Serra, Spirlì partecipa ai festeggiamenti di Pentecoste in onore di Santo Bruno

«San Bruno è una colonna del cristianesimo della Calabria. Pur senza essere calabrese, ha scelto questo posto per creare uno spicchio di paradiso sulla terra».

Lo ha detto a Serra San Bruno il presidente della Regione Calabria, Nino Spirlì, che oggi ha partecipato ai festeggiamenti di Pentecoste in onore di Santo Bruno.

«Oggi, a prescindere dalla mia devozione a San Bruno e dal forte legame con i certosini – ha aggiunto il presidente –, interpreto la voglia dei calabresi di recuperare la vicinanza alla fede e ai luoghi sacri. La nostra è una terra di santi. Onorare le tradizioni, seppur nel rispetto del distanziamento sociale imposto dalla pandemia, significa ritrovare gli atti di fede e partecipare di nuovo ai momenti più alti della spiritualità».

Dopo le celebrazioni nel Santuario regionale di Santa Maria del bosco, il busto di San Bruno è tornato nella Certosa.

Qui Spirlì è stato accolto dal priore Dom Ignazio Iannizzotto, a cui il presidente ha chiesto di pregare per tutti i calabresi e anche per chi ha l’onere di governare la Regione.

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La “Monachella di san Bruno” sarà beata. Da ragazza era stata esorcizzata alla Certosa di Serra

Papa Francesco ha autorizzato la beatificazione della “Monachella di San Bruno”, al secolo Maria Antonia Samà.

Bergoglio, si legge nel comunicato della Santa Sede, ha autorizzato la Congregazione per le cause dei santi a promulgare il decreto riguardante «il miracolo, attribuito all’intercessione della Venerabile Serva di Dio Maria Antonia Samà, Fedele Laica; nata il 2 marzo 1875 a Sant’Andrea Jonio (Italia) e ivi morta il 27 maggio 1953».

L’appellativo della futura beata rimanda a san Bruno, poiché la vita della “Monachella” è legata a doppio filo al santo tedesco per un episodio accaduto nel 1887.

