Odessa, l’anima ‘italiana’ di una città leggendaria

Gli ucraini hanno rimosso da Odessa il monumento a Caterina II, con l’intento di cancellare un riferimento alla storia russa. Costruito nel 1900 e smantellato ai tempi della rivoluzione bolscevica, era stato restaurato nel 2007 quale omaggio della città ai suoi fondatori. Appena al di sotto di Caterina la Grande, troneggiavano, infatti, le statue di Giuseppe de Ribas, Francois Sainte de Wollant, Platon Aleksandrovič Zubov e Grigorij Aleksandrovic Potëmkin, cui si deve la nascita e lo sviluppo di Odessa. La rimozione del monumento rappresenta un discutibile tentativo di obliterare la storia di una città il cui passato non parla solo russo, ma anche tanto italiano.

La fondazione

La fondazione di Odessa risale, infatti, al 1794, quando Giuseppe de Ribas, un napoletano che aveva servito da protagonista nell’esercito russo durante le guerre contro il sultano, propone a Caterina II di costruire una nuova città nei pressi del villaggio tataro di Chadžibej, non lontano dalla fortezza ottomana di Yeni-Dünya, che proprio de Ribas aveva espugnato nel 1789. L’idea di edificare un nuovo insediamento nei territori della Novorossija, la regione conquistata a fine Settecento con le Guerre russo turche, nasce in seguito al mancato decollo di Cherson; la città fondata dal governatore della regione, conte Grigorij Aleksandrovic Potëmkin nel 1778, alla foce del Dnepr, che nelle intenzioni sarebbe dovuta diventare il principale hub portuale russo del mar Nero. Tuttavia, per tutta una serie di ragioni, Cherson si rivela poco adatta a svolgere la funzione assegnatagli. Prende forma, quindi, l’idea di mettere mano ad un nuovo insediamento, il cui sito viene individuato da de Ribas in prossimità delle foci dei maggiori fiumi dell’Europa orientale. Inoltre, il villaggio di Chadžibej era stato luogo di transito per le greggi, per i prodotti agricoli di Volinia e Podolia e per il traffico commerciale proveniente dalla Polonia e dal mar Baltico. Infine, l’ampiezza della baia, la profondità delle acque e l’accesso immediato al mare aperto offrono un vantaggio competitivo  destinato a fare la fortuna di Odessa. Sulla scorta di tali caratteristiche, nel 1794 de Ribas presenta al neogovernatore della Novorossija, Platon Aleksandrovič Zubov, il progetto destinato a trasformare Chadžibej nel nuovo hub russo. L’idea di costruire una città portuale in grado di valorizzare i territori meridionali dell’impero, come San Pietroburgo aveva fatto con quelli settentrionali,  viene immediatamente finanziata con 26 mila rubli. Ricevuto il denaro e l’investitura di governatore della nascente città il 27 maggio 1794, de Ribas si mette subito all’opera insieme a Francois Sainte de Wollant, un ingegnere nato ad Anversa che aveva conosciuto durante la conquista della fortezza turca d’Izmail. Il progetto urbanistico redatto da del Wollant prevede la realizzazione di un settore militare e uno civile, del porto, sia militare che mercantile e di un lazzaretto simile a quello di Livorno. La fase esecutiva, viene avviata il 22 agosto e già in autunno vengono gettate le fondamenta delle più importanti strutture cittadine.

