Ad appena 30 anni, Raffaele Scaturchio ha conquistato la guida del Comune di Dasà, ponendosi come punto di riferimento della collettività della piccola cittadina delle Preserre. Libero professionista, già vicesindaco e consigliere provinciale, ha idee chiare su come lavorare per la sua comunità. Nelle risposte alle nostre domande c’è la sua determinazione e l’attaccamento alle proprie radici.
1) In un’epoca condizionata da troppe ristrettezze finanziarie e in cui gli amministratori vengono spesso contestati, che cosa significa fare politica?
Fare politica di per sè non è facile, ma nei piccoli Comuni, dove ci si conosce tutti ed il sindaco è l’interlocutore principale con cui i cittadini vogliono parlare e discutere dei loro problemi, è ancora più difficile. Non è semplice gestire il rapporto quotidiano, soddisfare le richieste, a volte anche le più elementari, di tutti gli amministrati. Le ristrettezze finanziarie, i tagli continui, la riduzione dei trasferimenti statali e un apparato burocratico non adeguato condizionano, oltre modo, la risposta e la soluzione dei problemi. Noto che c’è una diffidenza verso non la politica ma verso quei rappresentanti eletti o nominati che, una volta raggiunto lo scopo, abbandonano il territorio e pensano ad altro. Il sistema elettorale attuale di nominati per Camera e Senato e i costi della politica e della burocrazia aggravano ancora di più la sfiducia dei cittadini.
2) Lo stile di vita moderno, i sociale network, le aspettative tipiche del nuovo millennio: sono diversi i fattori che hanno inciso sul senso di comunità accentuando l’individualismo. C’è ancora la possibilità di rigenerare quello spirito di appartenenza che ha costituito un fondamento essenziale per le nostre realtà?
Si è disperso, in effetti, il senso di comunità, di stare insieme, di condividere il bene comune; c’è un arroccamento in posizioni di chiusura, di non dialogo, di isolamento che getta ancora più sconforto in noi amministratori. Non mi sento di addossare la colpa e la responsabilità di questo malessere moderno ai nuovi social network. Essi credo abbiano dato e daranno a tutti noi la possibilità di affrontare il futuro in modo più agevole. Certo, molte volte essi se usati in maniera errata producono atteggiamenti di chiusura e di isolamento. Io credo che il compito di un sindaco non sia solo quello di amministrare la propria collettività, ma quello di stimolare, rigenerare, far rinascere il senso di comunità e dare ai cittadini le opportunità e le condizioni migliori per rafforzare lo spirito dello stare insieme e superare ogni individualismo, gli egoismi e quanto può frenare lo sviluppo sociale, culturale ed economico. Costruire, quindi, la polis nel senso più nobile del termine. Io credo che ciò sia possibile se tutti insieme lo vogliamo.
3) Il Vibonese è una delle aree più in ritardo di sviluppo d’Italia: come si può cominciare ad uscire dall’isolamento ed avviare un percorso di crescita economica e sociale?
La nostra Provincia, purtroppo, si trova in questo stato di abbandono perché le scelte politiche del passato sono state poco lungimiranti. Si è pensato all’oggi nel senso più egoistico e non al domani. Scelte che oggi condizionano pesantemente, stante la crisi economico-finanziaria che attraversa il nostro sistema paese, il futuro. Non c’è programmazione ma non tutto è perduto se la politica riacquista responsabilità. Uscire dall’isolamento non è facile e non è all’ordine del giorno, purtroppo. C’è la necessità di avere attori seri, responsabili e capaci di elaborare un progetto credibile di sviluppo tale da farci uscire dall’isolamento in cui ci troviamo. Un progetto reale e non cattedrali nel deserto. Abbiamo risorse naturali che ci invidiano tutti, ma non siamo in grado di proteggerle. Il mondo imprenditoriale si trova stretto nella morsa della crisi, della burocrazia, del malaffare, della criminalità organizzata e di un sistema creditizio-bancario che spinge alla deriva qui pochi imprenditori che ancora credono sia possibile uno sviluppo di questo nostro territorio. Il turismo, l’artigianato, l’agricoltura, i beni culturali, ecc… potrebbero essere momenti positivi di sviluppo se valorizzati in modo adeguato.
