Il referendum e l'anacronistico voto nel comune di residenza
Non voglio qui entrare nel tema del referendum, ma solo della procedura elettorale. Ho sentito parecchie obiezioni sull’obbligo di votare nel comune e nel seggio di residenza, e l’implicita proposta di poter esprimere il proprio suffragio in qualsiasi luogo del territorio nazionale.
Capisco che ormai è tardi, ma si può ragionare per l’avvenire:
- Il quesito referendario non ha alcun carattere territoriale, e riguarda modifiche alle istituzioni, e non questioni locali o elezioni di persone;
- Questo referendum, in particolare, non è soggetto a quorum;
- Milioni di Italiani si troveranno, il 2 e 3 dicembre, lontani dal luogo di residenza, e dovranno viaggiare per esercitare il diritto di voto;
- Non saranno trascurabili i disagi e le spese;
- Il periodo non è dei migliori per gli spostamenti;
- Difficile è il problema degli studenti universitari fuori sede, che devono trovarsi il 4 dicembre a casa, e ripartire per altre lezioni o esami: o non ripartiranno?
È ora di superare residui del passato pretecnologico: si potrebbe anche votare elettronicamente; o almeno, in casi di referendum di carattere generale, permettere di votare dovunque.
Ora che ci penso, nel 1974, tenendosi il referendum sul divorzio, e trovandomi, da militare, in servizio ai seggi, e ben lontano dalla mia residenza, ho votato in un luogo fino a poco prima a me ignoto. Il quesito era di carattere nazionale, esattamente come quello che ci attende il 4 dicembre.
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