Populismo: per fermarlo una legge elettorale non basta
Bisogna fermare il populismo. E’ questa la parola d’ordine dell’establishment europeo. Il dibattito sul come è piuttosto variegato.
Tuttavia, in Italia la soluzione sembra essere a portata di mano. Per arrestare il male assoluto del populismo si sta pensando ad una legge elettorale.
Le soluzioni auspicate sembrano essere due, il ritorno al “Mattarellum” o un salto all’indietro di un quarto di secolo per riportare in auge il proporzionale.
Eppure una soluzione più efficace ci sarebbe. Banalmente basterebbe occuparsi degli italiani, dei loro problemi e delle loro angustie. Basterebbe agire con vigore sulle cause che spingono sempre più gli elettori a rifugiarsi nelle tiepide braccia dell’antipolitica. Braccia accoglienti ma incapaci, il più delle volte, di costruire una soluzione accettabile ai tanti mali che affliggono il paese.
Un dato dovrebbe far riflettere. Se i cittadini sono disposti a compiere un salto nel vuoto, vuol dire che avvertono una minaccia più pericolosa.
I custodi dell’ortodossia hanno liquidato il fenomeno definendolo “invidia sociale”. Una formula priva di significato, pronunciata da chi vive ad una distanza siderale dal pianeta popolato dalla gente comune.
Se gli italiani sono stanchi, avviliti e disillusi, la ragione non è dovuta alla “invidia”, piuttosto alle oggettive difficoltà. A partire dall’inarrestabile processo d’impoverimento fotografato da decine di studi e report.
Un processo che ovviamente non coinvolge tutti. Mentre alcune fasce della popolazione s’impoveriscono, altre continuano, invece, ad arricchirsi. Basti pensare che, le dieci persone più ricche, hanno una disponibilità economica all’incirca equivalente a quella dei tre milioni d’italiani più poveri. In altre parole, anche negli anni segnati dalla crisi economica, è continuato a crescere il divario tra ricchi e poveri. Un dato confortato dall’Ocse, secondo cui la disuguaglianza dei redditi in Italia è superiore alla media dei paesi avanzati.
A descrivere, inoltre, il processo d’impoverimento che ha investito le famiglie italiane ci sono i risultati pubblicati dalla fondazione Hume, nel dossier: “Disuguaglianza economica in Italia e nel resto del Mondo“. Dal rapporto emerge che, fino all’anno 2000, il numero di chi usava i risparmi o contraeva debiti non andava oltre il 10 per cento. A partire dal 2002, ovvero da quando è stato introdotto l’Euro, la percentuale di chi si è indebitato o è stato costretto ad usare i risparmi è aumentata progressivamente arrivando a toccare, nel 2013, il 33,5 per cento.
Contestualmente, dal 2000 al 2015, la povertà assoluta è passata dal 4,3 al 6,1 per cento. in altri termini, in poco meno di 15 anni oltre un milione e mezzo d’italiani è andato ad infoltire la schiera degli indigenti. A ciò si aggiunga che, secondo la Banca d’Italia, nel periodo compreso tra il 1987 ed il 2015, le famiglie operaie hanno registrato una caduta del livello di ricchezza media di ben 20 punti.
Una situazione analoga a quella delle famiglie giovani che, dal 2000, hanno visto progressivamente peggiorare la loro condizione economica. Ad un quadro a tinte fosche bisogna, infine, aggiungere l’aberrante livello della disoccupazione giovanile che sfiora il 40 per cento. In un contesto del genere, il populismo può essere arginato solo trovando una soluzione ai problemi.
Per farlo, però, è necessario attivare tutti i neuroni, ammesso che ce ne siano.
articolo pubblicato su: mirkotassone.it
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