La colonna d'oro di Capo Colonna
Scriveva Tito Livio in Ab Urbe condita: “[…] un bosco circondato da una fitta selva e alti abeti aveva in mezzo feraci pascoli dove pascolava, senza alcun pastore, ogni genere di animale sacro alla Dea […] perciò era grande il frutto che poteva essere ricavato da questo peculio e perciò era stata fatta una colonna d’oro massiccia ed era stata consacrata e il tempio fu famoso non solo per la sua particolare sacralità ma anche per le sue ricchezze”. E Cicerone nella De Divinazione: “Celio Antipatro riferisce che Annibale, avendo visto una colonna aurea nel Tempio e pensando di prenderla, la fece bucare perché era convinto che all’interno fosse cava. Ma allorché ebbe la certezza che era piena e massiccia, stabilì tra sé di portarla via come bottino. Sennonché, durante la notte, il Cartaginese sognò la Dea che, minacciosa, lò ammonì di ben guardarsi dall’attuare il suo sacrilego proposito se non voleva che anche l’altro occhio, l’unico che aveva, andasse perduto. Annibale, impaurito, non solo non si appropriò della colonna, ma, addirittura e in segno di espiazione, con l’oro ricavato dal buco che aveva fatto praticare, fece modellare una piccola giovenca, l’animale sacro alla Dea, che collocò sulla colonna stessa”.
Dagli antichi scrittori romani al contemporaneo numismatico, apprezzato in tutto il mondo, il crotonese Pasquale Attianese. Questi, in una pubblicazione del 1974 dal titolo “Calabria Greca (Greek coins of Calabria)”, aveva riprodotto “un diobolo in bronzo coniato a Crotone tra 420 e il 316 che mostrava da un lato la testa imberbe di Eracle, coperta da una pelle leonina, e dall’altra la riproduzione di una colonna dorica con una clava a sinistra e uno scudo a destra”. Quest’ultima testimonianza conforta l’idea che “quella moneta poteva essere stata coniata proprio per commemorare la colonna aurea” Insomma sarà leggenda, ma “un fondamento di verità storica” pur rimane.
Ed è da queste tre certezze storico - documetali, riportate nel libro oggetto di questa nota, che si apre e si consuma il lungo e laborioso cammino d’indagine archeologica, perché è di questo che si tratta, e speculazione culturale. Tutto questo è “La villa degli ulivi”, la fatica letteraria del catanzarese Cesare Bisantis ed edita da Calabria Letteraria. Lo dico subito, si tratta di uno di quei pochi libri che si lascia leggere tutto di un fiato per poi essere riletto analizzandolo e corredandolo di qualche riflessione o annotazione scritta. Così è stato, perché nel Bisantis c’è la freschezza della scrittura che si fa leggere fino all’ultima parola, anche quando si capisce come l’indagine e il fatto vanno a finire. C’è, insomma, tanta capacità di coinvolgere il lettore che viene preso per mano attraverso un complesso mosaico di avvenimenti, personaggi, miti, siti, luoghi e scoperte.
Il Bisantis ci offre un romanzo sospeso tra la cronaca e la storia e ne vien fuori una trama che accattiva per la forza narrante che si coglie: le immagini, le voci, i luoghi, gli oggetti ed i pensieri sono resi sulla scia di un’urgenza emotiva, schietta e genuina, che si raccorda ad una realtà dell’esistere. “La villa degli ulivi” è la tenuta dei Forlani, una vecchia e nobile famiglia di possidenti ed intellettuali e si trova alla Roccelletta di Borgia nelle immediate adiacenze del parco archeologico di Scolacium. È teatro di questa affascinante storia che prende il via dal fortuito incontro, a Roma, tra Marco Forlani, appunto, e Giulia Colosimo italoamericana, geologo lui ed archeologa lei. Tra i due nasce una bella amicizia che si trasforma in amore e diventa matrimonio cementificato dai fatti e dagli avvenimenti dei quali, i due, sono vittime e protagonisti. I giovani vengono in possesso di antichi documenti che riferiscono di un Annibale che, alla fine della guerra punica, avrebbe nascosto una colonna d’oro massiccio che si trovava ai piedi di Hera Lacinia nel tempio di Capocolonna di Crotone.
Della colonna aurea non se n’è parlato mai forse perché molti studiosi di archeologia, nonostante la documentazione già citata, non le dettero credito. Però il Bisantis mette in mano ai due giovani delle vere laminette bronzee contenute in un’anfora greca rinvenuta nelle terre dei Forlani e che inevitabilmente riportano alla luce la leggenda della colonna d’oro. Comincia il viaggio alla ricerca di questo preziosissimo reperto. Viaggio per nulla facile. A personaggi sinceramente innamorati della storia, della cultura e della Calabria si alternano figuri squallidi, trafficanti di reperti. Paure e certezze si intrecciano tra Squillace, Roma, New York, Crotone, Cariati. Paesaggi e luoghi finora inesplorati vengono alla luce come gli elefanti megalitici di Campana nell’entroterra cosentino e simboli esoterici di una Scuola Pitagorica attiva nella Squillace greca.
Insomma un bel libro come scrigno prezioso dove si può pescare, a piene mani, quanto di più bello la Calabria ci offre. E poi, “la colonna d’oro” di Capocolonna, se è testimoniata da Livio, Cicerone e dalla moneta di Attianese, non sarà proprio una leggenda. Ai posteri!
- Published in Cultura