chiesa, a fondare a Serra San Bruno l’Arconfraternita di Maria SS. dei Sette Dolori. Lo scoro era quello di realizzare mutuo soccorso essenzialmente attraverso un’opera di misericordia corporale, seppellendo i defunti, visitare gli ammalati e contribuire alle spese mediche. Nei decenni passati inoltre, la confraternita ha anche aiutato alcune persone ad emigrare, sostenendo una quota del viaggio. A Serra San Bruno con il medesimo scopo, successivamente, sono nate anche l’Arciconfraternita di Maria SS. Assunta in cielo di Terravecchia e l’Arciconfraternita di Maria SS. Assunta in cielo di Spinetto. Scopi nobili, senza dubbio, anche se la maldicenza popolare a quale seggio priorale non ha mancato di attribuire una gestione poco oculata. Casi isolati e lontani nel tempo e ormai anche nella memoria. Le entrate erano, oltre le rette annuali, garantite dalla questua settimanale che ogni confraternita metteva in campo attraverso il cassetto “Lu casciettu” che veniva girato per le vie e le case della cittadina, senza distinzione di quartiere, a turno dai confratelli. L’entrata settimanale che garantiva il cassetto era assai cospicua anche perché c’era la malsana tradizione di “pagarlo” in base alla faccia, cosi fungeva anche da strumento di distinzione di origine sociale del confratello. Storture che però non inficiavano la bontà dell’iniziativa. Il cassetto incominciò ad essere progressivamente messo in soffitta dalle congreghe a partire dalla fine degli anni novanta, causata anche dal fatto che non vi erano regole certe su come individuare chi aveva l’obbligo di adempiere al dovere settimanale della turnazione. Quella decisione, di mettere fine a questa tradizione, costituì l’aumento delle rette annuali e l’inizio del declino delle festività civili che quest’hanno ha trovato il suo culmine in un cartellone a dir poco ridicolo. Il cassetto era nato allorquando fu necessario intraprendere un’opera di straordinaria importanza per la chiesa Matrice e il banditore che lo portava a spasso per i vicoli rigurgitanti preghiere recitava questa litania: “Ojhj in figura, dimani in sipurtura mbiatu cui pi l’anima sua pricura”. Progressivamente venne poi adottato, con l’uscita settimanale, dalle tre maggiori confraternite serresi, quando nel 1800 incominciarono a garantire il servizio cimiteriale con tanto di loculo, bara e accompagnamento religioso. Ora le confraternite, dobbiamo avere il coraggio di dirlo, sono in crisi. Qualcuno storcerà il naso dicendo che non è vero, altri lo ammetteranno. Il nostro compito è quello di rilevare dei fatti incontrovertibili per non offrire analisi a buon mercato. La festa di ferragosto enormemente contratta, a partire dagli spettacoli musicali per finire a quelli pirotecnici, le processioni sempre meno affollate, e i bilanci sempre meno abbondanti sono sintomi che se le cose dovessero continuare in questo modo non avranno vita lunga. E allora? Ci si trova nella scomoda posizione del gambero. Fare dietrofront e reintegrare in cassetto o proseguire in una crisi sempre maggiore – complice anche l’impossibilità di riscuotere rette non pagate – che sta mettendo sul lastrico le confraternite che finiranno con non avere più la funzione per la quale sono invidiate in tutta la Calabria? Una decisione piuttosto complessa ma, forse, dopo essersi guardati intorno in questo periodo, un passo indietro non gusterebbe.