L'anima italiana

L’intenzione di de Ribas è di far nascere  – non solo architettonicamente - una città ‘italiana’, simile alla Napoli in cui era nato e cresciuto. Con tale obiettivo, nei suoi tre anni di governo, fa arrivare dal Bel Paese ingegneri e architetti incaricati di redigere i progetti per la realizzazione di quartieri e nuove strade. Contestualmente favorisce il trasferimento di molti italiani, concedendo loro i permessi di costruzione nel centro città delle prime torgovye doma (case di commercio). De Ribas propone di chiamare la costituenda città “Odessos”, dal nome di un’antica colonia greca del mar Nero. La proposta viene accolta e nel 1795 diventa ufficialmente Odessa. L’importanza che il nuovo insediamento è destinato ad assumere s’intuisce nel 1797, quando da Cherson viene trasferito il consolato del Regno di Napoli. La presenza della sede diplomatica è sintomatica anche della conformazione demografica della nuova città, nella quale, dei 3.153 residenti, ben 800, ovvero il 25 per cento, sono italiani. Con la morte di Caterina II e l’ascesa al trono del figlio Paolo I - che avvia un radicale repulisti di tutti gli stranieri che avevano collaborato con la madre - il destino di Odessa sembra essere segnato. Le conseguenze politiche del nuovo corso colpiscono, infatti, anche de Ribas che nel 1797 viene richiamato a San Pietroburgo, dove morirà in circostanze misteriose il 2 dicembre 1800. Alla sua partenza, sono già stati costruiti 60 edifici statali, 353 case private, 416 negozi, 101 magazzini e buona parte delle opere portuali. L’importanza di continuare l’opera avviata da de Ribas, alla lunga non sfugge ai nuovi inquilini del Cremlino, che l’8 febbraio del 1803 danno mandato al duca di Richelieu di portare a termine il progetto. Il nuovo governatore - Armand du Plessis, duca di Fronsac, poi duca di Richelieu - era arrivato in Russia ai tempi della Rivoluzione francese e insieme a de Ribas e de Woland aveva partecipato all’assedio di Izmail. Giunto in città, riprende i progetti dei predecessori e prosegue la politica di colonizzazione, favorendo l’afflusso di stranieri destinati ad acquistare immobili e aprire negozi. Durante questo periodo vengono costruiti altri edifici e organizzato il sistema scolastico, con la creazione, tra gli altri, del ginnasio commerciale in cui l’italiano è materia obbligatoria. Una scelta dettata, non tanto dalla presenza di numerosi emigrati provenienti dalla Penisola, quanto dalla loro influenza nella vita economica cittadina. Un’influenza testimoniata dal fatto che l’italiano è la lingua franca usata in tutte le operazioni commerciali, nel mondo degli affari, nei saloni aristocratici, all’Opera, nelle scuole e per strada. Per comprendere l’importanza dell’idioma di Dante, basti pensare che il 3 dicembre 1829, il governatore generale, conte Michail Voroncov, si rivolge agli odessiti in italiano per annunciare la fine dell’epidemia di peste e la ripresa delle attività cittadine. Negli anni, come scrive Charles King in “Odessa – Splendore e tragedia di una città di sogno”, l’idea di de Ribas prende definitivamente corpo dando luogo a una “città leggendaria”, famosa, non solo per aver dato i natali a Isaac Babel o per aver ospitato Puskin durante l’esilio, ma anche per la presenza dell’iconica scalinata Potemkin, progettata a metà Ottocento dall’architetto Francesco Boffo, cui si deve anche l'elegante Primorskij Boulevard e divenuta celebre grazie al film muto di Sergei Eisentein. Il contributo italiano è apprezzabile, inoltre, in tutto il centro storico, grazie all’opera di Francesco (Franz) Morandi che, dal 1845 al 1890, sviluppa il nuovo piano regolatore e tutta una serie di opere pubbliche. Il lavoro di Morandi è decisivo anche per la nascita della Società delle Belle Arti e della Scuola di Disegno i cui primi calchi in gesso, disegni, stampe, manichini e altri materiali didattici arrivano dall’Accademia di Brera. Altri architetti italiani che, a vario titolo, danno il loro contributo all’identità di Odessa, sono: Alessandro Digbi padre e figlio, Francesco e Giovanni Frapolli, Ivano Dall'Acqua, Luigi Cambiaggio, Giovanni Scudieri, Giorgio Torricelli. L’impronta italiana è tale, che nel 1835, durante la sua visita alla città, l'americano Henry Wikoff, scrive: “Ero quasi tentato di credere che, per qualche scherzo, ci fossimo imbattuti in una città italiana”. Gli italiani modellano Odessa non solo dal punto di vista architettonico. Ad avviare la prima impresa commerciale è, infatti, tal Stefano Venturi. Agli italiani si devono inoltre, l’apertura delle prime banche private e degli istituti di assicurazione necessari allo sviluppo del commercio estero. La prima agenzia d'assicurazioni è istituita nel 1806 da Benedetto Mercadalli, mentre la prima banca commerciale risale al 1826 grazie a Giovanni Verani. Il peso, anche numerico, della colonia italiana inizia a scemare a partire dalla  seconda metà dell’Ottocento. I titoli di coda arriveranno con la rivoluzione bolscevica, quando la gran parte dei 286 italiani censiti nel 1900 lascerà la città fondata da un napoletano che volle farsi russo.