4) Quale è la più grande soddisfazione per un giovane sindaco di una cittadina che potrebbe ben rappresentare l’idea di Mezzogiorno?
Fare il sindaco di un piccolo paese può sembrare riduttivo e non soddisfacente, soprattutto per i motivi di cui ho detto prima. Io, invece, credo che se un sindaco assolva al meglio il suo mandato e realizzi tutto ciò che ha proposto ai cittadini possa ottenere enormi soddisfazioni. Certo non è semplice! Ma io ci credo e sono convinto che, con l’aiuto di tutti coloro che condividano questo progetto di “Dasà Insieme” possiamo ottenere molte soddisfazioni. Sono certo che è un “dovere” per me realizzare il programma elettorale per cui sono stato eletto, ma sono anche convinto che ogni cittadino oltre ad avere dei diritti ha anche doveri verso la comunità di cui fa parte: rispetto delle regole soprattutto. Contribuire, per come è giusto, e responsabilmente in modo che i servizi erogati possano essere mantenuti. Solo così possiamo realizzare l’idea di comunità. La mia rappresentazione più semplice di Mezzogiorno d’Italia: rispetto delle regole da parte di tutti amministratori e cittadini amministrati. Solo così possiamo dare un nuovo volto al Mezzogiorno: disoccupazione, criminalità, disagio economico-sociale, fuga dei nostri giovani, emigrazione culturale e per lavoro, emarginazione delle classi più deboli, mancanza di sviluppo nei settori più diversi sono tutti elementi di negatività e per risolverli ci vuole uno sforzo comune da parte di tutti. Questa è per me la vera rivoluzione del Mezzogiorno e di un suo possibile riscatto. Una presa di coscienza da parte di tutti noi a non piangerci addosso ma lavorare con impegno ed abnegazione gli atavici problemi che bloccano il progresso e lo sviluppo del nostro Mezzogiorno d’Italia. Ci vorrebbe un nuovo Piano Marshall applicato al nostro Sud. Io credo che la classe politica, se vuole, rinunciando al proprio egoismo abbia capacità ed intelligenza per realizzare tutto ciò.
5) Ad avviso di illustri economisti, l’unico futuro possibile per i piccoli centri è quello di unirsi e lavorare insieme. È d’accordo con questa visione o pensa che Dasà debba agire in un altro senso?
Rispetto l’opinione di tanti illustri economisti anche se molte volte le loro analisi ed i loro studi non sono stati all’altezza per la risoluzione dei problemi che ci affliggono. Per quanto mi riguarda l’idea dell’Unione di Comuni è stato un mio cavallo di battaglia già nella scorsa consiliatura (da vicesindaco e consigliere provinciale), abbiamo proposto al Comune di Arena un percorso d’avvio per l’Unione, ma purtroppo si è solo abbozzato lo Statuto e nient’altro. Al mio primo Consiglio comunale d’insediamento da sindaco ho rivolto un appello ai sindaci di Acquaro e Arena affinchè, superati gli steccati e abbandonati i campanilismi, possiamo iniziare a lavorare per realizzare l’Unione dei nostri Comuni. Per me è un sogno spero che diventi realtà per tutti noi. Io mi impegnerò al massimo per arrivare a questo traguardo. Amministrare una comunità più ampia, pur nel rispetto delle tradizioni e della cultura di ognuno, potrebbe essere un punto di partenza per uscire da questo isolamento che penalizza in modo pesante il nostro territorio. Insieme c’è la possiamo fare! Ripeto sono un convito assertore, da molto tempo, dell’idea dell’Unione dei nostri Comuni. Avrei pensato, prendendo spunto dal nome della rinomata società sportiva calcistica del comprensorio dei Comuni di Acquaro-Arena-Dasà, realizzata tanto tempo fa, che A.D.A. potrebbe essere la nuova denominazione dei nostri Comuni Uniti.