Viaggio attraverso il monachesimo in Calabria: dalle origini ad oggi
Diceva san Gregorio Nisseno: “Una diversa generazione è apparsa e una diversa vita e un diverso modo di vivere. La nostra stessa natura ha subito un cambiamento. Quale è questa generazione? Quella che scaturisce dal sangue, né da volere da uomo, né da volere di carne, ma è stata creata da Dio. Come può avvenire questo? Ascolta e te lo spiegherò in breve. Questa nuova prole viene concepita per mezzo della fede, viene data alla luce attraverso la rigenerazione del battesimo, ha come madre, la Chiesa, succhia il sangue della sua dottrina e delle sue istituzioni. Ha poi come cibo il pane celeste. L’età matura è costituita da un alto stile di vita. Le sue nozze sono familiarità con la sapienza. Suoi figli sono la speranza, sua casa il regno, sua eredità è ricchezza la gioia del paradiso. La sua fine poi con la morte, ma quella vita eterna e beata che è preparata a coloro che ne sono degni”. Questi desideri che sanno già di ascetismo trovano campo favorevole in Calabria, nella nostra regione erede di un altro tipo di ascetismo, pagano quanto si vuole, ma sempre ascetismo, quello rivolto agli dei dell’Olimpo greco. È la terra di vivace religiosità legata ai grandi templi di Locri, Kroton, Hipponion e Kaulon ed altri, è la terra della scuola filosofico-religiosa di Pitagora e quella medica di Alcmeone. È la terra, la Calabria, che accoglie le prime aspirazioni di silenzio ed eremitismo, le prime vocazioni monastiche che nel contempo fioriscono tra le Chiese d’Egitto, di Palestina, della Siria, di Cappadocia, della Calcide, dell’Africa, della Gallia e di Roma. Siamo al IV secolo, quando la nostra regione accolse i primi anacoreti a Reggio, come ci viene riferito dal Bios di san Fantino senior di Tauriana e da san Gerolamo. Nel 494 il papa Gelasio impone ai vescovi calabresi di ordinare sacerdoti soltanto quesi monaci che davvero vivono con profonda santità. Il primo grande monaco è Magno Aurelio Cassiodoro che cerca di salvare la caduta dell’Impero di Roma ma soprattutto la sua civiltà, facendo incontrare i Goti e i Romani sulla base del cristianesimo. Ma il tentativo fallisce per la guerra gotico-bizantina e Cassiodoro, a Squillace, intraprende, attraverso l’ascesi monastica e la cultura, la via della civiltas. Così fonda un monastero con due residenze: sulla spiaggia il Vivarium destinato ai monaci che si dedicano alla cultura, con grandi vasche per coltura ittica; sulla collina il Castellium per quei frati che si dedicano ai lavori umili e manuali. In entrambi la vita ascetica era confortata da una ricca biblioteca con libri dello stesso Cassiodoro ed altri forniti dai monaci amanuensi che nello Scriptorium trascrivevano le opere classiche e le Sacre Scritture. Purtroppo il monastero di Squillace scomparve prima dell’ottavo secolo, nonostante gli interventi favorevoli di san Gregorio Magno. Coevi all’istituzione cassiodorea, in Calabria sorgevano altri monasteri, forse benedettini: a Tauriana, a Reggio e a Tropea secondo quanto si ricava dall’Epistolario di san Gregorio (590-604). E più avanti Nicolò I nell’863 ricorda il monastero benedettino di Santa Maria di Cosenza, quello di Canale di Pietrafitta ed un altro titolato Santa Maria di Requisita, passato nel secolo XII ai Cistercensi col titolo di Sambucina a Luzzi. Nel 536 Belisario, il generale di Giustiniano arrivava a Reggio e la Calabria diventava regione bizantina e scomparvero i grandi monasteri di fede latina. Dal Pollino in giù, distribuiti per tutta la catena appenninica fino all’Aspromonte, apparve una moltitudine di eremi e anacoreti: speleoti, vegetariani e solitari che vennero da noi fermandosi nelle località più deserte e lontane, più impervie e selvagge. Il grande desiderio di solitudine e di vicinanza a Dio li portava a rifugiarsi in fredde grotte scavate nel tufo e cavità