Il miracolo della "Manna" e il ritorno dei certosini
- Written by Mirko Tassone
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Non è un rapporto temporalmente lineare quello tra la Certosa e Serra. Ci sono state, infatti, fasi storiche in cui i discepoli di san Bruno sono stati costretti dagli eventi avversi a lasciare la “cittadella dello spirito” eretta dal fondatore del loro ordine. Dopo il passaggio ai cistercensi, nel 1192, i certosini dovettero, per la seconda volta, lasciare le Serre in seguito al decreto di Giuseppe Bonaparte del 13 febbraio 1807 con il quale, tra l’altro, erano stati chiusi i conventi con meno di 12 frati. Già minata dalla terribili e disastrose conseguenze del terremoto del 1783, la Certosa rimarrà disabitata fino a quando, l’Arcivescovo di Rossano, il serrese Bruno Maria Tedeschi, non attiverà tutte le sue conoscenze per agevolarne la riapertura. L’iniziativa, come riportato da Taccone e Gallucci nelle Memorie storiche della Certosa de’ Santi Stefano e Brunone in Calabria, trova il favore del “gran Priore Generale della Certosa di Grenoble P.D. Giov. Battista Mortaiz e del Capitolo Generale Certosino. Laonde stabilite le relative pratiche, finalmente l'egregio Arcivescovo accompagnò egli stesso in Serra il P.D. Paolo m. Gerard, Priore della Certosa di S. M. degli Angeli in Roma e Procuratore Generale dell’Ordine, nonché i suoi compagni Fr. Domenico Terzuoli e Fr. Alessio Moschettini. Qual delegato Pontificio per Regio, diede il Tedeschi ai 29 marzo 1840 solenne e legale possesso della Certosa di S. Stefano, con grande consolazione generale approvazione”. Nel maggio dello stesso anno, il capitolo generale, elegge Stefano Franchet nuovo priore della Certosa. Nelle more dell’insediamento la casa religiosa viene gestita da un certosino francese, padre Taddeo Supries. L’anno successivo, accompagnato da due oblati, Maurizio Gabrielli ed Arsenio Compain, arriva a Serra anche il nuovo priore che avvia, immediatamente, una frenetica opera di recupero delle strutture danneggiate dal terremoto. Tuttavia, l’avversità delle condizioni generali e le ristrettezze economiche inducono Franchet e Gabrielli a lasciare Serra. A presidiare la Certosa, rimane, quindi, soltanto padre Compain che non si scoraggia e cerca, con pervicacia, di recuperare il patrimonio artistico sottratto alla Certosa dopo il terremoto del 1783. Uno zelo che pagherà con la vita, dal momento che verrà assassinato il 21 ottobre 1844. Morto l’unico inquilino, la Certosa ritorna ad essere desolatamente disabitata. Quando pare, ormai, destinata al definito abbandono, nel 1852, il sindaco di Serra, Vincenzo Scrivo, trasmette alla corte di Napoli una petizione nella quale chiede la concessione di una rendita destinata a sostenere il ritorno dei certosini. Nell’attesa dell’espletamento delle formalità burocratiche, un evento prodigioso preannuncia l’imminente ritorno dei “monaci”. Nel giugno 1856 si manifesta quello che i serresi considerano un inequivocabile segno divino. Ogni mattina, infatti, sugli alberi che circondano la chiesa di Santa Maria del Bosco si forma una specie di brina di colore bianco, lo stesso della cocolla dei certosini. Per i fedeli si tratta di un prodigio, tanto più che la “brina”, una volta svanita al sorgere del sole, lascia una pellicola bianca dal gusto dolcissimo che i bambini leccano con cupidigia. Il segnale celeste non tradisce le attese ed il 4 ottobre 1856 dom Vittore Nabatino prende possesso della certosa Serrese. Il 17 aprile del 1857, il nuovo priore, dopo un breve viaggio a Napoli, ritorna a Serra con cinque fratelli che lo coadiuvano nell’opera di ripristino della Certosa. La rinascita a nuova vita del monastero viene suggellata il 30 maggio con la traslazione delle “Sacre Reliquie” cui concorrerà una folla di fedeli proveniente da ogni dove. Passeranno meno di due lustri e nel 1866 in seguito alla soppressione degli ordini religiosi, la presenza dei Certosini verrà messa nuovamente in discussione, ma questa è un’altra storia.
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