‘Ndrangheta, a Platì serve uno Stato forte, non il protagonismo di belle rampanti

La telenovela sceneggiata dal PD sul caso Platì riserva continui colpi di scena. Lo scoppiettio dei petardi mediatici esplosi con cadenza ormai quotidiana genera il rimpianto che essi siano stati accesi soltanto dopo il superamento dei termini perentori imposti dalle leggi italiane a proposito della presentazione delle liste elettorali. La vicenda è nota: gli elettori del piccolo centro in provincia di Reggio Calabria non eserciteranno il diritto di voto tutelato dalla Costituzione a causa dell'incapacità, esibita da partiti, movimenti, associazioni e quant'altro affolli il variegato circo dell'antimafia chiacchierona, di approntare uno straccio di lista. Le sorprese, però, a queste latitudini, sono sempre dietro l'angolo e pure in questa storia hanno fatto capolino e adesso appaiono decise a non abbandonare il campo. Dal momento esatto in cui è emerso che la democrazia continuerà, nel terzo millennio, ad essere invisibile chimera per una disastrata comunità residente all'interno dei confini nazionali, l'incontenibile ansia di protagonismo e le velleità propagandistiche di taluni si sono prepotentemente affacciati sul proscenio nazionale. A rompere gli indugi, come si ricorderà, era stato in prima persona il segretario regionale del Partito Democratico, Ernesto Magorno, il quale, con linguaggio aulico misto a candore, aveva dichiarato che: "La Calabria siamo noi. La battaglia per la legalità dobbiamo farla noi calabresi, la deve fare Platì, trovando il coraggio di alzarsi e combattere. E il Partito Democratico Calabrese - aveva aggiunto senza nascondere una discreta dose di autocritica - non può semplicemente 'tenere le mani in tasca', deve andare oltre, deve entrare nei cantieri della storia di questo Paese per provare a liberare la voglia di futuro di una comunità ripiegata su se stessa, delusa e stanca delle solite passerelle dei politici, dei tanti silenzi così come delle troppe parole". "Io stesso - era stato il suo annuncio alla Nazione - sono disposto a candidarmi a sindaco di Platì e formare una lista insieme ai parlamentari del PD che, come me, vogliono contrastare un dilagante modo di vivere e pensare che offende e uccide la libertà e la dignità umana". Il fuoco di fila, dal sapore vagamente opportunistico, di dichiarazioni che hanno iniziato a riecheggiare con rapito entusiasmo l'anelito etico del pacioso Magorno, è diventato d'un tratto inarrestabile. Di deputati e dirigenti del PD pronti al "sacrificio" per la Patria se ne sono trovati talmente tanti che la metà avrebbero riempito un paio di liste, se solo si fossero resi disponibili entro la scadenza fissata dalle norme vigenti. Il culmine, almeno fino al momento, è stato raggiunto da una giovane fanciulla, Anna Rita Leonardi. Assistente parlamentare ventinovenne dell'onorevole Luigi Lacquaniti, si era candidata con scarsa fortuna alle Comunali di Reggio Calabria che nell'ottobre scorso hanno consacrato Giuseppe Falcomatà sindaco. L'afflato verso la cosa pubblica, però, è talmente incontenibile da impedire alla Leonardi di saltare un giro sulla giostra della smania di spettacolarizzazione. L'idea che un viso bello e pulito sia sufficiente a fare da contraltare al deserto di diritti ed opportunità civili creato dalla criminale subcultura della 'ndrangheta fa sorridere e rende plasticamente l'idea di quanti passi avanti debba ancora fare uno Stato autenticamente forte ed autorevole. Immaginare di lavarsi le coscienze con queste modalità, di fronte ai tre scioglimenti in dodici anni per infiltrazioni della 'ndrangheta nelle attività amministrative del Comune di Platì, costituisce null'altro che un puerile tentativo di strumentalizzazione. Sarebbe molto più serio se, attraverso un improcrastinabile ribaltamento dell'impostazione culturale, il Governo si attrezzasse adeguatamente per stroncare, anche con strumenti militari e coercitivi, la metastasi della criminalità organizzata, macchia di vergogna indelebile sulla pelle viva del tessuto italiano. Arrendersi davanti al cabaret travestito da antimafia è un esercizio deleterio per la popolazione dedita al bene, un favore servito su un piatto d'argento per i delinquenti appestati dal male. Al contrario sono quanto mai indispensabili persone che abbiano studiato con fatica e, sgobbando sui libri, abbiano imparato quale sia la serietà richiesta alla Politica, quale sia la gravosità dell'impegno che deve ricadere su chiunque desideri assume responsabilità pubbliche. Andare a caccia di titoli di giornale che, assieme ad un'immagine costruita sui social network, abbiano l'impatto di far scalare a due a due i gradini di una carriera tutta da inventare, somiglia assai ad un'imperdonabile offesa ai dogmi del vivere civile. Non è accogliendo con favore la candidatura a sindaco di una donna alle prime armi che si apre l'armadietto dei buoni propositi, non è scrollando le spalle nell'assistere pavidamente alle ambiziose mosse a tavolino di belle e rampanti accecate dall'egocentrismo che si muovono passi decisivi nella guerra, urgente, per riconquistare territori infestati dal nulla dell'immonda arroganza mafiosa.

 

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