ricavate nei tronchi di alberi secolari; si nutrivano di vegetali selvatici e si dissetavano alle pure sorgenti di rocce, si coprivano di pelli; la giornata passava tra preghiere, contemplazione, lavoro e nelle notti insonni penitenze e mortificazioni del corpo. I giorni di festa, per la Liturgia, si vivevano nella chiesetta comune dalle ricche cupolette come la Cattolica di Stilo e se qui non v arrivava il sacerdote si recavano alla chiesa giù in paese. E i cenobi, laure e piccoli monasteri lievitarono nella nostra regione con l’arrivo di profughi siriani, egiziani e libici sospinti dall’avanzata maomettana del 636. Altri profughi verranno, dopo il 750, a seguito delle persecuzioni iconoclaste di Costantinopoli e dell’Oriente ed infine altri profughi verranno dalla Sicilia dal sec. IX in poi. I primi cenobi apparsi in Calabria erano costituiti da gruppi, poi diventati comunità, di monaci laici autonomi, nel senso che potevano trascorrere il tempo il tempo dell’eremitismo fin quanto volevano, e ciò avveniva col consenso del loro egumeno, da loro stessi eletto che aveva il compito di essere il loro abate ma senza regole scritte e solo con l’esempio di vita retta. Questi primi cenobi erano davvero piccoli e per numero di cenobiti e per povertà di strumenti da vivere e per materiali da costruzione: la Cattolica di Stilo, la chiesa di San Marco di Rossano e la chiesa sotterra di Paola. Comunque il più antico (prima del IX secolo) cenobio di origine greca in Calabria si può considerare quello di San Fantino a Tauriana dove erano custodite le reliquie del Santo. Altro monastero coevo era nell’allora detta Valle delle Saline a sud di Palmi, era quello di Sant’Elia il Giovane, trasferitosi in seguito a Seminara, dove fu detto anche di San Filareto. Nella stessa area è ancora visibile e meta di pellegrinaggi nei pressi di Melicuccà, la grotta, unico rudere, del monastero di Sant’Elia lo Speleota, capostipite della famosa comunità di monaci basiliani del Mercurion. Coevi al monastero di sant’Elia lo Speleolota a Melicuccà, altri monasteri, seppur piccoli, sono sorti un po’ dovunque in Calabria. Citiamone alcuni: San Nicola di Calamizzi, Santa Maria Theotokos dei Tridetti di Staiti, San Pancrazio di Scilla, Sant’Angelo di Valletuccio, San Nicola di Gallico, San Pietro di Arasì, San Giorgio di Pietracappa, San Filippo d’Argira di Gerace, San Nicodemo di Cellerana a Mammola, San Lorenzo di Arena, Santa Maria Veteri di Squillace, Sant’Angelo di Drapia, Arsafia di Stilo, San Giovanni Theriste di Bivongi, San Giovanni di Campolongo a Cutro nei pressi di Le Castella, San Nicola di Salica sulle alture di Capocolonna di Crotone, Santa Marina di Umbriatico, Sant’Adriano a San Demetrio Corone, Sant’Anastasia di Rossano, San Giovanni Calabita a Caloveto, Santo Janni a Cutro, Santa Maria delle Armi di Cerchiara, San Giovanni Mercurio a Laino, Santa Veneranda a Maida e così via. Insomma secondo alcune ricerche il numero dei cenobi di origine greca ammonterebbe, solo in Calabria, a quattrocento; ciò testimonia che il monachesimo orientale è penetrato in ogni contrada, anche la più irraggiungibile, della nostra regione. In alcuni di questi siti esisteva lo Scriptorium, come nel monastero cassiodoreo, una sorta di laboratorio per la trascrizione di Codici; di questi, oltre duemila sono sparsi in molte biblioteche del mondo. Certamente non si può non esprimere gratitudine agli amanuensi di quel tempo e già, perché grazie a questi santi monaci eremiti, oggi possiamo scrivere e “leggere” la nostra storia. Dei tanti Codici, oggi ben custodito nella cattedrale di Rossano, resta il famoso Codex Purpureus Rossanensis del VI secolo, edito probabilmente in Siria. Altri Scriptoria, appartenenti ai successivi monasteri di fede latina, esistevano nel monastero di Sant’Angelo di Frigillo a Mesoraca, in quello della Sambucina di Luzzi, nella