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Legalizzare l'inciviltà di abusi e violazioni: a Reggio è l'unica soluzione realistica

Storia di qualche pomeriggio addietro: nel cuore della città, in via Nuova Friuli, sbarcano in quattro (QUATTRO) con un compito preciso. Saranno loro gli "eletti" che conficcheranno un palo nel  ventre di un marciapiede. Servirà ad indicare che, da quel momento definito, lungo il lato sinistro (scendendo verso l'incrocio con via Melacrino), non sarà più possibile parcheggiare. Un'ovvietà in qualsiasi altra parte della porzione di mondo sviluppato, ma non a Reggio Calabria: la strada è stretta non più di cinque metri e, tuttavia, confliggendo con tutte le leggi della fisica e del buonsenso, per decenni e decenni, la sosta delle auto è stata consentita su entrambi i margini della carreggiata delimitata da due striminzite lingue di marciapiede e, per non farsi mancare nulla sul palcoscenico del teatro dell'assurdo, era permessa anche la doppia direzione di marcia. Poco male se si trattasse di un viottolo lontano dal delirio caotico di una città che di metropolitano ha solo il traffico. In realtà, via Nuova Friuli è al centro di un groviglio infernale: dalla sede del Comando provinciale dell'Arma dei Carabinieri al Conservatorio, dagli uffici anagrafici del Comune ad alcuni noti studi e laboratori medici, da varie sedi dell'Azienda Sanitaria Provinciale a quella di un sindacato e, giusto il tempo di una passeggiata a piedi fumando una sigaretta, ecco l'Astronave, sede del Consiglio Regionale. E ancora, due passi in discesa, questione di tre minuti a piedi e ci si trova all'ingresso del Museo Archeologico, una veloce traversa e giù,  sul Lungomare. Nel bel mezzo di questo labirinto era, dunque, una necessità non più differibile provare ad allentare la pressione prodotta dal magma informe di veicoli con il loro carico di clacson stridenti pigiati da conducenti in preda a crisi di nervi. Ma, in riva allo Stretto, si sa, e lo si sa già da prima che un provvedimento qualunque sia adottato, l'aleatorietà delle norme regolatrici del vivere civile è sempre in agguato. Così anche in questa circostanza. Nemmeno il fantasma di un agente della Polizia Municipale, tanto per gettare fumo negli occhi, marcare il territorio da parte delle istituzioni, farne percepire la presenza concreta. Nulla di tutto questo. Peccato che autorevolezza, efficienza e capacità di gestione di un'Amministrazione si appalesino anche, e soprattutto, esibendo la forza di sanzionare l'illegalità diffusa da nord a sud della città, dalla riva del mare (massacrata dal degrado, dall'immondizia e dalla colpevole ignavia degli inquilini di Palazzo San Giorgio), alle zone collinari abbandonate al loro destino, isolate e dimenticate da venditori di fumo a buon mercato. Il risultato, scontato, è che fin dalla mattinata successiva, il divieto in questione non è stato mai rispettato. Nulla è cambiato rispetto al giorno precedente ed un rosario infinito di auto si snoda dal primo all'ultimo centimetro quadrato di quel budello di asfalto. E allora, perché non immettersi sulla scia della provocazione lanciata in note da Francesco De Gregori? Correva l'anno 1989 e dal fiume della immaginifica ispirazione del  "Principe" sgorgò "Bambini venite parvulos". Un affresco colorato con i pennelli dell'amarezza e del sarcasmo: "legalizzare la mafia sarò la regola del 2000", preconizzò l'artista romano mentre l'Italia, l'Europa e il mondo erano giunti allo spartiacque temporale della storia contemporanea. Furono la confusione di ruoli, la commistione di interessi sporchi, le affettuose convergenze, ben evidenti già allora, tra rappresentanti dello Stato e rappresentanti della coppola, a dare forma a quei versi della canzone. Parallelismi, sia pur ridotti in scala, che sarebbero rivoluzionari per il futuro di Reggio Calabria: di fronte all'avanzata inesorabile dell'inciviltà, i cui segni sono ovunque e capaci di assumere tutte le forme note, perché non prendere atto che il castello dentro cui si erano asserragliati i pochissimi componenti dell'"esercito" civile è ormai sotto assedio e prossimo alla capitolazione? Liberarsi della retorica guerriera, armata solo di parole spuntate da scagliare su Facebook, consentirebbe, almeno, una onorevole sconfitta ed impedirebbe ai barbari di maramaldeggiare sui vinti. Troppo sparute le truppe di resistenza per immaginare un epilogo diverso. Firmare un trattato di pace che abbia come unica condizione la liberalizzazione di maleducazione, volgarità e cafonaggine declinate negli atteggiamenti sociali è il solo spiraglio rimasto aperto. Sarebbe anche il modo migliore per spostare la direzione della rabbia, oggi indirizzata all'inettitudine degli amministratori comunali, da domani, potenzialmente, canalizzata verso obiettivi più elevati. Deresponsabilizzando in modo formale la Giunta comunale, i suoi componenti si potrebbero dedicare alla produzione di selfie in serie, senza avere questo fastidioso impiccio di dover gestire le minuzie che interessano la qualità della vita di una intera comunità che ad essi ha affidato il gravoso incarico, troppo pesante da sopportare per spalle fragili e gracili. A questo si aggiunga che le risorse umane, teoricamente deputate al controllo ed alla vigilanza, per esempio gli agenti della Polizia Municipale, verrebbero dirottate su altri servizi, più stimolanti per loro, più utili per la cittadinanza. E' sufficiente scorrere i post che si susseguono, senza soluzione di continuità, sulla pagina Facebook del gruppo "Consiglio Comunale Reggio Calabria: Alla Vs cortese attenzione" per rimanere inorriditi e piegati dalla grandinata di foto e post che testimoniano, in modo inequivocabile, l'infinita voragine di disordine, caos, sciatteria, incuria, negligenza e trasandatezza in cui è rovinosamente caduta Reggio Calabria. Illudersi, o peggio, credere davvero, che la risalita sia un'impresa realizzabile costituisce una delle prove più tangibili che questa è una terra definitivamente ostaggio di menzogne, imperdonabile ingenuità e disperazione.

