La bilancia guasta del PD: a Livorno aggredisce, a Reggio si chiude in difesa
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La politica del terzo millennio in Italia è battaglia senza esclusione di colpi, un monumento alla spregiudicatezza, edificato, nella maggior parte dei casi, da soggetti mediocri che provano ad armarsi di cinismo e faccia tosta, armamentario indispensabile per coprire la loro irrimediabile inadeguatezza. Succede quasi ovunque, a livello nazionale dove si registra un pullulare di personaggi, che ai tempi della Prima Repubblica avrebbero con fatica bussato alla porta dei potenti per portare il caffè, ed oggi si ritrovano a Palazzo Chigi o sparsi nei vari ministeri o ancora ad occupare incarichi apicali nelle istituzioni e nei diversi partiti. Capita, a maggior ragione, sul piano locale, dove la qualità è, se possibile, proporzionalmente più bassa ed i protagonisti si sforzano di rimanere abbarbicati al suolo per evitare di sprofondare sotto il peso insostenibile della propria inconsistenza. Affinché l'attività quotidiana proceda senza grandi scossoni è indispensabile, allora, liberarsi da qualsiasi remora di dignità e coscienza e difendere l'operato (?) del proprio scalcinato esercito, costi quel che costi, ed attaccare il nemico, anche al prezzo di rimanere sommersi dal ridicolo. Quanto si sta verificando in queste ore a Livorno, dove amministra il Movimento 5 Stelle, è perfettamente speculare, al presente vissuto a Reggio Calabria da qualche mese, con un unico dettaglio a rendere apparentemente differente lo scenario che ne scaturisce: la posizione del Partito Democratico. In Toscana, dove il PCI-PDS-DS-PD ha scorrazzato senza soluzione di continuità per decenni e decenni, la Giunta dal giugno dello scorso anno è guidata da Filippo Nogarin, rappresentante del Movimento 5 Stelle. In riva allo Stretto, al contrario, è il PD ad amministrare dopo aver attraversato, confuso e smarrito, il deserto nel corso della lunga stagione scopellitiana. Ruoli diversi che impongono di indossare, secondo una patetica visione consacrata alla disonestà intellettuale, panni differenti. Era il 24 agosto quando commentavamo, con fastidio, la trita e ritrita cantilena secondo cui ogni difficoltà incontrata dall'Amministrazione Falcomatà viene irrimediabilmente accompagnata dalla triste giaculatoria sul passato che da Catona a Pellaro aveva lasciato solo macerie così alte da rendere impossibile alla nouvelle vague di Palazzo San Giorgio qualsiasi, pur minimo, margine di manovra. Ogni singolo atto, ogni singola omissione giustificati, di fronte all'opinione pubblica che, in parte, aveva scelto la "svolta" strombazzata dalle fanfare conformiste, continuano giustificati dall'impossibilità di gestire l'ordinaria amministrazione a causa del fardello accumulatosi durante le consiliature precedenti. Una stucchevole litania che allontana da sé ogni responsabilità e, inevitabilmente, lascia emergere dubbi consistenti circa la reale utilità della presenza sulla tolda di comando degli attuali inquilini del Municipio. Come in un paradossale gioco a specchi irregolari, muta il panorama e ci si trasferisce nella Livorno a 5 Stelle, in queste ore investita dalla drammatica situazione economica in cui è piombata per antiche responsabilità l'azienda che si occupa della raccolta dei rifiuti. In questo caso i big del PD, devoti a Matteo Renzi come i loro colleghi reggini, aprono un fuco di fila contro il Primo Cittadino. Lo fanno con invidiabile violenza verbale, dal senatore Francesco Russo che in modo tranciante non ammette repliche: "Il Movimento 5 Stelle non perde occasione per sollevare polveroni demagogici, scaricando le responsabilità sempre su qualcun’altro. Ma alla fine i nodi vengono al pettine". Decontestualizzata e considerata nella sua astrattezza, sarebbe da considerare un lodevole appello all'assunzione degli oneri derivanti dal mandato elettorale. E' un peccato, però, che sia unilateralmente indirizzato soltanto verso gli avversari dimenticando come questi stessi concetti non trovino cittadinanza nelle menti dei suoi colleghi reggini di partito. "A Livorno il M5S fa improvvisamente i conti con la realtà", è, invece, il verdetto del senatore Andrea Marcucci, altro soldato dell'Armata Brancaleone targata PD, anche lui strabico nell'osservazione del quotidiano scorrere degli eventi. A dare il meglio, come gli capita spesso da quando è balzato agli onori delle cronache politiche nazionali, è, neanche a farlo apposta, il deputato Ernesto Carbone che, se non altro per ragioni connesse alle sue origini calabresi dovrebbe essere assai attento a quanto capita da queste parti. Effettivamente, nel recente passato, lo è stato quando, stentoreo, ha pontificato sull'aeroporto di Reggio Calabria, non per difenderne la sopravvivenza, si badi bene, ma per suggerirne la chiusura. Ebbene, il "distratto" parlamentare dem, incurante del doppiopesismo di cui è impregnato il suo pensiero, si è sbizzarrito e, puntando l'indice accusatorio contro il M5S, ha spiegato che: "Fare come Ponzio Pilato, scaricare le proprie colpe sugli altri e decidere di non decidere, sperando nella supplenza della magistratura, è disarmante. Purtroppo tra scalare i tetti e amministrare un Paese esiste una differenza enorme e a Livorno ne abbiamo la dimostrazione". E' il giudizio definitivo, quello che asfalta, per usare un termine caro alla sua maramaldeggiante compagnia, qualsiasi avversario. Talmente aderente alla verità dei fatti che dispiace solo per un particolare: non aver utilizzato una banalissima congiunzione, (e), che gli avrebbe dato l'opportunità di bocciare, oltre che la città labronica, anche Reggio Calabria.
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