Come riportato nel volume – Dieci misteri certosini – Maria Antonia ha soli 12 anni quando “accompagna la madre a fare il bucato in prossimità di un mulino, ubicato sul fiume Saluro. «Al ritorno verso casa, ha sete e si china a bere, come si faceva abitualmente, in una pozza d’acqua in località Briga. Arrivata a casa, rimane contratta e immobile per quasi un mese. Poi comincia a dire stranezze, si contorce, proferisce bestemmie e non prende cibo se non dopo la mezzanotte». Non ci sono dubbi, la diagnosi è senza appello, la ragazza è “spirdata”. Uno spirito dannato intrappolato nella pozza d’acqua nella quale ha bevuto, si è impossessata del suo corpo. Inizia, così, un lungo iter caratterizzato da innumerevoli tentativi di guarigione. Nel corso delle settimane, si alternano suppliche, preghiere, aspersioni e benedizioni. Dopo sei mesi, però, i rimedi, non hanno sortito, ancora, nessun effetto. Non rimane che sottoporre la sventurata al rimedio, in questi casi, più efficace, ovvero tradurla a Serra, al cospetto di San Bruno, in occasione delle Pentecoste. Dell’operazione, si fa carico la baronessa Enrichetta Scoppa, «la quale organizza una spedizione alla certosa per far esorcizzare la ragazza». La ragazza, caricata su una cassa che funge da lettiga, viene condotta a Serra attraverso i tratturi che solcano i boschi. Dopo otto ore di viaggio, la spedizione giunge, finalmente, a Serra, dove, intorno a mezzogiorno, inizia il rito dell’esorcisma, con la relativa abluzione nelle acque del laghetto di Santa Maria del Bosco. Il miracolo, però, non si compie e Mari Antonia viene condotta davanti alla Certosa. Qui, iniziano «i rituali per l’esorcismo, che proseguirono per circa cinque ore alla presenza del priore don Pio Assandro, il quale decise di far prendere dall’altare maggiore il busto reliquiario contenente le ossa di San Bruno per sistemarlo davanti alla portineria dove era situata Mari Antonia. A quel punto succede il miracolo: Mari Antonia alla vista del busto argenteo di  San Bruno, si solleva da sola, abbraccia la statua gridando “San Bruno mi ha fatto la grazia!”. A seguito del prodigio la popolazione esulta e provvede a bruciare i vestiti e la cassa che aveva trasportato la ragazza. Essa fa ritorno a Sant’Andrea percorrendo la strada per Soverato che simbolicamente, nei casi di liberazione dal demonio, significava abbandonare la strada vecchia e intraprenderne una nuova». Riportata nel paese d’origine la ragazza recupera la tranquillità e ritorna ad una vita normale. Passano, però, due anni e viene colpita da una gravissima forma d’artrosi che la obbliga a rimanere a letto, coricata sulla schiena con le ginocchia sollevate. Ogni mattina riceve la comunione e tre volte al giorno, partecipa, a casa sua, alla recita del rosario con le visitatrici che vanno a tenerle compagnia. Lo stato di grazia in cui vive, la fa diventare oggetto di culto, al punto che inizia ad essere venerata come una santa. La gente le si rivolge per chiedere intercessioni, grazie e miracoli. Le Suore Riparatrici del Sacro Cuore, cui la baronessa Scoppa aveva donato il proprio palazzo, con voti privati la eleggono loro consorella. Da allora, Mari Antonia, con il capo coperto dal velo nero della congregazione, inizia ad essere chiamata la “Monachella di San Bruno”. Nonostante le sofferenze e la malattia, vive fino all’età di settantotto anni. Morirà il «27 maggio 1953, […] tra lo stupore del popolo che la acclamò subito come una santa, alla luce del fatto che il suo corpo risultò prodigiosamente senza piaghe da decubito, e la sua pelle appariva fresca e liscia. Fu portata in processione per le strade del paese, poi la salma rimase esposta al pubblico fino al 29 maggio, quando fu tumulata nella Cappella delle Suore Riparatrici del Sacro Cuore, per loro espresso desiderio. Dopo la sua morte le testimonianze delle grazie ottenute dai fedeli si moltiplicano, la segnalazione di prodigi come la bilocazione, il profumo di rose o gelsomino, l’intercessione in situazioni difficili e le guarigioni miracolose si ripeterono. Dopo cinquant’anni, dal 3 agosto 2003 i sacri resti di Mari Antonia Samà sono stati traslati dalla Cappella delle Suore, alla Parrocchia dei Santi Pietro e Paolo, a S. Andrea dello Ionio. Nella stessa chiesa con una cerimonia solenne il 5 agosto 2007, viene annunciata l’apertura dell’inchiesta diocesana per la canonizzazione della serva di Dio Mariantonia Samà».

Oggi la “Monachella di san Bruno” viene indicata alla venerazione di tutti con il riconoscimento di un miracolo avvenuto nella notte tra il 12 e il 13 dicembre 2004, quando, a Genova, una signora originaria di Sant’Andrea inizia, in preda ai forti dolori, a supplicare la Venerabile Serva di Dio che aveva conosciuto in giovane età. Dopo l’invocazione si addormenta e al mattino seguente, nell’alzarsi, constata che i dolori erano spariti.

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Serra: svanito il pronto soccorso, non rimane che affidarsi a San Bruno

Per dirla con il sempre attuale Ennio Flaiano “La situazione è grave, ma non è seria”.

Non lo è al centro, figurarsi in periferia.

Al centro, come in periferia, sembra, infatti, mancare una visione strategica, un piano capace di dare le coordinate per riuscire a sconfiggere il nemico che ci assedia.

Se a Roma la situazione è caotica, in Calabria è catatonica e tra un proclama e un’ordinanza l’emergenza rischia di sfuggire di mano.

Quanto accaduto ieri all’ospedale di Serra San Bruno è paradigmatico di uno stato confusionale che rende più grave un quadro già sufficientemente desolante.

