I giornali, molto reticenti, accennano a una politica cinese in Africa: acquisti di terre, agricoltura, tracciamenti di strade e ferrovie, aeroporti, costruzione di intere città… Nei giorni scorsi, la Cina ha convocato un congresso di ben cinquanta Stati africani.
Per giudicare se ogni singolo intervento sia fatto bene o no, dovremmo essere lì… e dovremmo ottenere il permesso di spiare, del che molto dubito. Né siamo nel cuore dei governanti e degli imprenditori cinesi, per sapere se sono dei benefattori o degli sfruttatori o mezzo mezzo… A noi tocca solo vedere i fatti.
Se i fatti sono quelli che leggiamo, cioè interventi massicci. Ebbene, una qualsiasi strada in un qualsiasi luogo e fatta per qualsiasi ragione, apporta comunque benefici a cento chilometri, metà a destra metà a sinistra; e questo senza e prima che gli abitanti se ne accorgano. Una coltivazione moderna produce cibo, e, soprattutto, insegna come si coltiva. Un’industria crea una classe operaia. Ogni produzione di qualsiasi cosa genera indotto. Per tutte queste cose, occorrono infrastrutture e scuole e sanità, e ogni cosa che giovi al vivere civile.
Con buona pace di Rousseau e di ogni altro ingenuo utopista, il vivere civile è migliore del vivere selvatico. È meno poetico, lo so: ma per il 98% delle persone, è meglio vivere in una città decente che sotto un albero della foresta. E sarebbe ora di stroncare il passatismo inventato di sana pianta, e la nostalgia di una vita georgica… che tanto piace a chi non ha mai letto le Georgiche, che sono un manuale di produzione agricola alla grande, e non un vademecum del morto di fame contento!!!
La Cina sta attraversando uno dei suoi periodi di apertura al mondo; seguiti, di solito, da grandi chiusure. Il precedente periodo aperto inizia nel XV secolo, e proprio in Africa, raggiunta spesso da navi cinesi; e il mio Anania (Gian Lorenzo Anania, L’universal fabrica del mondo, overo Cosmografia, vol. II, a cura di Ulderico Nisticò, Rubbettino, Soveria Mannelli, 2008) parla di villaggi di “Cini” nell’attuale California. Furono strettissimi i rapporti tra l’Impero Cinese e l’Europa, e il gesuita Matteo Ricci (1552-1610) e altri divennero funzionari e mandarini. Sono, chi non lo sapesse, i “gesuiti euclidei vestiti come dei bonzi per entrare a corte degli imperatori della dinastia dei Ming”, di Battiato.
Seguì una chiusura al mondo, dopo la conquista Manchu, completata nel 1644, e che durerà fino alla fine dell’Impero, nel 1911. L’apertura ottocentesca fu una costrizione, soprattutto dopo due guerre dell’oppio, ignobilmente combattute dagli Inglesi per legalizzare lo spaccio in Cina del prodotto indiano.
Fu un affare colossale, e, di particolare gravità, il rimbecillimento di massa dei maschi; la Cina, divenuta imbelle e divisa, con la Repubblica, tra “signori della guerra”, finì spartita, di fatto, tra Europei, Giapponesi e Americani. Con la spedizione internazionale del 1900 contro i Boxeurs, anche l’Italia ottenne una concessione, nella città di Tientsin.
Coinvolta passivamente nella Seconda guerra mondiale, la Cina affrontò una guerra civile tra comunisti di Mao (1893-1976) e nazionalisti, questi ultimi ridotti poi all’isola di Formosa. Mao stabilì un regime comunista, ma in conflitto con Mosca; esercitando una vera suggestione sul comunismo europeo, disgustato della burocratizzazione dell’Urss e, in Italia, del Pci ufficiale.
Oggi la Cina è ancora, ufficialmente, comunista; di fatto ha un sistema a partito unico, che governa un sistema economico diciamo così confuciano, fondato sull’obbedienza a imperatore e mandarini, in versione attuale partito e dirigenti; e su un senso etico del lavoro e della famiglia da parte del popolo. Il risultato è che la Cina, pur con stridenti ingiustizie sociali, accumula immani valanghe di soldi sia privati sia pubblici. E i soldi si devono investire.
Si sta pigliando l’Africa, tra l’altro, lasciata vuota dall’incapacità politica di un’Europa Unita che, di unito avendo ben poco, sta in mano ai piatti passacarte di Bruxelles.
Ma se la Cina riesce a far vivere gli Africani in Africa, e magari li rende confuciani con disciplina e lavoro, magari se ne restano in Africa, e ci vivono onestamente e contenti.