  • Published in Cultura

La festa di san Nicola e la tradizione dei regali ai bambini

Non serviva la sveglia; a farli alzare dal letto di buonora era la certezza di trovare un regalo. Con gli  occhi ancora increspati dal sonno, i bambini iniziavano a vagare per casa alla ricerca del dono che erano sicuri san Nicola avesse lasciato loro durante la notte. Il rituale, un tempo molto popolare, continua a sopravvivere la mattina del 6 dicembre dove il culto del vescovo di Myra è ancora particolarmente sentito. Si tratta di un’usanza legata ad uno dei tanti miracoli attribuiti a san Nicola, la cui vita è, per buona parte, avvolta nel mistero. Nato a Patara, nella Licia intorno al 260, da pii e ricchi genitori, divenne ben preso popolare per la sua bontà e carità. Alla morte, avvenuta tra il 345 e il 352, fu sepolto nella chiesa della città di Myra - corrispondente all'attuale villaggio turco di Demre - dove i suoi resti mortali riposarono fino al 1087, quando alcuni marinai baresi li trafugarono per portarli nella loro città. Alla base del gesto, la devozione che ancora oggi accomuna cristiani di fede cattolica e ortodossa. Sono migliaia, infatti, i pellegrini provenienti anche dall’Europa orientale che ogni anno testimoniano la loro fede al cospetto delle reliquie custodite nella cripta della basilica barese. Una fede sviluppatasi attorno agli eventi miracolosi che hanno fatto di san Nicola il protettore dei bambini, delle fanciulle che si avviano al matrimonio, dei marinai, dei prigionieri, degli oppressi, dei viaggiatori e di quanti soffrono.

Attributi riconducibili ai miracoli resi popolari dall’agiografia, quali, tra gli altri, l’aver placato una tempesta e salvato dal naufragio alcuni marinai; l’aver sottratto Myra alla carestia; l'aver liberato tre ufficiali condannati ingiustamente a morte dall'imperatore Costantino o l’aver restituito la libertà a un ragazzo rapito dai pirati. Tuttavia, a rendere popolare il Santo sono stati soprattutto il miracolo della dote e quello della resurrezione dei bambini. In particolare, il primo - che ha ispirato nell’iconografia l’attributo delle tre palle d’oro, allegoria di altrettanti sacchetti pieni di monete - narra che un giorno, san Nicola, prima di prendere i voti, venne a sapere che un uomo impoverito non poteva donare alle tre figlie la dote necessaria ad assicurargli un matrimonio. Così, una notte, avvolse in un panno delle monete d’oro e le lanciò nella povera casa attraverso una finestra. Subito dopo, per non farsi riconoscere, scappò via. La prima fanciulla poté così trovare marito. Il gesto si ripeté altre due volte, ma la terza notte il padre si precipitò fuori casa e riuscì a scoprire l’identità del misterioso benefattore. Secondo un’altra versione, san Nicola avrebbe donato le monete d’oro a un padre intenzionato a far prostituire le tre figlie allo scopo di ottenere il denaro necessario al loro matrimonio. La storia doveva essere particolarmente popolare giá nel Medioevo, al punto da essere menzionata da Dante nella Divina Commedia, nel cui Canto XX del Purgatorio richiama “la larghezza che fece Niccolò a le pulcelle, per condurre ad onor lor giovinezza”.

Un'altra storia piuttosto paradigmatica, racconta di un oste che aveva ucciso, fatto a pezzi e messo in salamoia tre bambini, con l’intento di farli mangiare ai suoi avventori. La leggenda vuole che con il suo intervento il Santo riuscì a resuscitare i bambini e a convertire il cuore malvagio dell’oste. L’episodio ha fatto di san Nicola il protettore dei fanciulli. Non a caso, il 6 dicembre era considerato un gioioso anticipo del Natale, data l'usanza di far trovare dolci e regalini ai bambini.

Un’usanza trasposta oggi nella figura mondana di Babbo Natale. Come sarebbe avvenuta la trasposizione, lo spiega  Alfredo Cattabiani nel suo “Calendario”: “san Nicola, che nel primo medioevo si chiamava Sanctus Nicolàus - dal greco nikólaos, composto da nikân, «vincere», e laós, «popolo», e dunque «vincitore fra il popolo» - divenne popolare nell'Europa centrale e settentrionale dove il nome si storpiò in Santa Claus. Emigrato in America, il suo aspetto subì una metamorfosi: il mantello vescovile diventò un robone rosso orlato di pelliccia, la mitra un cappuccio a punta. E con queste nuove sembianze è tornato in Europa come Babbo Natale: maschera-simbolo della frenesia laica che informa quello che un tempo era il memoriale della nascita di Gesù e oggi è per molti la festa principale del Consumo”.

