Toni apocalittici, da imminente "fine del mondo": "Basta un sì", "Io voto no" e nel frattempo, mentre gli ultrà rivaleggiano sull'esito del referendum costituzionale in programma il 4 dicembre, una catastrofe, che una classe politica responsabile ed una opinione pubblica meno distratta dovrebbe considerare ben più preoccupante, sta già dispiegando, da anni, i suoi effetti distruttivi. Sono sempre di più, infatti, i giovani tra i 15 ed i 24 anni che rischiano di oltrepassare la linea rossa dell'immaginario confine dopo il quale si affaccia il baratro della povertà. A drammatizzare ulteriormente i dati, inoppugnabili, la constatazione che si tratta di numeri in controtendenza rispetto agli altri Paesi sviluppati del Vecchio Continente. Se, dunque, fino al culmine della crisi economica deflagrata in seguito all'esplosione della bolla dei mutui subprime, ci si poteva nascondere dietro il paravento realizzato con il tessuto evergreen "mal comune mezzo gaudio", adesso non è più così. L'Italia, a dispetto dei proclami renziani e della vuota inconsistenza esibita, con somma mediocrità, dalle derelitte opposizioni, arranca, fatica e non riesce a risollevarsi. A scontare le conseguenze peggiori di questa deriva è, come anticipato, la fascia d'età compresa fra i 15 ed i 24 anni: quasi il 37% è lì, sul bordo del precipizio. A certificarlo è il Rapporto che l'Eurostat ha reso pubblico in coincidenza della "Giornata Mondiale contro la povertà". L'istantanea consegnata dal dossier testimonia che le difficoltà in cui si agita il Belpaese sono molto vicine a quelle patite in Bulgaria, Grecia e Romania, ben distanti dalle nazioni trainanti in Europa: Germania, Regno Unito, Francia. Ancora più alte, neanche a dirlo, le fiamme dell'inferno in cui si dimena la fascia giovanile che sopravvive nelle regioni meridionali. Estremamente eloquente, a questo proposito, il contenuto del Rapporto 2016 sulla povertà diffuso dalla Caritas. Ai Centri di Ascolto presneti nelle città del Sud, infatti, in termini percentuali, si rivolge un numero maggiore di italiani rispetto a quello dei cittadini di provenienza straniera. Ormai i due terzi dei soggetti bisognosi, 66,6%, sono nati ed hanno profonde radici in questo "maledetto" Paese. Le cifre snocciolate nel documento confermano che ad essere rimanere invischiati nella trappola della crisi e della stagnazione non è la popolazione anziana, ma quella giovanile. Trovare un impiego è una chimera, l'accesso al mercato del lavoro è chiuso a doppia mandata ed i ragazzi faticano arrancando: tra i 18 ed i 34 anni la quota di coloro che versano in uno stato di indigenza è pari al 10,2%, una percentuale che decresce progressivamente fino a crollare al 4% nella fascia che interessa gli anziani al di sopra dei 65 anni d'età. Portafogli vuoti, assenza di un'occupazione, impossibilità di mantenere un tetto sopra la propria testa, famiglie a pezzi: drammi che, per qualcuno, si assommano dipingendo un quadro che inchioda alle proprie responsabilità la classe dirigente e l'intera opinione pubblica. Un tessuto sociale talmente rammendato da non poter più garantire quel senso di protezione che faceva di una società una comunità in marcia, compatta e con l'obiettivo di non lasciare indietro nessuno. Politici miopi e scriteriati a cui la Caritas, indirettamente, si rivolge, auspicando la stesura di un Piano di contrasto alla povertà, che duri nel tempo e sia accompagnato da misure concretamente inclusive, come il reddito di cittadinanza. Non basterebbe, certo, e, infatti, provvedimenti del genere dovrebbero essere affiancati da altri in grado di ampliare in modo considerevole il bacino degli occupati. E' di questo che dovrebbe occuparsi la Politica: mettere un freno alle tragedie esistenziali, perdere il sonno pur di ribaltare il tavolo ed individuare le soluzioni capaci di alleviare la sofferenza. Ed è di questo che dovremmo occuparci noi, tutti, gettando nel pozzo i pentoloni traboccanti amenità, falsi problemi e "armi di distrazione di massa". Perché sì, magari sul nostro stesso pianerottolo, dietro quella porta, qualcuno oggi farà fatica a mettere assieme il pranzo con la cena, ma ciò che conta è armarsi a dovere per combattere la "Madre di tutte le battaglie", quella referendaria. Anime strabiche nella migliore delle ipotesi, irrimediabilmente cieche in quella peggiore. "Basta un sì" è lo slogan urlato dai soldatini del presidente del Consiglio, ma molto meglio sarebbe se esso fosse pronunciato davanti agli occhi della nostra coscienza, individuale e sociale, e non per prendere posizione su un quesito di cui quasi nessuno, pur ergendosi ad insigne costituzionalista da social network, ha compreso anche solo gli ingredienti più elementari. No, a prescindere dalla vittoria dell'una o dell'altra opzione, nulla cambierà, il giorno dopo che gli italiani si recheranno alle urne. Il corso degli eventi proseguirà senza scossoni degni di nota. La distinzione, anche la mattina del 5 dicembre, sarà tra chi potrà sorridere alla giornata, confortato da una solidità economica rassicurante e chi proverà a sottrarsi ai tentacoli velenosi della miseria.