La Lega fa proseliti in Calabria e tutto finirà (forse) a "tarallucci e vino"

 La caccia al parente è inconsistente sul piano giudiziario, e sciacallesca sul piano morale. In Calabria siamo tutti parenti e amici e nemici, comunque ci conosciamo tutti; e io sono sicurissimo che, in una qualsiasi delle mie infinite avventure politiche, culturali eccetera, devo aver cenato con qualche delinquente dai modi molto gentili. “Qualunque cosa… ” mi dissero una volta due giovanottoni ammirati dalla mia oratoria, e io feci finta di non capire; o bastava chiedere…

 Con la teoria dei parenti e quella delle cene, la Bindi, con la capacità analizzatrice di un rinoceronte alla carica, ha fatto sciogliere non so quanti Comuni calabresi. Perciò, se qualcuno ha delle accuse e delle prove, le esibisca; se no, con le insinuazioni non si va da nessuna parte.

 Non sono preoccupato che il leghista meridionale abbia un cugino. E del resto, i mafiosi calabresi sono tutti conosciutissimi, latitanti inclusi.

 Sono preoccupato che la Lega, ora che è al potere a Roma e che potrebbe prendere anche le Regioni, si meridionalizzi nel senso peggiore del termine, cioè vi si insinuino mandrie di avvoltoi e riciclati, capacissimi di rinnegare la loro Dc, il loro Ps, e anche il loro Pd, e mettersi a parlare in purissimo dialetto della Brianza!

 Illazioni? Ma no: nel 1860 i Meridionali erano quasi tutti borbonici, l’anno dopo tutti sabaudi; nel 1943 erano quasi tutti fascisti, il mese dopo avevano bruciato la camicia nera. E non dimentichiamo quando quasi tutti i medici della Calabria diventarono socialisti.

 O vogliamo scordare quella manica di girella e voltagabbana che, dopo anni di reggicoda Dc e Psi e senza mai aver votato Msi manco una volta, nel 1994, si scoprirono improvvisamente neofascisti, e si iscrissero in massa ad Alleanza nazionale? E davano lezioni di fascismo! E raccontavano le più squallide bugie sulle loro giovanili vicende eroiche: ahahahah!

 Ecco, io non vorrei che tutti questi signori o i loro figli e nipoti entrassero nella Lega, facessero carriera nella Lega, “portassero voti” alla Lega, per poi ricordarsi che la figlioletta ha un concorso… e il rampollo ha un esame difficile da pagare; sì, pagare: tanto arriva la prescrizione come è successo all’università Magna Graecia di Catanzaro.

 Io, al posto di Salvini, porrei un fittissimo filtro alle iscrizioni; e se un candidato alla tessera è stato Dc, Psi, Pd e roba simile, gli farei fare un annetto di anticamera.

 Intanto, nel dubbio, io resto all’ultima tessera di partito della mia vita, scaduta il 31 dicembre 1994.

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Rosario Chiriano e la politica al "servizio dell'uomo"

