Storia: i russi alla conquista del mar Nero. Un napoletano tra i protagonisti delle guerre con i turchi

Nel loro attacco all’Ucraina le truppe russe stanno concentrando una parte importante delle forze sul fronte meridionale. E’quella l’area in cui, secondo numerosi osservatori, starebbero avvenendo le battaglie più sanguinose. Del resto, la fascia di terra che si affaccia sul mar Nero presenta una straordinaria valenza strategica per entrambi i contendenti. Per gli ucraini, costituisce l’unico sbocco al mare; mentre per i russi rappresenta la possibilità di riaffermare l’egemonia esercitata sul mar Nero per oltre due secoli.

L’ultimo zar del Cremlino non fa mistero, infatti, di voler riprendere il controllo di un’area oggetto dell’espansionismo russo a partire dalla fine del Seicento, quando Pietro il Grande iniziò a cullare il sogno di dare al suo nascente impero uno sbocco verso i mari caldi. Nel 1696 - ben prima della pace di Nystadt (1721) con la quale acquisirono il controllo del Baltico ai danni della Svezia - i russi avevano già occupato la fortezza turca d’Azov. Era seguita la costruzione del porto di Taganrog e di una flotta destinata a presidiare il nuovo insediamento. Nelle intenzioni, Azov avrebbe dovuto essere l’avamposto da cui muovere per una successiva espansione. Infatti, in un secondo momento, lo zar sostenne le sue pretese davanti alla Sublime Porta, occupando l’antico khanato tataro di Crimea, protettorato ottomano dal 1475. L’occupazione durò fino al 1711, quando, impegnati nella guerra con la Svezia, i russi dovettero restituire tutto agli ottomani. Nel 1736, durante il regno dell’imperatrice Anna, le truppe zariste ritornarono in Crimea, ma furono costrette a lasciarla nuovamente in seguito al trattato di Nissa. Ad assicurare il definitivo controllo sul khanato, fu Caterina II, per la quale la conquista della Crimea rientrava in un disegno molto più ambizioso: il “Progetto greco“, ovvero un grandioso programma d’espansione, elaborato nel 1780 dal segretario privato dell’imperatrice, Aleksandr Andreevič Bezborodko. Il progetto puntava a sottrarre ai turchi i possedimenti europei, spartire i Balcani tra Russia e Austria e creare un impero cristiano con capitale Costantinopoli. A favorire l’idea avevano contribuito i risultati incoraggianti conseguiti nel corso della Prima guerra russo-turca, originata, nel 1768, dalla decisione del Sultano Mustafa III di opporsi a Caterina II che, contravvenendo agli accordi del 1739, che impedivano alla Russia di intromettersi negli affari polacchi, aveva posto sul trono della Confederazione polacco-lituana il suo favorito Stanislao Augusto Poniatowski. La guerra si concluse nel 1774 con il trattato di Kücük Kainarci, con il quale i russi si assicurarono il possesso dei porti d’Azov, dello stretto di Kerch e della base di Taganrog, nonché  il controllo dell’estuario del Dnieper e il riconoscimento della neutralità della Crimea.

Nel 1777, Caterina decise di affidare le province della Nuova Russia (Novorossija) e d’Azov - ovvero i territori corrispondenti all’attuale Ucraina sud-orientale - al governo di uno dei suoi innumerevoli amanti: il conte Grigorij Aleksandrovic Potëmkin. Tra il 1778 e il 1779 vedranno la luce le nuove città di Ekaterinoslav, Cherson e Nikolaev, nelle quali arriveranno coloni tedeschi, polacchi, italiani, greci, bulgari e serbi. In linea con il “Progetto greco”, nel 1783 la zarina decretò l’annessione della Crimea, cui seguì, l’anno successivo, la costruzione della base navale di Sebastopoli.

