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Processo "Perseo": il senatore calabrese Aiello assolto dal reato di voto di scambio

Assolto per non aver commesso il fatto: Giuseppe Perri, giudice per le udienze preliminari, al culmine del processo celebrato con rito abbreviato, ha emesso il verdetto nei confronti di Piero Aiello, senatore calabrese del Nuovo Centrodestra. Il capo d'imputazione a carico dell'ex assessore regionale era voto di scambio. A difendere le ragioni di Aiello è stato l'avvocato Nunzio Raimondi. Elio Romano, che ha rappresentato la pubblica accusa per conto della Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro, aveva richiesto che il senatore fosse condannato a tre anni di reclusione. La vicenda giudiziaria è nata dall'operazione "Perseo", condotta nel luglio di due anni addietro, che, secondo le ricostruzioni investigative, aveva smantellato i clan di Lamezia Terme e si era concretizzata con l'esecuzione di sessantacinque arresti. 

 

 

 

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Nuovo Centrodestra in frantumi: anche il senatore calabrese Nico D'Ascola abbandona Alfano

Era l'unico parlamentare non contemplato nell'elenco che aveva adornato l'articolo pubblicato stamattina, ma gli eventi, come sempre, ci inseguono e superano anche la proverbiale rapidità tipica dell'informazione online. La fuga di massa dal Nuovo Centrodestra, accelerata dalla decisione presa da Gaetano Quagliariello di lasciare la carica di Coordinatore del partito in contrasto con la linea supina rispetto alle posizioni di Matteo Renzi, pervicacemente seguita da Angelino Alfano, si arricchisce di un altro personaggio: Nico D'Ascola. Il noto avvocato reggino, infatti, fa parte della nutrita pattuglia di parlamentari che hanno scelto di non arrancare più al traino del centrosinistra, perdendo di vista i valori fondanti di Ncd. In buona sostanza, si torna nell'alveo naturale del centrodestra. Il senatore calabrese contribuirà a formare un nuovo gruppo a Palazzo Madama che coinvolge anche i fedelissimi di Flavio Tosi, fuoriuscito dalla Lega, ed il drappello di Conservatori e Riformisti, protagonisti con Raffaele Fitto dello strappo con Forza Italia. In tutto, si prevede che siano una dozzina i parlamentari, fra Camera dei Deputati e Senato, a levare le tende parecchio sgualcite del Nuovo Centrodestra, un partito ridottosi a stampella malmessa di Palazzo Chigi e custode di una rilevanza men che residuale, a Roma come in periferia. 

