Opere d'arte confiscate al re dei videopoker amico delle cosche

Un altare con una fontana da chiesa composto da sei pezzi; due statue raffiguranti un personaggio maschile e uno femminile ed una cornice-porticina di tabernacolo. È quanto è stato confiscato a Gioacchino Campolo, il “re dei video-poker” considerato contiguo alle cosche di 'ndrangheta "Audino", "Zindato", "Libri", e ""De Stefano".

Le opere, in marmo bianco e policromo risalenti al XVII e XVIII secolo, hanno un valore stimato in circa 150 mila euro.

Il provvedimento, eseguito dai militari del Comando provinciale della guardia di finanza e del Comando tutela patrimonio culturale dei carabinieri – Nucleo di Cosenza,  sotto la direzione della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Reggio Calabria, giunge in seguito alla sentenza con la quale Campolo è stato condannato, in via definitiva, a 16 anni di reclusione per estorsione aggravata dal metodo mafioso.

La confisca definitiva costituisce la prosecuzione delle indagini relative all’operazione “Geremia”, coordinate dalla Direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria e condotte dalle fiamme gialle del Gico. Conclusa nel 2009, l'attività investigativa portò all’esecuzione di cinque provvedimenti restrittivi nei confronti di altrettanti soggetti ritenuti responsabili, tra gli altri, dei reati di estorsione aggravata dal metodo mafioso e di trasferimento fraudolento di valori.

La Dda aveva incaricato la guardia di finanza di eseguire altre indagini patrimoniali per individuare beni mobili ed immobili riconducibili all’imprenditore.

I finanzieri hanno, quindi, ricostruito e analizzato ogni singola transazione economica e finanziaria operata da Campolo, dalle società a lui riconducibili e dal suo nucleo familiare, individuando un enorme patrimonio, del quale risultava disporre direttamente o indirettamente, il cui valore complessivo è apparso sproporzionato rispetto ai redditi dichiarati ufficialmente e che è stato ritenuto derivato dall’illiceità del denaro accumulato negli anni grazie alla presunta vicinanza alla criminalità organizzata.

Già nel 2010, nell’ambito dell’operazione “Les Diables” l’imprenditore si ero visto sequestrare - e successivamente confiscare – quattro imprese, oltre 250 immobili, 14 veicoli, e 125 dipinti: quest’ultimi, periziati dalla Soprintendenza ai Beni Storici ed Artistici della Calabria, vennero definiti di pregio artistico del valore stimato di  327 mila euro.

Nel 2014, poi, gli vennero sequestrate altre 96 opere d’arte, per un valore di 105 mila euro, tra quadri, dipinti e mobili custoditi all’interno degli appartamenti sequestrati. Anche in questo caso si ritenne le stesse frutto del reimpiego di introiti illeciti. Trentadue di queste vennero poi confiscate nel 2015.

Le opere oggi confiscate erano state ritrovate e sequestrate nel 2016, in una cassa di legno custodita in un garage.

Grazie alla sinergia tra il tribunale di Reggio Calabria, la Direzione distrettuale antimafia, la guardia di finanza e il Nucleo tutela patrimonio culturale dei carabinieri della Calabria, le opere d'arte sono state affidate all’Agenzia nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata, e sono attualmente in esposizione al pubblico in una sala del Palazzo della Cultura “Pasquino Crupi” del capoluogo dello Stretto insieme ad altri 125 dipinti d’autore già confiscati nella stessa procedura.

La mostra, permanente, intitolata “A tenebris ad lucem - L’arte ritrovata torna bene comune” offre ai visitatori la possibilità di ammirare una parte del patrimonio artistico sequestrato alla mafia.

 

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