La decisione di ridurre ulteriormente l’operatività del "San Bruno", in un momento cruciale, rischia infatti di avere ripercussioni devastanti.

Una decisione incomprensibile per tante ragioni.

Innanzitutto, perché segue di un giorno l’ordinanza con la quale la presidente della Regione ha decretato la chiusura di Serra San Bruno, dopo che il “Dipartimento di prevenzione della Asp di Vibo Valentia” ha comunicato  “che nel Comune di Serra San Bruno(VV), risultano in atto n. 4 cittadini contagiati Covid-19, dato che rappresenta un’incidenza significativa in rapporto al numero dei tamponi eseguiti”.

Come se non bastasse, “lo stesso Dipartimento di Prevenzione”, non altri, ha evidenziato "le difficoltà riscontrate in fase di attività di indagine epidemiologica che non hanno consentito di individuare la fonte di contagio e, pertanto, non può escludersi che il dato dei contagiati sia suscettibile di considerevole incremento”.

Inoltre, si legge ancora nell’ordinanza: “al 22 marzo 2020 risultano in isolamento domiciliare n.40soggetti, di cui 4 sintomatici, che per come rappresentato dal Dipartimento di Prevenzione dell’ASP impone l’assunzione immediata di ogni misura di contenimento e gestione adeguata e proporzionata all’evolversi della situazione epidemiologica, individuando idonee precauzioni ed indirizzi operativi univoci per fronteggiare adeguatamente possibili situazioni di pregiudizio per la collettività”.

Pertanto, alla luce delle funeree premesse, il primo avamposto per affrontare l’imminente emergenza, avrebbe dovuto essere l’ospedale di Serra San Bruno.

Sarebbe stato normale, quindi, veder arrivare medici, attrezzature e strumenti destinati a rafforzare la prima linea.

Questo in un mondo normale.

Nella nostra martoriata Calabria, dove tutte le ruote girano al contrario, è accaduto esattamente l’opposto.

Così, con cinica disinvoltura, si è deciso di sguarnire quello che avrebbe dovuto essere il primo avamposto contro il contagio.

Le “idonee precauzioni ed indirizzi operativi” per “fronteggiare adeguatamente possibili situazioni di pregiudizio per la collettività”, si sono quindi concretizzate nel trasferimento degli anestesisti e nella trasformazione del pronto soccorso, in una sala d’aspetto per ambulanza.

Il potenziale fronte caldo dell’emergenza, è dunque rimasto senza un’efficace copertura sanitaria.

Peraltro, Serra, fino a prova contraria, è l’unico centro del Vibonese oggetto di un’ordinanza regionale.

A ciò si aggiunga che, allo stato, all’ospedale di Vibo Valentia non risulta una quantità di casi, tali da giustificare il trasferimento del personale serrese.

Sarebbe, inoltre, interessante comprendere la “ratio” del provvedimento, per capire, ad esempio, la ragione per la quale analoga misura non abbia interessato l’ospedale di Tropea. Per quale motivo non sia stato trasferito un anestesista da Serra ed uno da Tropea, in modo tale da garantire la gestione delle emergenze in entrambi i nosocomi.

I cittadini del comprensorio serrese hanno, inoltre, il diritto di sapere cosa sia cambiato, rispetto a due settimane fa, quando è stato presentato il Piano regionale d’emergenza che assegnava al “San Bruno”, cinque posti di terapia sub intensiva. Se la loro mancata attivazione e la contestuale chiusura del pronto soccorso sono da mettere in relazione con una carenza di personale, viene da chiedersi con quale criterio sia stato preparato il piano destinato ad affrontare un’emergenza che mette a rischio la vita di centinaia di essere umani.

Ma, come in una scena del teatro dell’assurdo, i vertici dell’Asp, forse non senza una buona dose di sarcasmo, parlano di futuro.

Nella nota con la quale è stata comunicata la decisione, scrivono, infatti che  la “disposizione ha carattere temporaneo” e sarà attiva “per il tempo strettamente necessario alla risoluzione delle gravi problematiche connesse all’emergenza pandemica Covid 19”.