Un altro tassello alla realizzazione delle aspirazioni russe fu aggiunto, a partire dall’autunno del 1787, quando Russia e Austria si coalizzarono contro svedesi e ottomani. Determinata a mantenere le conquiste e a realizzarne di nuove, Caterina affidò il comando della Seconda guerra russo-turca a Potëmkin. Sulle prime, complice una tempesta che ne disperse la flotta, i russi furono costretti sulla difensiva. Approfittando della momentanea superiorità sul mare, i turchi concentrarono 42 vascelli nell’estuario del Dnieper e sbarcarono 5 mila uomini destinati ad attaccare la fortezza di Kinburn. L’assedio, grazie all’energia dimostrata dal comandante della piazzaforte, conte Aleksandr Vasil’evic Suvorov, si rivelò un fallimento e i turchi dovettero battere in ritirata. Bloccata dai rigori dell’inverno, la guerra riprese vigore l’anno successivo. Nel frattempo, Potëmkin aveva silurato Mordvinov, affidando il comando della flotta del mar Nero al principe Karl von Nassau-Ziegen, il quale, coadiuvato dal brigadiere Panaiothos Alexiano e dal padre della marina Usa, contrammiraglio John Paul Jones, tra il 28 e il 29 giugno 1788, presso l’estuario del Dnieper, ebbe ragione della squadra navale guidata dal kapudan (ammiraglio) Hassan Pasha. Il 10 luglio, i russi ingaggiarono nuovamente battaglia presso l’isola di Tendra, dove la squadra navale del contrammiraglio conte Mark Voynovich, sbaragliò ciò che restava della flotta ottomana. Acquisito il controllo sul mare, i russi cinsero d’assedio Očakov, sull’estuario del Dnepr. Dopo una fase di studio, spinto dai rigori dell’inverno e dal bellicoso generale Aleksandr Suvorov, a dicembre del 1788, Potëmkin lanciò all’assalto i suoi 50 mila uomini. La battaglia fu un bagno di sangue. Al prezzo di 20 mila morti, i russi riuscirono a espugnare la fortezza, lasciando sul campo più di 30 mila turchi. L’anno seguente, una nuova flotta del sultano guidata da Pasha Hussein, puntò sulla Crimea. Informato della manovra, il nuovo comandante della squadra di Sebastopoli, ammiraglio Fedor Fedorovic Ushakov, il 19 luglio 1790 ingaggiò battaglia nello stretto di Kerch dove riportò una brillante vittoria. Nel frattempo, i generali di Caterina II avevano deciso di puntare l’intera costa settentrionale del mar Nero, fino alla foce del Danubio. Un obiettivo ambizioso, tanto più che avrebbero dovuto fare i conti con la formidabile fortezza di Izmail. Situata sulla riva sinistra dell'estuario del Danubio, la città – che oggi si trova nella regione ucraina di Odessa - era stata fondata dai genovesi nel XII secolo. Conquistata dagli ottomani nel 1484, era stata ammodernata da ingegneri francesi e tedeschi poco prima dello scoppio della guerra. Protetta da possenti mura, da un fossato di 12 metri di larghezza per 6 di profondità e su un lato dal Danubio, Izmail, con i suoi 11 bastioni difesi da 260 cannoni e 40 mila uomini, era considerata inespugnabile.

A questo punto della storia, entra in scena Don Giuseppe de Ribas y Boyonsin un napoletano che avrà un ruolo decisivo nella caduta di Izmail. Di padre spagnolo e madre irlandese, era nato all’ombra del Vesuvio nel 1749, dove, all’età di 16 anni, era entrato nella Guardia napoletana con il grado di tenente. Nel 1769, a Livorno, conoscerà l’uomo che gli cambierà la vita: il comandante in capo della Marina russa conte Aleksei Orlov. Arrivato con la flotta del Baltico per impegnare le navi del sultano nel Mediterraneo, Orlov rimase affascinato dal giovane napoletano che parlava fluentemente sei lingue. Decise, quindi, di farlo diventare suo assistente e interprete. Nel 1770, de Ribas parteciperà alla battaglia di Cesme - la prima combattuta da navi russe nel Mediterraneo – culminata in una cocente sconfitta per la flotta ottomana. Nel 1772 lo troviamo a San Pietroburgo, con il nome di Osip Michajlovic Deribas, dove l’anno successivo entrerà al servizio del nuovo favorito della zarina, il conte Potëmkin, con il quale raggiungerà l'Ucraina meridionale per assumere il comando di una squadra navale.

