Il lunedì dell'Addolorata e la lunga storia del sigaro
- Written by Mirko Tassone
- Published in Cultura
- 0 comments
Ci sono tradizioni costruite attorno a piccoli gesti che, talvolta, continuano ad essere compiuti in maniera inconsapevole.
Non è sempre agevole risalire all’origine di un modo di fare cristallizzatosi nel passato e riattualizzato nel presente.
Di alcune tradizioni si sa praticamente tutto, altre, invece, come ha evidenziato lo storico delle religioni Mircea Eliade, hanno assunto un significato diverso rispetto al valore originario; di altre ancora, poi, si sa poco o nulla.
Anche nelle piccole comunità dove, in teoria, si dovrebbe sapere tutto o quasi, ci sono momenti rituali di cui si disconosce l’origine.
Non sfugge a questa regola neppure Serra, dove, chi arriva la sera del terzo lunedì di settembre, in concomitanza con la festa in onore di Maria SS dei Sette Dolori, s’imbatte in insoliti fumatori di sigaro.
Si tratta di un antico vezzo che i confratelli dell’Addolorata si concedono in occasione del concerto bandistico con cui si dà il commiato alla festa. Come la tradizione sia nata ed arrivata fino a noi è difficile dirlo, anche se non è impossibile congetturare qualche ipotesi.
Per cercare di capire come il sigaro possa suggellare il momento conclusivo di una delle più importanti festività religiose serresi è necessario fare un passo indietro e ripercorrere, brevemente, la storia del tabacco.
La consuetudine di fumare precede la scoperta del Nuovo Mondo. A parlare in età antica dell’uso del fumo presso gli sciti, i traci ed i babilonesi è soprattutto Erodoto. Non è dato sapere cosa si fumasse a quei tempi, quel che è sicuro è che il tabacco ebbe ampia diffusione solo dopo la scoperta dell’America.
Il primo europeo ad incontrare il tabacco fu Cristoforo Colombo, che nel suo diario, alla data del 12 ottobre 1492, riporta il dono fattogli dai nativi dell’isola Guanahani, ribattezzata San Salvador, di alcune “foglie curate”. Quanto quelle foglie fossero importanti, Colombo ebbe modo di scoprirlo a Cuba dove vide, per la prima volta, gli indigeni fumare il loro rudimentale sigaro fatto con “foglie arrotolate”. Nel corso del suo viaggio, il navigatore genovese constatò la spiccata difformità nell’uso del tabacco. Alcune popolazioni lo fumavano sotto forma di rozzi sigari, altri spezzettato in piccole pipe, altri ancora in bocchini, antesignani delle sigarette.
Il fumo conquistò i marinai spagnoli. Uno in particolare, Rodrigo de Jerez, considerato il primo fumatore europeo di sigari, per questa sua abitudine subì un severissima punizione. Ritornato a Barcellona, nel 1498, a causa del fumo espulso dalla bocca e dal naso, venne condannato, dall’Inquisizione, a dieci anni di carcere con l’accusa di essere uno stregone posseduto da satana.
Nonostante l’iniziale diffidenza, il “vizio” si diffonderà ovunque, seppur in un arco temporale relativamente lungo.
Secondo alcune fonti, ad introdurre in Europa i semi del tabacco sarebbe stato un monaco, André Thevet, il quale, durante la permanenza in Brasile, aveva osservato l’uso che gli indigeni facevano di quell’erba chiamata “petum”, la quale, una volta essiccata, veniva avvolta in una “foglia di palma, della forma e grandezza di una candela” per poi essere fumata. Dal Portogallo, la pianta si diffuse in Europa. In Francia arrivò grazie all’ambasciatore Jean Nicot, da cui il nome scientifico “nicotiana”. Anche in Italia arrivò attraverso canali diplomatici, grazie al cardinale Prospero di Santa Croce, nunzio del papa. Il pontefice affidò i semi ai monaci dei conventi laziali, che furono i primi a coltivarli nel Belpaese.
Ad agevolarne la diffusione, le presunte virtù mediche che spingevano i nobili a farne un crescente consumo. Così, come accadeva tra i nativi, il tabacco veniva fumato, fiutato, masticato o bevuto come infuso.
La moda di fumarlo prese il sopravvento. Intorno al Seicento le foglie venivano sminuzzate in pipe d’argilla. Successivamente si diffuse l’uso di altri materiali come il gesso, la ceramica, la schiuma di mare ed a partire dalle seconda metà dell’Ottocento, la radica.
Inizialmente si trattava di un “vizio” riservato ai nobili, gli unici che potevano permettersi un prodotto di lusso come il tabacco. Come capita, anche oggi, quello status symbol subì un progressivo processo di massificazione. Così, nel volgere di qualche decennio, il tabacco si diffuse tra le classi popolari che lo fumavano con le pipe di terracotta.
A propagare l’uso della pipa in giro per l’Europa era stata la Guerra dei Trent’anni. A favorire la diffusione del sigaro, saranno, invece, le campagne napoleoniche. I soldati francesi, infatti, solcando le strade del Vecchio Continente portavano nei loro tascapane un massiccia dose di tabacco. Nei primi anni dell’Ottocento, fumare il sigaro equivaleva, infatti, ad una dichiarazione di appartenenza agli ideali che avevano ispirato la rivoluzione.
A partire dal 1830, da metafora della rivoluzione, il sigaro divenne oggetto di moda nelle buona società.
Se la pipa all’inizio era stata il simbolo dell’aristocrazia, il sigaro lo divenne della borghesia. La nuova classe, in piena ascesa, attraverso quell’oggetto portato dalle Americhe faceva sfoggio dell’agio e della propria elevazione sociale. Quanto, il sigaro, fosse poco accessibile ai ceti popolari lo testimoniava la presenza nella grandi città dei cosiddetti “ciccatori”, ovvero uomini poverissimi che andavano in giro a raccogliere i mozziconi, che poi rivendevano per pochi spiccioli.
È plausibili, quindi, che i componenti della confraternita dei Sette Dolori, appartenendo al mondo delle “maestranze” e delle “professioni”, abbiano voluto con il sigaro, marcare ulteriormente la distanza dai componenti delle altre confraternite, ancora legati alla povera pipa di terracotta.
È probabile, dunque, che l’usanza si sia diffusa a partire dal 1853, quando la festa fu elevata di rango e alla Vergine Addolorata venne attribuito il titolo di protettrice di Serra. Un’ipotesi suffragata da un ulteriore elemento. L’abitudine di fumare in pubblico si diffuse intorno agli anni Quaranta del XIX secolo. Prima di tale data, fumare fuori dalle mura domestiche era considerato sconveniente, a tal punto che a farlo era solamente il popolino. Il sigaro sdoganò, quindi, l’abitudine di fumare passeggiando. Un’abitudine che si estenderà ulteriormente con la diffusione della Spagnoletta, chiamata così perché prodotta nella penisola Iberica. La spagnoletta diventerà oggetto di consumo di massa dopo la Prima Guerra Mondiale, con il nome di sigaretta, ma questa è un’altra storia.
Related items
- Serra, ragazza molestata e minacciata: un arresto
- Ospedale ‘San Bruno”, Tassone al sindaco Barillari: "Si sveglia con anni di ritardo, la sua politica è stata miope e fallimentare”
- Serra, iniziativa del Pd per costruire l'alternativa al governo Meloni
- Serra San Bruno, 5 studenti dell’Einaudi protagonisti di progetti nazionali per la valorizzazione delle eccellenze
- Cercatore di funghi cade in un dirupo, lo salva la polizia