È maggio e Crotone si risveglia dopo il letargo invernale e si veste a festa con tutto il suo territorio diocesano. Dappertutto è festa di primavera: da Cutro ad Isola, da Crucoli a Cirò Marina, da Papanice a San Leonardo di Cutro. È il mese della terra che riprende il suo sorriso e il suo cammino per dare senso alla vita dell’uomo; è il mese delle rose, ma soprattutto, in Calabria come altrove, è per eccellenza il mese della Madonna, durante il quale la pietà popolare, in ogni tempo, ha saputo e sa creare un vasto caleidoscopio di devozioni e pratiche che vanno dal sacro al profano e comunque tutto all’insegna della sincera fede ed in particolare della fede rivolta alla Vergine. Per i Crotonesi è il mese della Mamma, l’antica Mamma di Capo Colonna. “Ogni crotonese – scriveva il compianto Mons. Giuseppe Agostino - sentendo la sua appartenenza a questa città gloriosa e provata, nel suo cuore, ne sono certo, esperimenta la sua identità, alimenta la sua speranza, racconta la sua vita riferendosi vitalmente alla Madonna di Capocolonna. La festa annuale è, per questo nobile popolo, un appuntamento atteso e determinante. Dalla festa mariana Crotone si ritrova calamitata, in essa convocata, per essa messa in cammino. Ed ogni festa è come il segnale ritmico della sua storia”. Maggio in festa, per i Crotonesi, tutti, vicini e lontani, è il mese della Mamma, l’antica Mamma di Capocolonna che ha sfidato le fiamme del promontorio per portare la luce e il conforto nella città krotoniate. È il “cammino” della notte il momento sicuramente più suggestivo e coinvolgente di tutto il mese mariano crotonese. Perché, ancora Mons. Agostino, “mettersi in cammino è il muoversi verso il ‘Punto-luce’, il ‘Punto-vita’. Maria, a Crotone, è questa ‘stella del mattino’ che i crotonesi da secoli riscoprono sempre nella ‘notte’ del loro peregrinare ed è l’esperienza dell’aurora e del ‘giorno’ che viene”. Una città intera, un popolo intero che si incammina fino all’alba della domenica fra le pietre della storia magnogreca, lungo la strada tortuosa e pregna di misteri, quella che porta al promontorio Lacinio, lo stesso che già i Greci - krotoniati vivevano come luogo di solenni celebrazioni per la loro Hera. E la suggestione del pellegrinaggio cristiano già inizia attorno alle ventuno di sabato quando torme di giovani allegri e forse spensierati si avviano verso il Capo e da lì attenderanno non senza commozione l’alba e l’apparizione de l cosiddetto Quadro grande, che incornicia l’antica Icona della Madonna. Attorno alla una, la notte crotonese si spalanca tra interminabili suoni di campane, fuochi pirotecnici e il sorriso un po’ assonnato di bambini; la commozione ed il pianto di fedeli sinceri si aprono senza remore davanti alla Mamma che appare sul sagrato della sua Cattedrale per iniziare l’antico cammino verso la sua originaria dimora: la chiesetta dell’antico Capo delle Colonne dove fino al 1519 era venerata non solo dai Crotonesi. Il “cammino” di Maria si snoda tra le strade cittadine fino al Cimitero. Qui davvero si completa l’essere umano, l’essere terreno: il pianto si associa ai ricordi verso quelli che furono, la morte diventa resurrezione, l’uomo torna ad essere uomo, quello vero, quello voluto da Dio. Dopo la breve e commossa sosta confortata dalle espressioni dense di significato del Rettore della Basilica - Cattedrale, la sacra Icona, rivolto lo sguardo al suo popolo, alla sua Crotone, riprende il cammino verso l’Irto e si avvia attraverso le tenebre della notte verso la luce del sole, la luce della Fede. Con questo spirito e con queste sensazioni, la Madonna “negra ma bella”, lungo l’antico sentiero, non è sola, le è dietro un popolo, non solo crotonese, bisognoso dello sguardo divino per abbattere le storture della quotidianità, le incertezze del vivere umano. Questa del pellegrinaggio del popolo di Maria verso Capo Colonna è storia antica, già riportata dal Canonico Giovanni Cola Basoino nel 1598 che in suo scritto riferisce che la sacra Icona fino al 1519 era venerata in un sacello nella chiesetta di Capo Nao. E proprio in quell’anno