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Serra, strutture ludico-sportive fra abbandono e inciviltà: le responsabilità di istituzioni e società

Ci sono luoghi che riassumono l’essenza dello stare insieme, soprattutto fra le giovani generazioni, centri di “aggregazione naturale” dove il gioco fa da collante fra le diverse componenti della collettività. In queste strutture dovrebbero incontrarsi ragazzi provenienti dalle più differenti fasce sociali che - scambiandosi informazioni, condividendo abitudini e confrontando gli stili di vita -  dovrebbero accrescere le rispettive conoscenze fortificando il senso di appartenenza alla propria comunità. Lo stato di questi punti d’incontro testimonia, invece, non solo il degrado “materiale” ma anche quello “sociale” imperante nella cittadina della Certosa in questo frangente temporale. Guardando le condizioni del campetto di calcetto posto nei pressi del Calvario (non molto migliori sono quelle del campetto di via Matteotti) e del parco giochi distante qualche decina di metri, si capisce che queste strutture versano nell’abbandono, in preda agli effetti degli agenti atmosferici e ai gesti intrisi di inciviltà di chi baratta qualche quarto d’ora di bivacco con la felicità dei coetanei. Porte di calcio distrutte, altalene private di catene e seggiolini, l’ossatura delle stesse “ferita” da colpi inferti dall’insensibilità. Evidentemente manca l’attenzione di chi ha la responsabilità di salvaguardare queste strutture e di ripristinarne lo stato originario al momento del danneggiamento. Ma almeno altrettanto grave è l’incapacità di capire che Serra è patrimonio di tutti: dei residenti, dei visitatori, di chi la ama ma è costretto a vivere lontano. Lo spirito costruttivo di chi vorrebbe invertire la tendenza spesso s’infrange contro la recidività di chi è vittima della propria mentalità primitiva, del proprio egoismo, dei propri istinti primordiali. Compito di chi ha a cuore questo paese dalla storia millenaria -  indipendentemente dal ruolo ricoperto nella società – è quello di fermare questa regressione. O si agisce o si è complici.

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