Tuttavia, non manca chi, ancora oggi, sottraendosi al rituale del Consumo, il 6 dicembre aspetta fidente l’arrivo di san Nicola.

  • Published in Cultura

Come la Russia beffa le sanzioni con l’aiuto della più grande democrazia del mondo

“Les affaires sont les affaires” è una commedia scritta nel 1903 da Octave Mirbeau, il cui protagonista, Isidore Lechat, incarna la figura dell’affarista rapace e senza scrupoli, capace di trarre vantaggio da qualsiasi situazione. L’opera, per quanto datata, è quanto mai attuale, soprattutto alla luce del delicato contesto economico determinato dalla guerra in Ucraina.

Un contesto in cui, purtroppo, non mancano gli Isidore Lechat capaci di trasformare in profitti le altrui sventure. E’ il caso di alcuni Paesi che continuano a trafficare con la Russia. A svelare una situazione che starebbe sterilizzando gli effetti delle sanzioni decretate dall’Occidente, è stato il Centro di ricerca sull’energia e l’aria pulita con sede a Helsinki che, in un rapporto, ha messo nero su bianco come, a dispetto dell’embargo, il petrolio russo stia scorrendo a fiumi in ogni direzione. Il tutto avverrebbe grazie a triangolazioni internazionali che permetterebbero alle navi cariche di prodotti petroliferi russi di arrivare addirittura nei porti statunitensi. Ovviamente, all’origine dell’escamotage ci sarebbe una colossale speculazione. Come riporta il National Post, “Dall’invasione russa alla fine di febbraio, i prezzi globali del petrolio sono aumentati vertiginosamente, dando alle raffinerie in India e in altri paesi un ulteriore incentivo a sfruttare il petrolio. Mosca li offre con forti sconti da $ 30 a $ 35 al barile, rispetto al greggio Brent e ad altro petrolio internazionale che ora viene scambiato a circa $ 120 al barile”.

Con il petrolio russo a prezzo di saldo, a fare affari sono in tanti, a partire dagli armatori. Stando al rapporto del CERA, il 97 per cento del greggio di Mosca fin qui consegnato nei porti indiani e mediorientali avrebbe viaggiato su petroliere assicurate in soli tre paesi: Regno Unito, Norvegia e Svezia. Dai rapporti sul monitoraggio delle navi sarebbe emerso che tra le destinazione chiave ci sarebbe la Turchia. Tuttavia, la gran parte delle petroliere avrebbe avuto come destinazione finale l’India che, con le sue raffinerie, starebbe giocando un ruolo decisivo per dare al petrolio russo uno sbocco su mercati altrimenti preclusi a causa delle sanzioni. Ad inchiodare alle sue responsabilità, quella che con molta enfasi viene chiamata la più grande democrazia del mondo, ci sono i numeri. Dallo scoppio del conflitto in Ucraina, le raffinerie indiane hanno visto lievitare il volume delle esportazioni di gasolio, passate da 580 mila a 685 mila barili al giorno. Un incremento reso possibile dalle accresciute importazione di petrolio russo, passate da 100 mila barili al giorno a febbraio scorso a 370 mila al giorno ad aprile, fino ad arrivare a 870 mila al giorno a maggio. Complessivamente, nel 2022, l’India avrebbe già importato dalla Russia ben 60 milioni di barili. Una quantità gigantesca, soprattutto, se comparata con i soli 12 milioni di barili acquistati in tutto il 2021. Nuova Delhi, quindi, sarebbe oggi il principale hub di raffinazione del petrolio russo che, una volta trasformato, verrebbe inviato per l’80 per cento sui mercati asiatici. Tuttavia, come rivelato ad Associated press dalla principale analista del CREA, Lauri Myllyvirta, il 20 per cento raggiungerebbe l’Europa e gli Stati Uniti. A ciò si aggiunga che l’India non è il solo Paese ad aver accresciuto le importazioni di prodotti petroliferi russi. Nei primi 100 giorni di guerra, infatti, Mosca ha aumentato la quota di carburante esportata anche in Francia, Cina, Emirati Arabi Uniti e Arabia Saudita.