Certosa di Santo Stefano del Bosco a Serra San Bruno e nel monastero florense di San Giovanni in Fiore. E, voluto e incoraggiato dai Normanni, venne il tempo del monachesimo latino che raggiunse grandi dimensioni ed estensioni in tutta la Calabria ed abbracciò il grande periodo normanno-svevo e angioino. Tra gli innumerevoli monasteri del tempo ne citiamo alcuni e comunque quelli più conosciuti. Intanto visitiamo i monasteri benedettini: Santa Maria di Sant’Eufemia, Santa Maria della Matina presso San Marco Argentano, Santa Maria di Valle Josaphat e delle Fosse in territorio di Paola, il monastero di Corazzo presso Carlopoli, , il Rocca Falluca di Tiriolo, il SS. Trinità di Mileto, il San Nicola di Salettano a Bisignano, San Pietro in Guarano, Santa Maria dell’isola di Tropea, San Pietro di Niffis in San Mauro Marchesato e il Santo Stefano di Abgadori di Isola Capo Rizzuto. Dal 1098, poi, dall’Ordine Benedettino nacque quello dei Cistercensi che subentrarono ai già presenti monasteri: Sambucina di Luzzi, Santa Maria di Corazzo dal 1162, Sant’Angelo di Frigillo di Mesoraca dal 1189, a Tiriolo dalla fine del sec. XII e a Santa Maria di Acquaformosa. Nel frattempo, dopo aver fondato nel 1084 a Grenoble tra le montagne della Chartreuse un monastero detto Certosa, venne in Calabria Brunone di Colonia al seguito del suo discepolo papa Urbano II, che gli aveva anche offerto la sede vescovile di Reggio, però rifiutata. Così il Santo tedesco volle rimanere in Calabria e tra i boschi delle Serre, con terre offerte dal benefattore Conte Ruggero il Normanno, fondò la prima Certosa d’Italia e unica in Calabria, dedicandola a Santa Maria della Torre, nel luogo dove oggi vi sono le testimonianze della sua penitenza e del suo vivere quotidiano. Era l’anno 1091. Qualche anno dopo e a pochi chilometri a sud è sorta la Certosa di Santo Stefano del Bosco per quei frati desiderosi di ascesi ma in un ambiente meno rigido di Santa Maria. Siamo nella Certosa di Serra San Bruno visitata dai papi Giovanni Paolo II e Benedetto XVI. Ancora dalle costole cistercensi è nato anche l’Ordine Florense fondato dal “calabrese abate Gioacchino, di spirito profetico dotato”. Siamo davanti al grande Gioacchino da Celico, nato nel 1130 che ha preso il saio monacale alla Sambucina nel 1177 e che diresse il monastero di Corazzo. Però, “ritenendo quella vita monastica piuttosto comoda e ricca”, nel 1191 fondava il cenobio di San Giovanni in Fiore, la cui Regola veniva approvata da Celestino III con Bolla del 1196. Legati ai Florenzi sono nati altri monasteri: Fontelaurato di Fiumefreddo Bruzio, Santa Maria di Altilia di Santa Severina, Pietralata di Pietrafitta, San Giovanni di Abatemarco e tanti altri. Ma nel 1570 Pio V soppresse quei pochi monasteri florenzi rimasti incorporandoli tra i Cistercensi. Concludiamo il nostro viaggio attraverso il monachesimo in Calabria e la sua evoluzione dalle origini ad oggi, senza però trascurare un rapidissimo accenno a quel monachesimo che non fu di origine calabro-greca, ma ugualmente importante per la Calabria. Innanzitutto san Francesco di Paola che, sulla scia dei Francescani Minori del Poverello d’Assisi presenti in modo considerevole in terra calabra, fondò l’Ordine dei Minimi con tanti conventi sparsi nel mondo. Inoltre i Padri Predicatori seguaci san Domenico di Guzman che fondarono nei nostri paesi un’infinità di conventi e dei quali il più importante e conosciuto nel mondo resta quello di Soriano. Al postutto, non possiamo sottacere che tutti monasteri calabresi, a prescindere dall’Ordine di origine, furono grandi artefici della rinascita socio-economica e spirituale della Calabria ed ancora oggi costituiscono il volano per l’incremento del turismo religioso e culturale e soprattutto luoghi di intensa spiritualità da vivere quotidianamente.
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