C'era una volta il Nuovo Centrodestra

Sono passati poco meno di due anni da quando, era il 15 novembre del 2013, veniva alla luce il Nuovo Centrodestra. Un arco di tempo così breve è stato, tuttavia, sufficiente, per metabolizzarne la sua intera parabola:  una virgola nella storia della politica italiana. Anche in Calabria, l'intero stuolo di "colonnelli" all'epoca in servizio permanente effettivo presso quella che appariva come l'"Armata invincibile" di Giuseppe Scopelliti seguì senza indugi il suo Generale, unico fra i big sparsi sul territorio ad abbracciare il progetto coltivato da Angelino Alfano di un centrodestra deberlusconizzato. Un partito che fosse capace di attrarre il naturale bacino elettorale dei moderati sottraendosi al ventennale dominio esercitato dall'ex Cavaliere. Per rendere possibile il progetto, secondo il leader Ncd, era necessario, rimanere ancorati al Governo di Matteo Renzi ed abbandonare al suo destino la barca che, tornata ad issare l'antico vessillo di Forza Italia, veleggiava ammaccata verso i lidi dell'opposizione all'Esecutivo. Poco importa, in questa sede, quali siano stati i motivi reali dell'implosione del PdL e, di conseguenza, delle ragioni che portarono alcuni ad intrupparsi con Alfano, altri a rimanere fedeli all'enclave "azzurra". Quel che conta è l'epilogo, tragicomico, di un'avventura dimenticabile, a Roma come in Calabria. La nostra regione, anzi, può ben assurgere al ruolo di rappresentazione plastica di ciò che è stato, o meglio, non è stato il Nuovo Centrodestra. Tralasciando le vicissitudini legate alla persona fisica Scopelliti, che, però, hanno determinato nelle lande a noi vicine un effetto a cascata tale da svuotare, di voti e di prospettive, il partito, è quel che sta succedendo in queste settimane, in questi giorni, in queste ore, a rendere bene l'idea di una morte annunciata. Un fuggi fuggi che non sta risparmiando nessuno, ma i rappresentanti calabresi, tradizionalmente lesti a cogliere la direzione delle correnti quando a scricchiolare sono i propri interessi particolaristici, si sono saputi muovere per tempo, provando ad occupare la pole position prima del via ufficiale al poco romantico "valzer dei voltagabbana". Della pattuglia di senatori inseriti nella lista PdL e spediti dalla Calabria a Roma per mezzo dell'immondo "Porcellum", quelli che hanno imboccato la strada del Nuovo Centrodestra o sono rimasti impigliati in storie e storiacce di natura giudiziarie: vedi Pietro Aiello. O si sono dovuto dimettere a furor di popolo per scandali scoppiati nella terra d'origine: è il caso di Antonio Gentile. Altri, come Giovanni Bilardi, eletto nella paccottiglia denominata "Grande Sud", ma andato ad infoltire il drappello alfaniano a Palazzo Madama, hanno le loro gatte da pelare a causa di richieste d'arresto pendenti per la tristemente celebre "Rimborsopoli", retaggio dell'esperienza vissuta sugli scranni di Palazzo Campanella. Un quarto esponente, Antonio Caridi, già nel dicembre dello scorso anno ha preso cappello e salutato la compagnia: è dato per imminente il suo trasferimento nelle fila di Forza Italia, dopo aver abitato in questo lasso di tempo il non meglio identificato mondo denominato "Grandi Autonomie e Libertà". Un paio di suoi colleghi che vantano le medesime origini calabresi sono, invece, in fibrillazione perché corteggiati con insistenza da Denis Verdini, regista e costruttore della stampella del Governo Renzi a cui ha dato il nome, assai poco affascinante, di Alleanza Liberalpopolare-Autonomie, trasformatosi in una naturale calamita per gli assidui frequentatori del sottobosco del potere politico, con annessi e connessi. Ma, sebbene il quadretto che emerge è molto poco edificante, è a Montecitorio che si rischia l'indigestione di emozioni assistendo alle appassionanti giravolte delle due campionesse di "salto della quaglia". Entrambe catapultate nell'aula della Camera dei Deputati agitando la bandiera del PdL, sono sul punto di staccare il tagliando di campionesse nel popolarissimo, fra gli inquilini dei Palazzi, salto della quaglia: trattasi delle due "damigelle" Dorina Bianchi e Rosanna Scopelliti. Quest'ultima, espressamente e fortemente voluta dall'ex presidente della Regione come fiore all'occhiello da esibire con orgoglio, si è talmente affrancata dalle sue origini che a breve si sistemerà davanti al confortevole focolare del Partito Democratico. Ai vertiginosi giri di giostra della Bianchi, invece, sia detto in tutta sincerità, non possiamo fare altro che inchinarci commossi: nessuna meglio di lei conosce a menadito l'intero arco costituzionale. Dal 2001 ad oggi ha già frantumato ogni record: eletta con il Ccd è confluita nell'Udc. Folgorata sulla via di Damasco, a legislatura corrente, indossa l'abito della festa e aderisce alla Margherita: dal centrodestra al centrosinistra, previo bagno purificatore nel salvifico Gruppo Misto. Rieletta nel 2006, l'anno successivo aderisce, insieme a quello che era il partito del momento, al PD. Nel 2008, altra competizione elettorale vincente, questa volta per il Senato. Neanche a dirlo, in corso d'opera, questioni di coscienza la "obbligano" nel 2009 a scappare dal PD per rimettersi sotto l'ombrello dell'Udc. Passano due anni ed il centrodestra la candida a sindaco della sua città, Crotone: un'esperienza poco felice, visto l'esito fallimentare, ma lei non molla di un centimetro e contestualmente si mette in tasca la tessera del PdL da cui il passo a Ncd si è rivelato, per una volta, semplice da compiere. Adesso, questione di poco, e complice l'amichevole frequentazione col ministro Maria Elena Boschi e l'evaporazione della creatura alfaniana, scenderà alla prossima fermata: voci insistenti riferiscono, infatti, che stia nuovamente scorgendo all'orizzonte il tram guidato da Renzi, quello che la potrebbe portarla dritta dritta al capolinea (almeno fino al prossimo viaggio) del ministero degli Affari regionali. Al cospetto di cotanta passione ideale non resta altro che arrendersi: chapeau.

 

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Regione, Gentile (Ncd) agita lo spettro del ritorno alle urne in Calabria

"La sentenza della Corte costituzionale, attesa a breve, sulla legge elettorale, potrebbe azzerare tutto in Calabria". L'ipotesi di uno scioglimento anticipato del Consiglio regionale resta sul tavolo ed a rilanciarla nel dibattito politico è una dichiarazione di Antonio Gentile, senatore del Nuovo Centrodestra,che ricorda l'imminente verdetto dei giudici costituzionali. "È opportuno parlarne, senza cadere nelle interpretazioni dietrologiche. Personalmente - assicura il membro di Palazzo Madama - non lo auspico, sapendo che Oliverio è stato legittimato dal voto popolare, ma ho un rispetto devozionistico per il giudice delle leggi. La questione non è l'ingresso di Wanda Ferro in Consiglio che mi sembra scontato, vista la giurisprudenza costituzionale, ma il ricorso incidentale della Dc che, da quanto ho potuto leggere sulla stampa, ha forti possibilità di essere accolto. Il Consiglio commise un grave errore, in tutte le sue componenti, allorquando legiferò in sede di vacatio legislativa: c'era l'impugnativa del Governo, è vero, ma a quel punto non bisognava fare niente. Nell'attesa di conoscere ciò che deciderà la Consulta, come Ncd continueremo a collaborare in sede programmatica, non certo inseguendo inciuci che non ci appartengono e che non ci converrebbero. Da Viscomi attendiamo risposte sulle proposte che gli abbiamo inviato in materia di personale. Speriamo che le nostre proposte, peraltro vagliate da un giuslavorista di notevole valore, possano essere accettate, perché - spiega Gentile - abbiamo a cuore le sorti della Calabria, a prescindere da ogni polemica".