Come dire: tranquilli, vi restituiremo l’ombrello non appena smetterà di piovere.

In attesa del futuro, alle genti delle Serre non rimane che organizzarsi, cercando magari di star male una persona per volta.

Nel caso di due emergenze contestuali, infatti, complice la malmessa viabilità provinciale, l’unica ambulanza in servizio potrebbe far meno di poco, ovvero nulla.

Quello che rischia di configurarsi è uno scenario assurdo, almeno quanto il provvedimento che ha privato i cittadini di un intero comprensorio del fondamentale diritto alla salute.

Dio non voglia che la situazione precipiti, ma se dovesse accadere, con una sola ambulanza, senza pronto soccorso e senza anestesisti, alla gente delle Serre non rimarrà che chiedere l’intervento del San Bruno, non dell’ospedale, della Certosa.

Serra si prepara alla festa di san Bruno. IL PROGRAMMA

L'arcipretura di San Biagio vescovo e martire ha diramato ufficialmente il programma dei festeggiamenti religiosi e civili in onore del santo patrono Bruno.
 
Dal punto di vista dei riti religiosi, è già in corso il novenario con le sante messe celebrate nella chiesa Matrice alle ore 7:30 e 18:00.
 
Sabato 5 ottobre, vigilia della solennità di san Bruno, alle ore 16:00 avrà inizio il corteo delle confraternite che muoverà in direzione della Certosa per prelevare il busto argenteo reliquiario.
 
Dal 5 all'11 ottobre, alle ore 21:00, il tradizionale appuntamento con l'Ufficio cantato.
 
Domenica 6 ottobre, festa del Santo, il programma religioso è naturalmente ricco di appuntamenti: alle 7:30 la santa messa; alle 8:30 il canto dell'Ufficio e la messa con le tre congreghe; alle 11:00 la messa cui seguirà la supplica alla Madonna del Rosario.
 
La processione per le vie di tutto il paese avrà inizio alle 14:30; al termine, messa sempre nella chiesa Matrice. Il programma civile, invece, riguarderà solo sabato 5 ottobre ed è stato realizzato con la preziosissima e fattiva collaborazione della Pro loco di Serra San Bruno e delle tre congreghe.
 
Alle ore 21:30 avrà inizio l'esilarante spettacolo del comico Piero Procopio e la buona musica della Tfr Band; alle 22:30 ci sarà lo spettacolo pirotecnico.
 
Il 7 ottobre, dopo la celebrazione serale dell'Ufficio, avrà luogo l'estrazione della riffa.
 
San Bruno ritornerà in Certosa sabato 12 ottobre alle 16:00; prima, alle 15:30, si terrà la benedizione dei bambini.

Serra: cade un albero a Santa Maria del Bosco, sfiorato il dormitorio di san Bruno

Tragedia sfiorata a Santa Maria del bosco, dove nel pomeriggio di ieri è caduto un albero che ha sfiorato il dormitorio di san Bruno.

Il fatto è accaduto, intorno alle 17, quando, a causa del forte vento, un abete bianco si è schiantato al suolo.

Da quanto riferito da un testimone, l'episodio avrebbe potuto avere conseguenze nefaste.

Pochi minuti prima che l'albero cadesse, sul luogo sarebbero stati presenti due turisti in visita ai luoghi bruniani.

Fortunatamente, non ci sono stati danni nè a persone, nè a cose.

Le funzioni in onore di San Bruno trasmesse diretta streaming

Dopo gli apprezzamenti riscossi per la festività della Vergine Addolorata, anche i festeggiamenti solenni in onore del Santo Patrono Bruno potranno essere seguiti in streaming, per coloro che fossero impossibilitati a prendervi personalmente parte. Grazie all’interessamento di Raffaele Timpano, la Santa Messa delle ore 8:30 (la tradizionale “Curunedha” delle confraternite) e delle ore 11:00 (quest’anno celebrata da Sua Ecc. Rev.ma mons. Vincenzo Bertolone, Arcivescovo Metropolita di Catanzaro-Squillace) si potranno seguire su internet cliccando su:

La processione che seguirà nel pomeriggio, così come l’arrivo di San Bruno in paese e poi la sua partenza, rivivrà negli scatti fotografici dello stesso Timpano, che saranno condivisi sulle pagine già menzionate.

