Placanica e le “guarigioni” di Fratel Cosimo
Nella vallata dello Stilaro, sulla fiumara Precariti e nel comprensorio di Stilo, Pazzano, Bivongi e Caulonia, visitiamo un piccolo centro medievale fondato attorno all’anno 1000. Si tratta di Placanica che, a cavallo tra le Serre vibonesi e le prime propaggini aspromontane, si adagia sul crinale del monte Gallo e definito da Edgar Lear “una delle più caratteristiche città della Calabria”. L’origine del toponimo di Placanica deriverebbe da “plaka”, nome greco dato alla pietra abbondante nel territorio. I primi abitatori furono i Basiliani, come tanti altri luoghi della Calabria, che, intorno al 1000, provenienti dall’Oriente vi si fermarono edificandovi un piccolo monastero attorno al quale successivamente si formò l’agglomerato di case addossate una sull’altra come ancora oggi si vede. A partire dal 1283 il monastero, intanto abbandonato dai monaci, cominciò ad essere dimora di tante famiglie feudali del luogo come gli Arcadi, i Caracciolo, i De Licandro, i D’Aragona d’Ajerbe, i Passatelli e i Musitano. A quest’ultima famiglia apparteneva anche la famosa villa Scinà detta anche dei Caristo e ricadente nel limitrofo territorio di Stignano. Nei secoli XVI e XVII, sotto la dominazione spagnola, il detto monastero è stato trasformato in castello, anche se – scrive A. Scuteri – “di fortezza…ha sempre avuto ben poco”. Però – continua Scuteri – “splendida è comunque sempre stata la dominante posizione del luogo sul quale è stato edificato. Da esso si può ammirare, infatti, un superbo e inconfondibile scenario che, costellato soprattutto dagli ulivi secolari, dalle viti, dai fichidindia e da multicolori oleandri, declina verso le vallate dove scorrono i torrenti Fiorello e Precariti. Il degrado ambientale, il senso di trascuratezza e i vari rimaneggiamenti apportati alle strutture murarie hanno cancellato quasi completamente ogni traccia d’arte bizantina che in esso era conservata”. Tant’è e grazie alla negligenza dell’homo fisicus et politicus. E Placanica non è solo il monastero – castello, è anche belle chiese arricchite di tante preziose opere d’arte che meriterebbero migliore attenzione. Placanica è anche nobile centro che ha dato i natali al Beato Pietro Lucano vissuto nel secolo XVI; a Gerardo Brundij illustre giurista; a Tommaso Nesci, Gran Capitano della Guardia Nazionale del secolo XIX e a Tito Minniti, Medaglia d’oro al Valore militare. Il territorio di Placanica comprende anche le frazioni Pietra, Titi che conserva i ruderi di un antico convento domenicano del secolo XIV, e Santa Domenica. Ed è quest’ultima frazione che da qualche anno è meta di pellegrinaggi richiamati dall’attività di un umile contadino, oggi terziario francescano, quel Cosimo Fragomeni che qui vive da eremita e che ha avuto il grande privilegio di vedere e parlare con la Madonna in quell’ormai lontano 11 maggio del 1968 davanti ad un grande macigno, lo “scoglio”. Da allora, senza soluzione di continuità, sulle colline di Santa Domenica di Placanica accorrono pellegrini, curiosi e studiosi provenienti non solo dalla Calabria ma da ogni parte della Penisola ed anche da oltre Oceano. Ormai la spianata della chiesetta che, da quella visione, sarà dedicata alla Madonna dello Scoglio, piccola Lourdes d’Italia, è meta consolidata di pellegrinaggi, di una credenza popolare che non ha bisogno dell’imprimatur della Chiesa, anche se negli ultimi anni il vescovo del’epoca di Gerace-Locri Monsignor Giancarlo Brigantini ha offerto il suo autorevole contributo. Intanto le guarigioni operate da Fratel Cosimo, che si limita a guidare le preghiere durante le adunanze di massa, parlando alla folla soltanto al termine della celebrazione eucaristica, vengono indicate a tutti come volontà ed opera di Dio e solo attraverso la preghiera e la fede. Dicevo di guarigioni, sì perché di ciò si tratta ed il caso più eclatante risale all’agosto del 1986 allorquando Rita Tassone, giovane signora di Serra San Bruno, dopo 13 anni di sofferta malattia, dallo “Scoglio” proclamò la sua guarigione da ciò che la costringeva su una sedia a rotelle. Oggi la Tassone vive serena nella città della millenaria Certosa. E le guarigioni volute dal buon Dio attraverso la preghiera del contadino di Santa Domenica si susseguono sempre più e durante le preghiere di massa, anche sotto il sole torrido o nelle giornate dell’inverno rigido, e c’è chi stringe fra le mani la foto di un congiunto che non ha potuto presenziare, sperando nel miracolo. Su quella spianata e tra i sentieri in lontananza la moltitudine di gente non avverte il caldo o il freddo o la stanchezza dei chilometri attraversati a piedi per arrivare fin lassù, anzi è come presa da un senso di pace coinvolta come è dalla preghiera collettiva e dal carisma di quel semplice contadino tanto privilegiato. Qui mi piace riportare la testimonianza, fra le tante, di un ortodosso, Romeo Magherescu, docente di filosofia a Bucarest venuto fin qui nel 1994. Così scrive: “Un sabato tiepido…un soffio di santità mi attraversava l’anima: un’onda di religiosità mi aveva portato, accanto ad un nuvolo di persone che pregava e cantava in letizia…Ho visto alcuni tremare: il mondo restava lontano. Senza volerlo anch’io ero scosso dallo stesso tremore, per la Pace e il senso di tranquillità che s’impossessava di noi tutti: il miracolo si produceva sotto i nostri occhi, la fede si rivelava più forte lì nelle contrade benedette dalla Madonnina…Fratel Cosimo, e lui stesso lo dice con fermezza, non è altro che il vaso e lo strumento di cui si serve la Protettrice…l’unica speranza di tanti cuori spezzati, di tanti esseri vaganti sull’orlo della disperazione…io che provengo dalla Romania, da un’altra terra difficile e bellissima come l’Italia, io, ortodosso, scampato ai pericoli del passato comunismo, ho ringraziato, come tutti quanti, il soffio guaritore della Fede…”.
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