Angelo Iurilli, ispanista, vagava tra Cordova e l’Andalusia, e capitò in un paese dal nome curioso, Santa Eufemia. Chiacchiera con i naturali, e apprende che lì tutto è “calabrès”, dall’esibizione dei cavalli all’olio alle quattro confraternite dai nomi marziali, alla tradizione storiografica. Si narra, infatti, che trentatré cavalieri, venuti dalla Calabria, assalissero vittoriosamente un castello moresco, e il loro grido di guerra era “Sant’Eufemia”; fondarono il paese, e Santa Eufemia venne chiamato. Le tradizioni sono di solito un po’ vaghe, ma questa è stranamente precisa, e colloca l’avvenimento durante il regno di Alfonso VII di Castiglia l’Imperatore, cioè tra il 1126 e il 1157, e la guerra e crociata che, alleato di Genova e Pisa, egli mosse agli Arabi. Regnava in Sicilia e nell’Italia Meridionale il granconte Ruggero II, che nel 1130 si proclamò rex Siciliae et Ducatus Apuliae et Principatus Capuae; nel 1117 aveva sposato Elvira di Castiglia, figlia di Alfonso VI, inaugurando una lunga serie di rapporti dinastici e politici tra il Meridione d’Italia e i diversi troni della Penisola Iberica. C’è ampia materia di studio e curiosità. Da dove venivano quei valorosi? Eufemia è una santa bizantina molto venerata, e del suo culto rimangono in Calabria almeno due luoghi notevoli: il paese di Sant’Eufemia d’Aspromonte; e la grande abbazia benedettina fondata da Roberto Guiscardo sopra un cenobio dedicato alla santa. Iurilli recupera antiche amicizie pisane, e si rivolge a Ulderico N., il quale a sua volta sollecita l’Associazione Calabria – Spagna di Reggio e la sua infaticabile presidentessa Rosa Fontana. Questa scrive all’alcalde, e si reca, non senza fatica e spesa, a Santa Eufemia, trovando un ambiente assai favorevole, direi entusiasta, di tali lontane origini calabresi e guerriere. Chi scrive ha da allora firmato più articoli, con la speranza, finora rimasta delusa, che una qualsiasi autorità calabrese provasse la stessa commozione che provano in Spagna gli abitanti di Santa Eufemia. Per gli spagnoli ha vergato un pezzo, tradotto da Iurilli, che ha trovato ampio spazio in un numero unico di cui pubblichiamo la copertina. Ci sarà qualcuno che si curi di questi nostri cugini lontani nel tempo e nel luogo, ma così affezionati alle loro calabre radici?