La "bufala" delle minacce allo Sporting Locri è (l'ennesimo) favore alla 'ndrangheta
Era una "bufala", l'ennesima in verità, ma le conseguenze, come sempre, rischiano di andare ben oltre le originarie intenzioni degli orchestratori. Il riferimento è alla vicenda che aveva portato alla ribalta nazionale lo "Sporting Club" di Locri, una squadra di calcio a 5 femminile. Ferdinando Armeni, il presidente, aveva denunciato l'esistenza di messaggi intimidatori. Storia del Natale scorso e che aveva creato un tale trambusto da far scendere giù in Calabria i vertici federali con il consueto contorno di codazzi mediatici. Un "circo" messo su per qualcosa che oggi la Procura della Repubblica definisce una "montatura", chiedendo contestualmente la chiusura del caso. Il massimo responsabile del sodalizio jonico, del resto, si era platealmente esposto annunciando la volontà di ritirare il club dal torneo. Una mossa che provocò rapidamente la costruzione di quel muro di cartapesta, fatto di solidarietà superficiale e pietoso opportunismo, che sempre in casi analoghi viene eretto da istituzioni, giornali, politici, organizzazioni varie e altre amenità simili. In questo caso, buon per noi, la magistratura è riuscita a cogliere fin da subito gli elementi dell'inganno ed alle toghe, attente nella circostanza, va reso il giusto tributo. Ma in quante altre occasioni, al contrario, si è registrata una acritica adesione alle posizioni, prezzolate, di antimafiosi di comodo. O forse immaginiamo che sia la prima volta in cui ci trova di fronte, come spiegato dal Procuratore della Repubblica Luigi D'Alessio, a frasi minatore "costruite in casa"? No, naturalmente no, ma altrettanto normalmente il rischio concreto che in questa terra, si venga additati al pubblico ludibrio se non si esibisce l'adesione al gregge dell'antimafia parolaia, è troppo elevato. E allora, piuttosto che essere tacciati di connivenza, è meglio, molto meglio, accucciarsi sotto le calde coperte di questo o quel magistrato, di questo o quel giornalista: gruppi che agiscono per bande e che incassano denari e popolarità, verginità ed autorevolezza sulla pelle dei tanti silenziosi, e veri, eroi della lotta alla criminalità organizzata. Le penne starnazzanti e gli accigliati sacerdoti della giustizia che, prendendo in prestito le parole di Ligabue, "alzano il calice sentendosi Dio", sia pur costretti a rimanere ammutoliti per qualche giro di lancetta a causa di questo stop imprevisto al flusso ininterrotto di criminali banalità, riprenderanno presto voce, ben scortati da una parte consistente di opinione pubblica con il forcone in mano e l'ugola squarciata da grida ossessive. Ricoprire ogni storia con la patina tarocca della guerra alla 'ndrangheta è il più grande assist che si possa servire a boss ed affiliati. Banditi che non aspettano altro: avere come avversario l'esercito del nulla composto da arrampicatori sociali, siano essi armati di una tastiera del pc, di una tessera di partito o di una toga, ma tutti, rigorosamente, con la bandierina di questo o quel gruppo antimafioso da agitare in modo ostentato così che tutti possano vedere e non dubitare del loro candore.
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