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Mafia e antimafia, ovvero l'immagine stereotipata della Calabria

Se violentano e uccidono una ragazzina in Lombardia, a nessuno viene a mente che i Lombardi abbiano il virginicidio per abitudine, ma tutti sperano di sapere se è stato Caio o Mevio; se succede una cosa qualsiasi in Calabria, la colpa non è di Mevio o Sempronio, è della Calabria. Uccidono una sfortunata ragazza? Ecco che la Chaouqui vomita sull’intera regione e sulle sue donne; e di predicozzo in predicozzo piace ai predicatori, e finisce, unica donna, in una commissione di preti. Poi finisce anche sotto processo, ma aspettiamo… L’ignoto presidente di un’ignota squadra di uno sport ignoto di Locri dice di aver trovato sull’auto dei bigliettini più o meno minacciosi, e una gomma non è chiaro se tagliata come si disse prima o solo sgonfia o sgonfiata come si disse poi. Il succo sarebbe che qualcuno vorrebbe, secondo il presidente, la chiusura della detta squadra. Egli la ritira, si ritira, l’affida al sindaco… e noi, che non ce la beviamo tanto, aspettiamo le indagini. Ma siamo in Calabria, e si scatena subito la nostra anima barocca, con il corteggio di manifestazioni, interviste, marce, notorietà improvvisa degli ignoti. Repubblica, quotidiano di enorme diffusione nazionale, si fionda subito – ognuno ha la sua Chaouqui – e scopre la verità: la mafia è misogina, odia le donne, le vuole chiuse in casa. Elementare, vero? Intanto si cercano nuovi proprietari (come mai proprietari, se a dimettersi è il presidente? boh!); un avvocato che vive a Roma propone l’affare a degli amici, i quali mostrano, pare, di essere interessati, però, come è banale, vogliono vedere le carte. Il presidente uscente non consegna le carte, e spiega ciò con il rispetto della “privacy”. Gli interessati lo mandano, giustamente, a frasche. Tutta la Calabria comincia a sentire olezzo, tranne gli antimafia segue cena e di mestiere che invece hanno deciso che è stata la mafia. Così tutta Italia sa che la mafia minaccia le ragazze di Locri. Non è emerso da alcuna indagine, non c’è alcuna prova, non si sa niente… ma l’opinione pubblica e giornali e tv non amano l’analisi, corrono subito alla sintesi e ai titoloni. Qual è la sintesi, in Calabria? Che qui c’è una realtà sola: la mafia. In antitesi, l’antimafia. Basta, non c’è altro: storia, arte, letteratura, lavoro, mare, amori, odi, pettegolezzi… insomma, tutto ciò che costituisce una qualsiasi comunità umana? Niente, solo mafia; con qualche contorno di arretratezza, violenza e tristezza, il tutto in dialetto con i sottotitoli. Perché la Calabria non reagisce a questa sua identificazione con la mafia? Ma perché un 5% appartiene alla mafia; e un buon 40% prima o poi campa, anche lautamente, con l’antimafia. E l’altro 55%? Sono quelli, ma anche il 40, in privato, che in privato mi danno ragione; però, che vuoi… A proposito: non è che a Milano pensino alla mafia vera, quella del traffico mondiale di droga, delle banche… no, poveracci, e per colpa nostra, pensano che la mafia sia che io appena esco di casa vengo rapinato dei 20 € che mi porto dietro. E che io esca in un posto senza donne, tutte chiuse negli harem e violentate. Tranne la Chaouqui, ovviamente, che è molto emancipata. 

 

 

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Caso Sporting Club Locri: squadra in campo contro la Lazio

"Non ho ancora preso una decisione, ma posso dire che le ragazze il 10 gennaio giocheranno con la Lazio". A parlare è Ferdinando Armeni, il presidente dello Sporting Club Locri, la società di calcio a 5 femminile balzata agli onori della cronaca nazionale in seguito alle intimidazioni subite dai suoi dirigenti ed origine della decisione, annunciata dallo stesso numero 1, di ritirare il sodalizio dal campionato di Serie A. Allontanando l'ipotesi che le intimidazioni subite siano provenienti da ambienti di 'ndrangheta, Armeni ha spiegato di ritenere "che le minacce siano opera di cretini". Una risposta piccata a Piersigilli, presidente della Lazio, che aveva manifestato il timore di andare a giocare a Locri. 