Nel 1790, dopo aver conquistato diversi successi in una serie di scorribande contro gli insediamenti turchi lungo la costa, de Ribas venne incaricato da Potëmkin di conquistare Izmal insieme al conte Ivan Vasil'evic Gudòvic. Iniziato nel marzo 1790, l’assedio andò avanti fino a novembre, quando, in vista dell’inverno, Gudòvic decise di sospendere le operazioni. La notizia mandò su tutte le furie Potëmkin che decise di sostituire Gudòvic con Suvorov. Giunto a Izmail, il generale convocò de Ribas e insieme a lui predispose il piano d’attacco. Il 21 dicembre intimò l’ultimatum alla guarnigione. Ricevuta la risposta negativa dal comandante ottomano, Aydozle-Mehmet Pasha, alle 3 del mattino del 22 dicembre, mosse all'attacco su tre direttrici. Un ruolo decisivo lo ebbe proprio de Ribas che, a capo di 9 mila uomini, portò l’attacco nel punto più inaccessibile, sulle sponde del Danubio, dove le difese erano più deboli. L’assalto disorientò i difensori che non si aspettavano di essere attaccati in quel settore. Nel tentativo di chiudere la falla che si era creata su quel lato, i turchi dovettero spostare parte delle truppe che stavano fronteggiando i 7500 uomini del generale Pavel Potemikin sull’ala occidentale e i 12 mila del generale Samoilov su quella orientale. Alle 16 la battaglia era finita, la fortezza era caduta. Come negli assedi medievali, per tre giorni i vincitori ebbero licenza di saccheggio. Fu una carneficina: i turchi contarono più di 26 mila morti e 9 mila  prigionieri. I russi, dal canto loro, ebbero 1815 caduti e 2445 feriti. L’anno successivo, gli ottomani cercarono la rivincita in mare, ma le squadre navali algerine, tunisine e tripoline, vennero sbaragliate appena giunte nel mar Nero.

Tutto sembrava andare nella direzione del compimento del “Progetto greco”, se non fosse che sull’Europa incombeva lo spettro della Rivoluzione francese. Preoccupato dai furori rivoluzionari, l’imperatore austriaco Leopoldo II firmò la pace di Sistova (agosto del 1791 ) con la quale restituì ai Turchi la gran parte delle conquiste ottenute. Privata dell’alleato austriaco, Caterina II dovette sottoscrivere il trattato di Jassy (gennaio 1792). La Russia ottenne comunque la piazzaforte di Očakov, la costa settentrionale del mar Nero fino a Dnestr e il riconoscimento dell’annessione della Crimea, mentre Izmail venne restituita ai turchi. Dopo trecento anni di dominio turco, il mar Nero diventava un lago russo. Per i suoi servigi, nel 1791 de Ribas ricevette il comando della flotta del mar Nero. Proprio nelle vesti di ammiraglio, nel 1794, propose a Caterina di costruire Odessa. La nuova città russa nascerà con un’impronta spiccatamente italiana, ma questa è un’altra storia.

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Gli italiani in Crimea e la riabilitazione di Putin

Putin riabilita, tra i vari perseguitati dal regime comunista, anche gli Italiani di Crimea. Ma che ci facevano in Crimea degli Italiani? Beh, Lucullo, tra un pranzo e l’altro, vi si recò per annientare uno dei peggiori nemici che ebbe mai Roma, Mitridate re del Ponto; e la Penisola e i dintorni fecero parte dell’Impero nei suoi momenti migliori. Nel Medioevo c’erano colonie di Genovesi, la più importante la Tana. Il dominio turco pose fine, dal XV secolo, a questa presenza italiana. Nel 1855 Cavour, primo ministro del Regno di Sardegna, inviò in Crimea a fianco di Francia, Gran Bretagna e Turchia contro la Russia un contingente di 15.000 uomini, che fecero la loro figura all’assedio di Sebastopoli e alla Cernaia: quando bastava per far sedere il conte al Congresso di Parigi, con quel che ne seguì di Seconda guerra d’indipendenza e annessioni. Il Regno delle Due Sicilie, che aveva la Russia come unica amica al mondo, non assunse alcun atteggiamento, e fu l’inizio della sua inevitabile fine. Sembra che, crollato il Regno, alcuni ufficiali borbonici siano andati a vivere in Russia, e si dice restino alcuni curiosi cognomi. Fu verso la fine del XIX secolo che gli zar sollecitarono un’immigrazione italiana in Crimea, in particolare artigiani. Partirono dal Veneto, poi anche dalle Puglie. Queste piccole comunità s’integrarono nel contesto russo, conservando però la memoria e la lingua, e qualche contatto con l’Italia. Nel 1941, invasa l’Unione Sovietica dalla Germania con la partecipazione attiva dell’Italia (CSIR, poi ARMIR), Stalin considerò ostili anche gli Italiani di Crimea, sottoponendoli a restrizioni e controlli pressanti; come approfittò della circostanza per deportare i Tartari… Ora Putin, con la presenza del suo amico Berlusca, li riabilita, grazie Vladimiro.

 

 

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