Serra, anno 1894: arriva l'illuminazione pubblica ed il paese resta al buio
- Written by Mirko Tassone
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“O chi luci, o chi luci, o chi alligrizza/ ca lu scuru lu tàgghj culla zappa/ Cu s’aspittava mai ‘sta cuntintizza: di notti mu ‘nc’è lu suli ’ntra sta chiazza”. Inizia così una delle tante poesie in cui Mastro Bruno Pelaggi indossa i panni del fustigatore per colpire l’umana insipienza. Nei versi di “O chi luci, o chi luci, o chi alligrizza” è distillata un piccola pagina di storia serrese. Una storia che dovrebbe rappresentare un costante memento per quanti hanno la responsabilità di maneggiare il denaro pubblico. L’episodio cui fa riferimento la poesia è realmente accaduto ed ha visto, suo malgrado, Mastro Bruno protagonista dell’intera vicenda. Correva l’anno 1893, quando, approfittando della presenza di Robert Holtmann, un ingegnere svizzero giunto a Serra nel febbraio del 1892 per collaudare una turbina elettrica nello stabilimento Fabricotti di Santa Maria, l’amministrazione comunale pensò di dotare il centro abitato della pubblica illuminazione. Come riportato da Brunello De Stefano Manno e Stefania Pisani nella “Fabbrica di Cellulosa”, “in data 22 aprile 1893, il Comune aveva avuto cura di stipulare regolare contratto con il medesimo Holtmann quale rappresentante della Zelleweger & Cremberg, ditta fabbricante apparecchi elettrici con sede a Uster nel Cantone di Zurigo. L’ingegnere s’impegna a consegnare l’impianto entro sei mesi dalla stipula ricavando la forza motrice dall’acquedotto della segheria comunale Archiforo, ritenuto da lui stesso sufficiente ad animare 80 lampade per l’illuminazione pubblica e 70 da concedere ai privati”. L’opera, che avrebbe dovuto rappresentare l’arrivo della modernità a Serra, venne aspramente contrastata da Mastro Bruno che, nella sua funzione di consigliere comunale, bersagliò con l’ironia una scelta che si rivelerà fallimentare. Gli strali per la spesa, ritenuta superflua e senza senso, indussero il poeta a scrivere versi particolarmente caustici: “La Serra avia bisuognu di li scarpi/ e pue si l’accattava la scurzetta”. In un paese in cui mancavano i servizi primari, la saggezza popolare del poeta scalpellino non poteva tollerare lo spreco di “vintidumila liri” per legare, con riferimento ai cavi elettrici, “di cuordi lu paisi”. In realtà, il costo sostenuto “si attestò a lire 18.500, pagabili in 5 rate uguali di cui la prima all’atto della stipula, la seconda alla consegna dell’impianto e le rimanenti a scadenza annuale”. Ma, al di là dei costi, il primo impianto d’illuminazione pubblica serrese era destinato a riservare non poche delusioni ai neofiti del progresso. Non solo, rinunciando alla proverbiale puntualità svizzera, l’ingegner Holtmann consegnerà l’impianto con sei mesi di ritardo rispetto al termine stabilito, ma il collaudo si rivelerà un autentico fiasco. Quanto tutto sembrava ormai pronto, alle 20,30 del 13 maggio 1894, le autorità avevano preso posto sul palco approntato nella centralissima piazza San Giovanni. La cerimonia inaugurale era stata allestita in pompa magna, con la partecipazione del clero e “gran concorso di pubblico”. Com’è facilmente immaginabile, la curiosità era tanta e ad ammirare il prodigio della tecnica che stava per rischiare le notti dei serresi, era arrivato un numeroso “pubblico” da tutto il circondario. Nessuno voleva perdersi la solennità del momento. Conclusi i discorsi di prammatica, si diede mandato all’addetto di spegnere i fanali a petrolio. Con l’intero paese al buio, l’atmosfera d’attesa doveva essere degna di una pellicola hollywoodiana. Come nei film di cui si è letta la trama, tutti stavano con il fiato sospeso pur pensando di conoscere il finale, ovviamente a lieto fine. Ma come osano fare solo i maestri della regia, il fato riservò un finale a sorpresa. Quando i rintocchi della campana della chiesa dell’Assunta diedero il segnale di accendere le luci, non successe assolutamente nulla. Vani si rivelarono i tentativi compiuti da Holtmann che “rintanato in una cabina del lungo fiume”, cercava di febbrilmente di azionare le leve di comando. Nessuna lampadina s’illuminò e ad “accendersi fu solo l’ironia, specie quella caustica degli oppositori”. I fautori dell’iniziativa sapevano che la solennità del momento imponeva di correre ai ripari. Per cercare di salvare il salvabile, uno degli assistenti del tecnico svizzero venne mandato all’acquedotto Archiforo. “ Nei giorni precedenti era piovuto a dirotto, l’acqua scorreva veloce nel canale, la turbina girava a tutto spiano, ma i contatti disperdevano la carica nell’acqua”. Riparato il guasto, Holtmann provò nuovamente ad immettere l’energia nella rete. Finalmente qualcosa sembrò succedere. Le lampadine s’illuminarono, ma con grande delusione di chi aveva spalleggiato l’iniziativa, la luce si rivelò “fioca e tremolante, non migliore della precedente erogata dai più economici fanali a petrolio”. Come se non bastasse, l’impianto funzionò solo tre sere. A quel punto, iniziarono a sbizzarrirsi le ipotesi. Come accade anche oggi, a dare le spiegazioni più dettagliate erano le persone che ne sapevano di meno. Uno di questi soloni, giunse addirittura a sostenere che “l’ingegnere aveva sbagliato la scelta del filo. Quello messo in opera dallo svizzero, non essendo vuoto, era inadatto al passaggio della corrente elettrica!”. Rimasti “allu scuru”, i cittadini dovettero lentamente smaltire la delusione, un’attività cui i serresi, evidentemente, sono sempre stati abituati dalla politica delle promesse che non ha mai partorito fatti. Forse, per invertire il corso degli eventi sarebbe stato necessario seguire il consiglio di Mastro Bruno: “Sti cunzigghjèri stupidi e minchiuni/ vurianu currijati cuomu cani/ cu frischi, cu lignati, cu bastuni, cu pitrati, ma gruossi mazzacani”. Un consiglio caduto nel vuoto, perché a parlare di certa cose “a ‘stu paisi si perda lu tiempu”.
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