La 'ndrangheta spaventa anche lo sport e i Palazzi si nascondono dietro la "solidarietà"

Se non ci fosse da piangere per la drammaticità dei fatti, potremmo solo ridere, anche in questo caso fino alle lacrime, davanti alle esilaranti reazioni provenienti dal mondo dello sport e delle istituzioni che, in modo compatto, hanno ritenuto di dover solidarizzare con l'Asd Sporting Locri. La vicenda è nota: il presidente del club che milita del campionato di Serie A di calcio a 5, Ferdinando Armeni, ha deciso di fare un passo indietro di fronte allo stillicidio di intimidazioni e minacce indirizzate a lui stesso, alla sua famiglia e ad altri dirigenti del sodalizio ionico. La sua fermezza nel mantenere inalterata la scelta, clamorosa quanto umanamente necessaria, è ancor più significativa di fronte al profluvio di retorica che in queste ore ha circondato il caso. Ha parlato il numero dello sport italiano, Giovanni Malagò, lo ha fatto anche il presidente della Federcalcio Carlo Tavecchio, esponenti politici vari, a partire dal presidente della Regione Mario Oliverio. E' davvero imbarazzante immaginare che, di fronte al terrore prodotto dalla feccia chiamata 'ndrangheta, spadroneggiante senza rivali nella Locride, ci sia qualcuno disposto ancora a credere alla bontà salvifica di una metaforica pacca sulle spalle. Il responsabile dello Sporting Locri, esauriti i debiti ringraziamenti, con lo spiccio pragmatismo di cui da quelle parti bisogna armarsi per sopravvivere, non solo non recede dalla sua intenzione, ma conferma di volersi liberare gratuitamente della gestione di quello che ormai è diventato un peso difficile da sopportare. "Locri deve giocare. Il 10 gennaio - ha detto con un a pari all'ingenua incoscienza Malagò - voglio vedere le ragazze in campo. Lo sport italiano è al fianco della società e delle atlete che non devono assolutamente cedere a questi vergognosi gesti". "Porteremo a Locri - gli ha fatto eco l'ineffabile Tavecchio - le azzurre del calcio a cinque per testimoniare la nostra solidarietà. Il calcio italiano è unito contro la violenza e contro la vergogna di chi attraverso la minaccia non vuole si faccia sport. Esprimo massima solidarietà allo Sporting Locri, la Figc è al loro fianco. Andremo in Calabria con la Nazionale femminile di Calcio a 5 per testimoniare tutto il nostro sostegno affinché nel meridione d’Italia non si spenga una bella realtà di sport in rosa". "Solidarietà", una parola ripetuta più volte, quasi avesse una debolezza intrinseca che per essere nascosta deve essere reiterata. E' questo l'aspetto che rende tutto surreale: da una parte la carne viva della paura bruciata nel fuoco sempre acceso della bestialità criminale, dall'altra gli alieni sbarcati dal pianeta delle banalità, pericolosissime perché rappresentano l'istantanea della mancanza di comprensione del fenomeno e della lontananza siderale, culturale prima di tutto, nei confronti di questa ampia porzione del territorio. Vivono un mondo che non capiscono, un mondo che non vogliono capire perché la realtà è tremenda ed allora è di gran lunga più comodo immergersi nell'acqua sacra dell'ovvio. Senza vergogna, senza arrossire, un paio di parole di circostanza obbligate vista l'occasione, ma nulla che lasci intuire un'impercettibile cambiamento di prospettiva nell'interpretazione degli eventi. "Andate avanti con coraggio, non siete soli. Le intimidazioni non possono bloccare la crescita ed il vivere civile", è, per esempio, quello che sono riusciti a mettere in bocca ad Oliverio: meglio, molto meglio, sarebbe stato tacere. Si sarebbe evitato di sfondare la porta del ridicolo. Proseguire imperterriti, fingendo che un giorno la 'ndrangheta scomparirà per mano divina, dovrebbe essere considerato un reato, anche fra i più gravi. Ne è consapevole Claudio Sammartino, Prefetto di Reggio Calabria, che ha ordinato "adeguate misure di protezione" per i dirigenti e la convocazione del Comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica: interverranno anche  i protagonisti, loro malgrado, della vicenda- Lo si capisca una volta per tutte: è una guerra, vera, di quelle che si combattono con le armi, con gli eserciti. Negarlo, o celarlo sotto l'ombrello protettivo e fasullo della "solidarietà", è una colpa storica da cui tessuto sociale e classe dirigente  insieme hanno l'obbligo di liberarsi, pena la capitolazione definitiva.

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