Deputato dal 1987, per due legislature, componente della Commissione Affari Costituzionali ed Interni e membro dell’Associazione d’amicizia Italia-Albania, si è adoperato, a Roma come in Calabria, percorrendo il pensiero e l’azione di quel Giorgio La Pira, il “santo – sindaco”, il quale alla Costituente aveva affermato la necessità di uno “ Stato per la persona e non la persona per lo Stato: ecco la premessa inalienabile di uno Stato essenzialmente democratici […] Esiste un’autorità dell’uomo rispetto allo Stato, l’uomo ha valore di fine e non di mezzo, perché la natura dell’uomo è spirituale e trascende, quindi, tutti i valori del tempo. Questa radice spirituale e religiosa dell’uomo è la base sulla quale è possibile solidamente costruire l’edificio dei diritti naturali, sacri ed imprescrittibili”. Ed è in questa testimonianza dettata dalla Parola  predicata e tradotta sulla strada che si innesca il cammino del nostro uomo politico per il quale, come scrive lo stesso, è “necessario apprendere la massima di essere ‘prudenti come serpenti e semplici come colombe’. Come tutte le parole divine del Vangelo essa ha una profondità difficile da comprendere e da vivere”. E non solo, per l’uomo politico, come per il Nostro, è necessario e molto significativo “comprendere l’altro paradosso che eleva la politica a servizio: ‘Il Figlio dell’Uomo non è venuto per essere servito, ma per servire’”. È evidente che dal Vangelo e col Vangelo inizia e si compie il progetto politico di Rosario Chiriano, nato a Filadelfia, in provincia di Vibo Valentia,  il 1934. Insigne avvocato e dirigente per molti anni dell’Azione Cattolica; sindaco della sua terra natia per oltre sette anni; consigliere regionale ed in questo ruolo ha presieduto la Commissione per lo Statuto della Regione Calabria; presidente del Consiglio regionale e dal 1987 parlamentare come sopra detto. Praticamente, da appena diciottenne, dal 1952 nell’agone politico insieme con la Democrazia Cristiana e sempre presente in ogni contrada, sia pure la più sperduta dell’Appennino calabro, per salvaguardare l’eredita calabrese, religiosa, storica e civile. Giornalista e soprattutto raffinato e prolifico scrittore che ha lasciato numerose opere, tra le quali ricordo: Un cristiano in politica, Calabria “Problemi società istituzioni”, A bassa voce “Testimonianze per la politica”, Vito Giuseppe Galati “Pensatore e politico cristiano”; inoltre saggi su Carlo De Cardona, Antonimo Anile, Antonimo Guarisci e Pagine sul Movimento politico-democratico in Calabria; ed ancora conferenziere con contributi su : Fede e Politica un incontro salutare, Francesco D’Assisi la povertà tra utopia e santità, Giovanni Seneria testimone di operosità cristiana, I Cattolici in Calabria dal partito popolare all’avvento della Regione, Antonimo Guarisci meridionalismo e regionalismo, Stato e Partito in Aldo Moro, Costantino Mortati un calabrese costruttore e difensore dello Stato democratico, Giuseppe Rito il Cavatore simbolo della nuova Calabria e I diritti fondamentali dell’uomo e la Costituzione. Insomma un umile uomo di chiesa, “avvocato – politico”, servitore della “politica, intesa come concezione di elevata attività finalizzata a servire l’uomo per maturare la società verso il proseguimento del bene comune, [che] appaga il bisogno di compiere il dovere di offrire il nostro lavoro per la terra di Calabria” come lo stesso ha lasciato scritto in Un cristiano in politica, già citato. E non solo, affondando il dito nella piaga, ieri come oggi, Chiriano ammoniva e ricordava agli altri politici e parlamentari che concretamente “noi potremmo fare qualcosa di veramente grande, di veramente innovativo, dovremmo puntare ad una ‘politica’ di un’azione unica e concentrata”. E come presago degli avvenimenti degli ultimi tempi, avvertiva la necessità e l’urgenza di una “ ’unione, l’unità dei cattolici calabresi. Ecco ciò che potremmo e dovremmo fare”. Oggi che c’è un proliferare di partiti ed associazioni nonché fondazioni che dicono di ispirarsi all’etica del vivere civile nel perseguire gli obiettivi tendenti al rispetto della vita, della famiglia, della donna e del lavoro, di fatto vanno verso altre vie senza unità di intenti e di programmazione, ecco allora l’unità agognata da Rosario Chiriano che è “unità culturale, unità operativa, unità politica”. E aggiunge che “se non riscopriamo continuamente la nostra identità risalendo alle fonti non solo della fede, ma anche dei credenti che sono stati maestri di vita cristiana, non è possibile unità tra noi”. La stessa necessità avvertita ed anche sofferta dal suo illustre predecessore Antonino Anile, tra i fondatori del Partito Popolare, il quale, durante un incontro a Crotone, nel 1921, esternò tutta la sua amarezza in un commovente, appassionato e coinvolgente discorso, “…la nostra Calabria, dall’Unità in poi, in circa un cinquantennio di vita nazionale, non solo è stata abbandonata a se stessa, ma costretta a subire una serie ininterrotta di violenze in ogni suo elementare diritto. A rompere questa muraglia di egoismi umani, che ci stringe da ogni lato e minaccia di soffocarci, noi dobbiamo riacquistare i nostri beni morali perduti, che è fonte di ogni altra ricchezza e che la Calabria perdette nei periodi più fulgidi della sua storia”. E già perché “chi non si radica nella tradizione del passato - concludeva il democratico cristiano Rosario Chiriano – non può vivere degnamente il presente. L’unità culturale significa, quindi affondare le radici della nostra storia di calabresi, non solo nel passato, anche nella storia più recente del movimento dei cattolici calabresi. Ecco perché ritengo che sia un dovere valorizzare i nostri pensatori, valorizzare i nostri politici, perché così sarebbe possibile salvaguardare, rivivere e reincarnare la nostra identità”. Ed è questo il mio obiettivo per il tramite di “il Redattore.it”.

