Origine dei simboli del 2 novembre: il crisantemo e il cipresso

Il crisantemo è forse uno degli elementi più caratteristici del giorno dedicato alla commemorazione dei defunti. L’uso del crisantemo per ornare le tombe è, però, relativamente recente. Il fiore, infatti, è stato introdotto in Europa nell’Ottocento, da un certo capitano Blanchard che lo portò dalla Cina. 

In alcuni paesi del Vecchio Continente, i crisantemi sono diventati simbolo di mestizia in ragione della loro fioritura ottobrina che consente di portarli ai defunti in occasione della ricorrenza del 2 novembre.

L’uso che se ne fa, ad esempio, in Italia non è condiviso in Giappone dove, il fiore è arrivato nel IV secolo d. C. attraverso la Cina o la Corea. Per gli abitanti del Sol Levante, i petali del crisantemo rappresentano raggi di sole. Non a caso, il trono degli imperatori giapponesi è chiamato trono del crisantemo. Secondo il mito la famiglia reale nipponica discenderebbe, infatti, dalla dea solare Amaterasu. 

Per giapponesi e cinesi il fiore evoca, quindi, esattamente l’opposto di ciò che esprime in una parte d’Europa. 

In Estremo Oriente, infatti, i crisantemi vengono associati alla felicità ed alla vita. Una simbologia cui fa riferimento una leggenda in cui viene narrata la storia di una bambina che veglia la madre morente. Durante la notte, uno spirito apparso all’improvviso dà alla bimba una margherita, dicendole che rimarrà con la madre per un numero di giorni pari a quello dei petali del fiore. 

Quando lo spirito si allontana, la piccola, inizia a ridurre i petali in striscioline sottilissime senza staccarli. Informata della concessione fatta alla bambina, nel vedere il numero infinito di petali, la morte decide di non portare via la donna. 

Anche nei paesi anglosassoni il crisantemo è associato alla vita, tanto che in Inghilterra viene regalato in occasione della nascita dei bambini, mentre negli Stati Uniti viene usato durante le feste e le riunioni familiari. In Corea, invece, è considerato il fiore delle spose. 

Un altro elemento associato ai morti ed ai cimiteri è il cipresso. Tuttavia, anticamente l’albero era considerato simbolo di fertilità per via della sua forma fallica. 

A dare al cipresso una “fama funeraria” furono i poeti greci e latini che iniziarono a considerarlo l’albero dei defunti. 

Nelle “Metamorfosi”, Ovidio narra, tra le altre, la storia di Ciparisso, un ragazzo che si accompagna ad un enorme cervo dotato di corna d’oro. 

Un giorno, senza volerlo il giovinetto trafigge mortalmente l’animale con un giavellotto. Disperato, prima di togliersi la vita, chiede agli dei di poter mostrare, anche dopo la morte, un lutto eterno. Il suo desiderio è accolto e viene trasformato nell’albero che porta il suo nome.

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La lontana eco celtica del 2 novembre

La ricorrenza dei defunti segue quella di Ognissanti. La circostanza, tutt’altro che casuale, affonda le radici nell’VIII secolo, quando, ricorda Alfredo Cattabiani nel suo Lunario, “l’episcopato franco la istituì per sostituirla al Capodanno celtico che cominciava all’inizio di novembre”. Tuttavia, perché la festività si diffondesse in Europa dovettero trascorrere alcuni secoli. Papa Sisto IV la rese obbligatoria per la Chiesa universale solo nel 1475 . La lontana eco celtica sopravvive, ancora oggi, non solo nella festa religiosa ma anche in quella profana di Halloween che si “celebra” tra il 31 ottobre ed il primo novembre. In occasione del loro capodanno, le antiche popolazioni celtiche si recavano nei cimiteri dove trascorrevano l’intera notte all’insegna di canti e libagioni. Un’usanza fondata sulla credenza che, durante i passaggi da un periodo dell’anno all’altro, i morti ritornassero sulla terra. Non a caso, tra l’1 ed il 2 novembre, per i celti ricorreva la festa di Samain, dedicata proprio agli abitanti dell’aldilà. Fu, quindi, per “cristianizzare  questo Capodanno pagano che la Chiesa franca istituì non soltanto Ognissanti, ma anche la commemorazione dei defunti.”. In particolare, pare sia stato “Odilone di Cluny a ordinare nel 998 ai cenobi dipendenti dalla celebre abbazia di celebrare l’ufficio dei defunti  partire dal vespro del primo novembre”. Del resto, il rapporto di filiazione tra l’usanza celtica e la festa cattolica lo si evince in una serie di credenze secondo le quali, in alcune regioni d’Italia, Calabria compresa, durante la ricorrenza dei defunti i morti ritornano a casa e mangiano il cibo preparato per loro. Una credenza radicata a tal punto da indurre i familiari a seppellire i loro defunti con l’abito della festa affinché si presentassero nel migliore dei modi quando, nella notte tra l’1 e 2 novembre, avrebbero dovuto percorrere in processione le vie del paese. A tal riguardo, con diverse varianti, è diffusa una leggenda archetipica secondo la quale, una donna vestì la figlia morta con abiti vecchi. Una scelta dettata dalla necessità di conservare quelli nuovi per i figli sopravvissuti. La sera dei Morti la piccola anziché andare in processione con gli altri defunti andò a bussare a casa della madre dicendole: “Hai visto, mi vergogno di andare in processione con gli altri perché ho i vestiti strappati”. Halloween, Ognissanti e i Morti, con tutta evidenza hanno, quindi, un ceppo originario comune che affonda le radici in quell’Europa precristiana lontana parente dell’Europa senza fede e senza cuore plasmata dal relativismo dei tempi ultimi.

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