Serra: San Bruno e la celebrazione del lunedì di Pentecoste

Numerosa e composta, anche quest’anno, la partecipazione popolare alla tradizionale processione del lunedì successivo alla Pentecoste, nel corso della quale i devoti di san Bruno accompagnano la statua del Santo, dalla Certosa, al Santuario di Santa Maria del bosco.

La tradizionale processione del lunedì successivo alla Pentecoste trova origine in un episodio, storicamente ben collocabile.

Dopo la sua fondazione, nel 1091, la Certosa, nel 1193, passò ai cistercensi. Nel 1505, quando il ricordo era ormai labile, al disotto della chiesa di Santa Maria vennero rinvenute le spoglie di Lanuino e del fondatore dell’ordine cartusiano.

In seguito al ritrovamento, che indusse nel 1514, papa Leone X a santificare Bruno ed a richiamare i certosini alla guida della Certosa, il lunedì di Pentecoste del 1505 centinaia di fedeli diedero origine ad un corteo che seguì la traslazione delle reliquie, dalla chiesa di Santa Maria, alla Certosa.

Nella ricorrenza di quell’evento, ogni anno, i fedeli, seguendo il percorso inverso, accompagnano il simulacro di san Bruno nei luoghi in cui la prima comunità certosina, ormai mille anni or sono, elevò il suo eremo.

Lungo il tragitto i fedeli lanciano confetti che, prima di cadere sul selciato, si infrangono contro la teca in vetro predisposta a difesa del prezioso busto. Anticamente, al fine di placare la pioggia, i confetti venivano raccolti, per poi essere gettati dalle porte o dalle finestre durante i temporali.

Tra i fedeli, seppur in misura ridotta rispetto al passato, fanno ancora capolino le testoline bianche dei “monachiedi”, ovvero i bambini vestiti con il tipico saio certosino.

Giunti al cospetto del lago, nelle cui acque San Bruno s’immergeva in penitenza, viene impartita la benedizione che precede l’ingresso della statua in chiesa.

Dopo una notte di veglia, una nuova processione segue il percorso inverso.

Nel corso dei secoli la tradizione è radicalmente mutata. Un tempo, infatti, i fedeli raccoglievano piccoli rami di abete che, una volta bagnati con l’acqua lacustre, venivano utilizzati a protezione delle abitazioni.

Così come sono cessati del tutto gli esorcismi agli “spirati”, ovvero gli ossessi, che al termine della liturgia venivano immersi nello specchio d’acqua per essere liberati. Un rito ancora vivo negli anni Sessanta, al punto da indurre, l’antropologo Ernesto De Martino a definire il laghetto, il “Gange delle Serre”.

Tra  le tradizione, ormai desuete ve ne era una in cui al sacro si sostituiva rapidamente il profano. Fino a qualche decennio addietro, infatti, al termine della cerimonia i fedeli popolavano le posticce osterie nelle quali la trippa e le teste di capra in umido rappresentavano piatti forti sui quali versare fiumi di vino, sovente origine di assai poco caritatevoli dispute.

Nonostante molte tradizioni siano venute meno ed a dispetto di un tempo in cui i ritmi vorticosi ed ossessivi sembrano derubricare la religione ad un fatto puramente personale, quando non addirittura esteriore, la devozione verso il santo di Colonia conosce ancora un naturale afflato; anche perché, come recita una popolare giaculatoria, per ogni serresi san Bruno rappresenta ancora “lu rifugio alli [… ]guai”.