Gennaro Cassiani, il cattolico meridionalista

Da subito fece parte del nascente Partito Popolare a fianco delle grandi figure di calabresi che meglio hanno incarnato il meridionalismo ed in particolare i tanti gravi mali della Calabria: Antonino Anile, Vito Giuseppe Galati, don Carlo De Cardona, don Luigi Nicoletti, don Caporale ed altri. Dal giornale cattolico, dal Nicoletti fondato e diretto, “Parola di Vita”, lanciò l’appello “Agli intellettuali cattolici” per tenerli desti contro la minaccia eversiva fascista. Così è stato l’incipit di Gennaro Cassiani, il cattolico meridionalista, nato a Spezzano Albanese nel 1903 e deceduto  nel luglio del 1978. Educato, per volontà del padre Ferdinando, valente avvocato, poeta e scrittore, nel Collegio di San Demetrio Corone, ritenuto simpaticamente “covo di vipere e fucina di diavoli”, già dagli anni liceali, sulla scia di Salvemini, di don Sturzo e di Giustino Fortunato aveva compreso che il Sud, con la sua gente, andava sempre più drammaticamente verso la miseria e la disgregazione col rischio di diventarne, come scrisse Giuseppe Crifò nel ricordarlo ad un mese dalla morte, “la polveriera d’Italia”. Per il suo impegno antifascista fu estromesso dal Corso di allievo sottoufficiale perché le sue non erano “idee compatibili con l’interesse nazionale”. Organizzò, pertanto, il giovane movimento dei laureati cattolici e, alla maniera del Gobetti, nel citato appello, scrisse che è “necessario prepararsi, affilando le proprie energie nella luce sanguigna dell’ora che volge”. I fascisti e la loro censura intuirono  subito il pericolo che poteva venirne da quel foglio cosentino e così decretarono il don Nicoletti confinato a Galatina e il Cassiani diffidato e schedato dall’Ufficio politico della polizia. Più avanti, nel 1944, eletto membro della direzione nazionale della Democrazia Cristiana,  e nel dicembre dello stesso anno sottosegretario ai Lavori Pubblici nel secondo governo Bonomi. Ha inizio da qui, una lunga attività politica e governativa che lo vede protagonista alla Costituente  e ministro delle Poste e della Marina mercantile. Intenso e profondo è stato il suo attaccamento alla terra calabra: legame che si materializzò con l’attività parlamentare finalizzata al miglioramento delle condizioni economiche e sociali e pertanto relatore più volte di proposte di leggi ed autore di disegni di leggi pro Calabria. È stato lui, Gennaro Cassiani, e ne andava fiero, l’artefice della legge speciale per la Calabria voluta anche dal quel grande statista cattolico che fu De Gasperi e, per meglio confezionare le provvidenze destinate alla sua gente, partecipò a tutte le sedute della Commissione speciale per il Mezzogiorno presieduta da don Sturzo. Scriveva il Crifò che “se è vero che l’arretratezza economica meridionale, gli irrisolti problemi del Sud, l’impoverimento  del Mezzogiorno, hanno radici storiche antiche, è anche vero che non tutto veniva espletato dal governo, dalle classi imprenditoriali e dal sindacato stesso in relazione alle loro responsabilità e spettanze, affinché alle enunciazioni e alle teorizzazioni corrispondessero realtà concrete e fatti risolutivi di alcuni principali  nodi strutturali.” E non solo, era anche vero che “con la creazione della Cassa per gli investimenti del Mezzogiorno non tutti i problemi erano sul punto di essere risolti”. Erano gli anni degli errori, madornali errori della politica d’intervento nelle aree depresse del Sud: assistenzialismo, ramificazioni e dispersioni, sovvenzioni a pioggia. A questi errori ed interrogativi cominciò a rispondere il movimento dei nuovi soggetti del cambiamento ed artefici della redenzione della gente del Sud, i protagonisti della Questione meridionale” e tra questi non è stato da meno Gennaro Cassiani. I nuovi uomini del cambiamento hanno incarnato l’esigenza di disegnare con maggiore chiarezza e trasparenza un diverso legame e punto d’incontro tra le tante e diverse criticità del Sud, l’opportunità inderogabile delle soluzioni effettive e mirate alla programmazione del territorio che deve realizzarsi con una stretta ed intelligente compartecipazione tra gli interventi regionali e quelli speciali della Cassa del Mezzogiorno. Come è possibile la realizzazione di tanto? Cassiani l’aveva intuito se è vero che parlava di “forme di controllo” da parte dei lavoratori attraverso la gestione dei contratti di lavoro assieme alla gestione sociale e democratica di una politica occupazionale. Ed oltretutto ciò veniva facile comprenderlo al Cassiani, perché tanto gli derivava dal padre Ferdinando “conoscitore dell’animo umano in tutte le sue pieghe più riposte, in quanto sempre presente a soffrire o a gioire le esperienze sociali, crede nell’efficacia dell’esempio” come ce lo ricorda Francesco Fusca. E non solo, ancora il Fusca rammenta che gli interessi dei Cassiani, padre e figlio, “si spostano sempre più da un’area circoscritta e limitata a una più vasta ed eterogenea. Succede così che il problema albanese stabilisce un rapporto diretto con la questione meridionale e con quella nazionale”. A maggior conoscenza ed approfondimento, del nostro uomo politico resta, tra gli altri scritti, la pubblicazione “Le pietre ‘dalle due Italie alla ricostruzione nazionale’ ” edita a Roma nel 1977 dalla Casa Studi Meridionali.

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