durante una delle tantissime scorrerie verso le coste calabresi, i Saraceni, come scrive lo stesso Basoino: “ vista la meravigliosa bellezza di Lei, domandarono a certi schiavi cristiani che figura era quella, i quali avendo loro narrato che quella era l’immagine della Regina de’ Cieli Madre di Cristo salvatore e Signora di tutto, vennero in tanta rabbia e furore che […]quella presero e portarono con gran tumulto[…] per bruciarla. Ed acceso un grandissimo fuoco[…] detta gloriosissima Immagine non si bruggiò né la poterono in alcun modo offendere, ma restò intatta immacolata e bella così come pria era[…] il che avendo l’infedele Turco visto e riconosciuto che non poteva bruciarla si risolse seco portarsela[…] e per volontà divina la galea dove non era l’immagine andava innanzi a vela piena e l’altra che la ritenea di sopra non poteva né a vela né a remi spingersi in modo veruno e partirsi da detto luogo[…] Ed avendo tardato per più di un’ora e vedendo che non poteano spingersi né passare oltre, riconoscendo che era perché avevano sopra detta santa Immagine, quella sbalzarono a mare e la detta galea se n’andò come l’altra.” Così la sacra Icona, dopo qualche giorno fu ritrovata da un tal Agazio Lo Morello sulla spiaggia all’altezza dell’Irto e se la portò, nascondendosela dentro una cassa, nella sua povera dimora a Crotone. Successivamente il Lo Morello, in seguito a grave malattia, confessò ad un francescano dell’Ordine dei Minimi il suo segreto e quindi la tela bruciacchiata della Madonna fu portata nel convento con annessa la chiesa di Gesù e Maria nel rione detto di Fondo Gesù e successivamente in Cattedrale. Insomma la Vergine di Capo Colonna è venuta a Crotone via mare e per questo iniziò la pratica di riportare l’Icona al promontorio tutte le volte che la Città aveva bisogno di ottenere grazie. Così avvenne a novembre dello stesso 1519 quando, dopo grave e prolungata siccità, il vescovo Antonio Lucifero volle condurre la Madonna alla sua primaria sede: “la notte istessa si ebbe la grazia della pioggia[…] per tre notti[…] per il che sempre si aumentava a tutti la devozione, così anco crescevano tuttavia i miracoli di essa.” Lo stesso è accaduto nel dicembre del 1583 col vescovo Giuseppe Faraone e tante volte ancora negli anni a seguire, e non si sa, però, quando sia finita questa consuetudine. Già nell’anno del terribile terremoto che sconvolse la Calabria, l’8 marzo 1832, Crotone è ancora una volta prostrata davanti alla sua Mamma in Cattedrale. Come è stato il ritorno, allora, alla consuetudine del pellegrinaggio al Capo? O forse il cammino di Maria attraverso il suo mare non è stato mai interrotto. Leggiamo da Mons. De Mayda, nel 1902, che: “benché fossero moltissimi i pellegrinaggi particolari, se ne fanno due pubblici e solenni, i quali manifestano il comune sentimento dei Crotonesi. La festa annuale[…] si celebrava a Capo Colonna, se ne volle conservare la memoria, facendo là la chiusa. Ecco il pellegrinaggio nell’Ottava. Si va ogni anno nella terza Domenica di maggio con il gonfalone tradizionale, un quadro della Madonna antico, alquanto prezioso, ma in piccole dimensioni sospeso ad una Croce d’argento, detto volgarmente il Quadricello […] l’altro pellegrinaggio più solenne, imponente ha luogo ogni sette anni con la prodigiosa Immagine e vi accorrono i popoli vicini” fino al Cimitero e poi lungo la spiaggia fino all’Irto piccolo e quindi con grosse funi la Madonna veniva tirata sulla falesia scoscesa. Così fino al 1948, anno in cui fu costruita l’attuale strada per il promontorio. E ancora, oggi come allora, la domenica sera il popolo, di tutta la provincia e di tutta l’Arcidiocesi di Crotone - Santa Severina, davvero numeroso e partecipante, attende sul molo della marina con speranzosa fiducia il ritorno della Mamma su una barca tutta illuminata e festante di suoni e colori dei marinai e pescatori accompagnandola verso il ritorno nella sua Basilica. Il resto è storia di sempre, storia dei nostri giorni e l’emozione, la fede e l’amore nei confronti della Vergine “negra ma bella” del popolo di Crotone resta inalterato.