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Il busto reliquiario di San Bruno ed il mistero della sua apertura

 

Frutto di un argentiere napoletano, o del celebre maestro Laurana, in argento sbalzato, cesellato e butilato, centimetri 65 per centimetri 55, nel 1516 il busto argenteo di san Bruno fece il suo ingresso trionfale nella cittadina della Certosa tra i grandi festeggiamenti del fedeli. Due anni prima, Bruno di Colonia, fondatore dell’Ordine dei certosini veniva proclamato Beato viva vocis oraculo (19 luglio 1514) da Papa Leone X, che concesse ai certosini di celebrarne il culto. A questo atto pontificio seguirono, quindi, le bolle del 17 febbraio 1623 di Gregorio XV e del 1674 di Clemente X, che ne estesero il culto a tutta Chiesa.

La necessità di avere un busto reliquiario fu posta in essere da parte dei monaci certosini di san Martino dopo che qualche anno prima vennero ritrovare le spoglie di Bruno insieme a quelle del beato Lanuino da un signore di Stilo in un muro dietro l’altare dell’attuale Santuario mariano di Santa Maria del Bosco e dopo che vennero traslate ad opera dei monaci Cistercensi presso il Monastero di Santo Stefano che in quel periodo “occupavano” la Certosa. Le ossa del fondatore dell’Ordine vennero quindi spedite a Napoli dove fu fatta una nuova ricognizione e dove i monaci certosini s’incaricarono di far costruire un degno reliquiario che custodisse le rimanenti spoglie di Bruno.

L’attribuzione non è certa anche se sembra che l’influenza di Laurana ci stia tutta e, se non lui, ad eseguire questo finissimo lavoro di alta oreficeria potrebbe essere stato un suo discepolo. Il Busto reliquiario, raro esempio di cone l’arte sia riuscita nella raffigurazione plastica del volto dell’ascesi, una volta giunto a Serra, accolto dal lancio dei confetti, venne custodito nella Monastero bruniano fino al 1783, anno del disastroso terremoto che decretò danni irrimediabili alla struttura certosina. Successivamente venne custodito nella chiesa Matrice fino alla riapertura della Casa certosina avvenuta agli inizi del ‘900.

Il busto viene portato in processione sulla cosiddetta “varia”, un tronetto  realizzato nel 1797 dall'artista napoletano Luca Baccaro. I quattro lati della varia  sono rivestiti di lamine d'argento lavorate a sbalzo con motivi fitomorfi, Al centro di ogni lato vi è un medaglione d'argento incorniciato con rami di palma di bronzo. Il lato A raffigura una scena con i monaci certosini risparmiati dal terremoto del 1783. Nel lato B si vedono i monaci che ringraziano Dio per lo scampato pericolo. Nel lato C è riprodotto lo stemma della famiglia Taccone di Sitizano, donatrice della varia, e nel lato D lo stemma della Certosa. Ma il mistero s’infittisce quando si tratta di comprendere come vengono custodite e di cosa sono composte le reliquie di Bruno di Colonia.

A descriverci come si apre il prezioso reliquario e cosa vi si trova è lo storico dell’arte Domenico Pisani nel volume sul patrimonio storico e artistico della Certosa impreziosite dalle foto di Bruno Tripodi. Dopo aver aperto lo sportelletto sottostante il busto bisogna infilare in maniera particolare la mano in una cavità fino a giungere ai tre bulloni che tengono avvitato il capo al busto, svitandoli la testa del Santo si divide quindi a metà tra volto e cappuccio ed è possibile arrivare alla reliquia. Ma di cosa si stratta? Il complesso meccanismo di apertura con tutta probabilità voleva celare un piccolo segreto. Alla certosa di san Martino tra le reliquie principali fu inviata l’intera calotta cranica di san Bruno ma nel reliquario ne viene custodia solo metà, quella che arriva fino alle orbite. Con tutta probabilità i certosini di san Martino non volevano che si scoprisse questo “piccolo” particolare e avevano fatto si che venisse creato un meccanismo così complesso da vanificare i vari tentativi di apertura per non scoprire che avevano trattenuto “qualcosa” del loro Fondatore.

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