Il risultato è che, a dispetto delle pressioni esercitate dai governi occidentali, nei primi cento giorni di guerra la Russia ha incassato 93 miliardi di euro dalla sola esportazioni di combustibili fossili. Una cifra colossale destinata ad aumentare nel prossimo futuro in ragione della favorevole congiuntura internazionale. La circostanza non è sfuggita al senior advisor per la sicurezza energetica degli Stati Uniti, Amos Hochstein che, nei giorni scorsi, ha informato il Congresso della possibilità per la Russia d’incrementare le entrate derivanti dai combustibili fossili rispetto a prima del conflitto, in virtù degli aumenti dei prezzi globali e dell’accresciuta domanda determinata dall’allentamento dei blocchi causati dal Covid. Previsioni che se confermate potrebbero far sentire gli effetti delle sanzioni occidentali solo a chi le ha decretate.

I buoni…amici dell’Occidente

A fine mese il presidente Usa Joe Biden andrà a Ryad per chiedere a quei galantuomini degli Al Sa’ud di aderire all’alleanza del bene.
 
Ovviamente, essendo un buono, Biden non può non cercare il sostegno di un paese rispettabile come l’Arabia Saudita, ovvero di uno Stato teocratico la cui dinastia, non solo calpesta sistematicamente i diritti umani, ma dal 2015 combatte una sanguinosissima guerra in Yemen.
 
Nel corso del suo viaggio il presidente Usa non avrà difficoltà a stringere la mano al ministro delle Difesa Moḥammad bin Salmān, ovvero il principe ereditario che un rapporto dell’Onu indica come mandante dell’omicidio di Jamal Khashoggi, il giornalista del Washington Post ucciso, fatto a pezzi e sciolto nell’acido nel consolato saudita di Istanbul.

I russi trovano armi italiane in un deposito ucraino in Donbass

Le armi inviate dall'Italia in Ucraina sono arrivate a destinazione e vengono utilizzate in prima linea. 

A testimoniarlo le immagini (vedi foto) diffuse oggi da fonti russe che, tra il bottino di un magazzino strappato ai soldati di Kiev nella regione del Donbass, fanno vedere materiale bellico italiano. 

Sui contenitori di quelle che, a prima vista, sembrerebbero granate da 120 mm per mortaio M63 è riportata in italiano la dicitura 'Bomba leggera'.

L'Italia, quindi, nella fornitura inviata all'Ucraina avrebbe inserito anche un lotto dei mortai sviluppati negli Settanta dalla francese Hotchkiss-Brant e prodotti su licenza nel nostro Paese. 

 

Nave russa in fiamme nei pressi dell'isola dei Serpenti

Stando a quanto riferito da media ucraini, una nave russa da supporto logistico, la Vsevolod Bobrov, sarebbe stata danneggiata nei pressi dell'isola dei serpenti. 

Le fonti di Kiev, che citano il portavoce dell'amministrazione militare di Odessa, Serhyi Bratchuk, parlano di un incendio provocato da un missile. 

L'imbarcazione, molto probabilmente impegnata nel rifornimento della guarigione russa sotto attacco da alcuni giorni, sarebbe stata rimorchiata verso il porto di Sebastopoli, in Crimea. 

Lunga 95 metri e larga 22, la Vsevolod Bobrov è entrata in servizio poco meno di un'anno fa. 

Al momento non è stato possibile verificare la notizia da fondi indipendenti. 

I russi muovono una nave di epoca zarista per far luce sulla fine del Moskva

La Russia è pronta ad avviare l’operazione di recupero del relitto, o di una sua parte, dell’incrociatore missilistico Moskva. Per farlo, gli ammiragli di Putin avrebbero inviato sul luogo dell'affondamento la Kammuna, una nave di epoca zarista. Entrata  in linea nel 1915 per dare appoggio logistico ai sottomarini, l’imbarcazione è stata successivamente trasformata in un’unità di soccorso e recupero.

La Kammuna dispone di gru e di un mini sottomarino cui dovrebbe essere affidato il compito d’ispezionare il relitto del Moskva che si troverebbe ad una cinquantina di metri di profondità.

Intanto, in vista dell’avvio dell’operazione, l’agenzia russa Ria ha fornito il bilancio ufficiale della sciagura, parlando di un morto e 27 dispersi. Gli altri 396 mariani presenti a bordo dell’ammiraglia della flotta del mar Nero sarebbero stati tratti in salvo e portati nella base di Sebastopoli, in Crimea.

Subscribe to this RSS feed