 

Riforma Statuto regionale, Orsomarso provoca Ncd: "Firmi richiesta del referendum"

"Tra gli strumenti democratici per poter contrastare una riforma, quella dello Statuto voluta dal presidente Oliverio, è previsto il referendum". Lo dichiara in una nota diffusa in giornata Fausto Orsomarso, consigliere regionale iscritto al Gruppo Misto. "Un referendum - precisa - che interroghi i calabresi se tale riforma, nello specifico vale il passaggio da 6 a 7 del numero degli assessori con la possibilità di farli tutti esterni, sia necessaria e utile alla Calabria. Secondo noi della minoranza, avendo osservato l'azione di governo di questi primi sette mesi, questa riforma è utile soltanto al Pd e agli equilibri della sua maggioranza che, nonostante il numero ridotto dei consiglieri, vive una stagione di forti contrapposizioni tra correnti e di ambizioni personali ormai sotto gli occhi di tutti. Finanche Oliverio ha parlato nei giorni scorsi di " una guerra di potere nel PD". La battaglia referendaria, ripeto unico strumento democratico per opporci a questa riforma che non condividiamo, coincide purtroppo con le vicende legate alla questione dei rimborsi, ma non per questo può essere derubricata come inutile. Mi sento di ribadire che il nostro richiamo ad Oliverio è sempre sul piano politico e sull'opportunità che lo stesso aveva ed ha di nominare tre esterni capaci e scegliere tra tre suoi della maggioranza tra cui troverà di sicuro nuove e valide esperienze". "Promette da novembre Giunte della provvidenza - ricorda Orsomarso -  ma è ancora imbrigliato nelle guerre intestine al Pd. Ci sono quindi due opzioni. La prima che finalmente il centrosinistra decida di governare e che Oliverio nomini al più presto una Giunta su cui misurarsi con l'opposizione che ancora una volta ha dato dimostrazione di non essere all'altezza del delicato compito che ci compete. La seconda, non alimentata con lo sciacallaggio tipico della doppia morale del Pd quando si parla di vicende giudiziarie, è quella di certificare l'incapacità e il fallimento politico di questa esperienza ridando la parola agli elettori. Un primo appello quindi ad Oliverio a rinunciare a questa riforma e ad operare con lo Statuto esistente che gli garantisce le adeguate prerogative per comporre subito un Giunta con 6 assessori. Allo stesso Oliverio, se deciderà di continuare, chiedo anche di promuovere al più presto una riunione con tutti i capigruppo consiliari per delucidarci sui tempi e modi con cui vuole procedere celermente per intervenire sulle questioni più urgenti che interessano la Calabria e che non possono più attendere. Un secondo appello mi sento di farlo ai colleghi del Nuovo Centrodestra". "Avendo assistito in questi mesi alla posizione politica, non condivisibile, di continue aperture al presidente Oliverio rimaste puntualmente inascoltate dallo stesso, oggi il Nuovo Centrodestra - è il ragionamento del consigliere Orsomarso - ha l'opportunità di non apparire come sostegno esterno ad una maggioranza di centrosinistra e, se lo condivide, come apparso in diverse dichiarazioni, può decidere di firmare insieme a noi (siamo in 6 pronti a depositare presso il Consiglio le nostre firme) la richiesta di referendum".

Voto di scambio politico-mafioso: chiesti 3 anni per senatore Aiello

Tre anni di reclusione a carico del senatore del Nuovo Centrodestra, Piero Aiello: è questa la richiesta formulata dal pubblico ministero Elio Romano al giudice delle indagini preliminari del Tribunale di Catanzaro, Giuseppe Perri, nell'ambito del processo che si sta celebrando con rito abbreviato a seguito dell'operazione denominata "Perseo". Imputato per il reato di voto di scambio, l'ex assessore regionale è difeso dall'avvocato Nunzio Raimondi il quale ha sollecitato che il suo assistito sia assolto perché il fatto non sussiste.  La prossima udienza è fissata per il prossimo 26 ottobre. I magistrati del Tribunale della Libertà del capoluogo hanno respinto in due diverse circostanze l'istanza avente ad oggetto un provvedimento restrittivo nei confronti di Aiello. Sulla base di quanto ricostruito dalla Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro, l'attuale senatore durante la campagna elettorale delle Regionali di cinque anni addietro, a cui partecipò con la lista del PdL, si sarebbe rivolto a Giuseppe Giampà e Saverio Cappello, presunti esponenti di spicco del clan lametino Giampà, al fine di raccogliere preferenze. 

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