L’Italia uscita dalla Seconda guerra mondiale è un Paese stremato. Nel resto d’Europa le cose non vanno meglio. Le differenze tra vincitori e vinti, dal punto di vista dei danni materiali, non sono molte. La generazione che si è fronteggiata sui campi di battaglia, non si arrende.
La competizione si sposta dal campo di Ares a quello di Efesto. I comignoli delle fabbriche ricominciano lentamente a fumare. I piccoli artigiani danno fondo alla loro fantasia e diventano capitani d’industria che gettano le premesse per il miracolo economico. I settori in cui c’è un inaspettato fermento sono tanti, ma in uno, in particolare, gli italiani hanno sempre manifestato una grande attitudine, la meccanica.
La ricostruzione, per procedere speditamente, necessità d’ingenti risorse economiche e di una grande mobilità. Con le auto, ancora, relegate tra i beni di lusso, gli italiani si muovono in bicicletta, i più fortunati usano un altro mezzo a due ruote, le moto.
Nel campo motociclistico il Belpaese, prima della guerra, occupava un ruolo di assoluto rilievo.
Durante il conflitto la Moto Guzzi Alce e la Gilera LTE 500 avevano dato ottima prova su tutti i campi di battaglia.
Con le giapponesi, ancora in fase embrionale, il mercato delle moto è dominato dalle case italiane ed inglesi. Terminato il conflitto, quindi, le grandi aziende si lanciano nella ricerca di nuovi ed economici modelli da proporre sul mercato.
La motorizzazione di “massa” non può che essere fondata su piccole cilindrate dai consumi contenuti.
Nel frenetico mondo post bellico delle due ruote, si fa strada anche un calabrese trapiantato al Nord.
Si tratta del titolare di un’officina che, a Milano, si occupa della revisione e della riparazione dei sistemi elettrici e degli impianti d'iniezione per motori diesel.
Si chiama Giovanni Parrilla ed è nato a Longobucco, in provincia di Cosenza, nel 1911.
Negli anni che precedono lo scoppio del Primo conflitto mondiale, la famiglia Parrilla va a vivere a Mantova. Nella città dei Gonzaga, Giovanni trascorre l’infanzia e parte dell’adolescenza fino a quando, nel 1927, decide di trasferirsi a Milano dove avvia la sua officina.
La passione di Parrilla, però, sono le moto. Ad affascinarlo è il cupo rombo dei motori delle due ruote.
Nella vivace Milano apprezza le possenti Guzzi e le poderose Gilera, ma il marchio che più di ogni altro lo intriga è quello della britannica Norton Manx.
La smania è tale che decide di acquistarne una e di smontarla completamente per scoprirne i segreti. Rimontata e venduta la moto, Parrilla inizia a coltivare il suo sogno. Un sogno che rimane nel cassetto fino a quando, nel 1946, prende forma e si materializza con la nascita della casa motociclistica Parilla.
Per ragioni fonetiche, Giovanni, ha cassato una “r” al suo cognome ed ha creato il marchio cui verrà associato come logo un levriero in corsa.
L’azienda milanese conosce un successo tale che nel volgere di pochissimi anni diventa una delle più importanti realtà motociclistiche italiane.
Per la prima monocilindrica da competizione della casa, Parrilla ingaggia uno dei migliori tecnici dell’epoca, Alfredo Bianchi.
Nasce così la Sport, una grintosa 250 monoalbero che debutta sul circuito di Lodi. Nel 1947 viene prodotta una 247 cc, la Parilla Super Sport, che conquista il primo successo a Lugano, nella categoria dilettanti, mentre l’anno successivo a Monza conquista il campionato di seconda categoria.
Il mondo delle competizioni, ieri più di oggi, rappresentava una grande vetrina per gli appassionati. Con i successi nelle gare, arrivano le prime richieste che portano alla nascita della prima moto di serie che verrà costruita in tre versioni, lusso, supersport e competizione.
Nonostante gli apprezzamenti del pubblico e le vittorie sportive, nel primo lustro di attività, l’azienda immette sul mercato poco più di 300 esemplari. Ciò che frena gli acquirenti non è la qualità del prodotto, ma il prezzo.
Parrilla, infatti, non costruisce moto qualsiasi, le sue due ruote sono prodotte in maniera artigianale, con una cura maniacale per i dettagli ed ovviamente con costi finali più alti rispetto alla concorrenza; un tratto distintivo che rimarrà tra le caratteristiche principali dell’azienda del levriero.
Nel 1950 prende il via la produzione di quello che sarà il maggior successo commerciale della casa del levriero, la 98 cc, proposta nelle versioni “Turismo” e “Sport”. Il successo è tale che l’azienda compie un vero e proprio salto di qualità.
Nei primi anni Cinquanta vanno di gran moda le gare sulla distanza, la Parilla non si tira indietro e nel 1951 vince la Milano-Taranto. I confini nazionali sono ormai troppo angusti e non possono contenere l’esuberanza della moto “calabrese”.
Nel 1953 fa la sua apparizione il modello che proietterà la Parilla sui mercati internazionali. La nuova 175 “Bassotto” a quattro tempi, costruita in tre versioni (Turismo, Supersport e Sport), troverà estimatori non solo in Europa, ma anche Oltreoceano dove otterrà grandi successi sia nelle gare di velocità che in quelle fuoristrada.
Nel 1957 la due ruote del levriero vince il V giro MotoCiclistico d’Italia, con un 175 MSDS (Motociclo Sport Derivato dalla Serie) guidata da Giuseppe Rottigni, mentre nel 1964 la 250 si aggiudica il secondo posto nel Gran Premio degli Usa, sulla velocissima pista di Daytona.
Tra le altre moto prodotte dalla Parilla, una menzione particolare la meritano una 350 bicilindrica di impostazione granturistica ed una sinuosa 125 progettata dall’ingegner Cesare Bossaglia.
In casa Parilla la ricerca e l’innovazione non mancano, come dimostra la produzione, a partire dal 1957, dello Slughi la cui carrozzeria avveniristica, lo fa apparire come un ibrido tra una moto ed uno scooter.
Nel 1960, dalle officine milanesi esce Oscar, uno scooter 160 di cilindrata, con avviamento elettrico e cambio a quattro rapporti.
Si tratta, però, del canto del cigno. Le difficoltà economiche determinate, anche, dallo spostamento di una fetta di mercato verso le automobili, comportano l’ingresso nel capitale di una società finanziaria che, nel 1962, estrometterà definitivamente il fondatore.
L’azienda inizierà un rapidissimo declino che culminerà nella chiusura.
Parrilla, però, non si dà per vinto e con cocciutaggine tipicamente calabrese si lancia in una nuova iniziativa imprenditoriale, la FIMAS (Fabrica italiana motori a scoppio), con la quale avvia la produzione di motori da kart.
La passione per le due ruote, però, non lo abbandona e nel 1966 costruisce la MP (Moto Parilla) destinata alle gare di cross.
Nel 1976 all’età di 66 anni Giovanni Parrilla uscirà prematuramente di scena, gli sopravviveranno le sue motociclette, alcune delle quali sono oggi custodite nel museo civico di Longobucco, il paese che gli aveva dato i natali.