“La Calabria non è la Calabria”, o meglio non è la regione tratteggiata da viaggiatori, scrittori, giornalisti ed intellettuali malevoli, superficiali, talvolta addirittura ignoranti. Nel volume edito da Città del Sole, Giuseppe Fiorenza indaga l’origine dei tanti luoghi comuni e dei pregiudizi che hanno plasmato l’immagine della Calabria a tal punto che i calabresi stessi hanno finito, forse, per credere di essere così come sono stati rappresentati dai “forestieri”. I commenti, le opinioni e le relazioni degli “stranieri” che, a partire dai tempi di Lope de Vega, hanno costruito il cliché del calabrese capace delle più bieche turpitudini, hanno “contribuito a creare una realtà […]manipolata ad arte, fino a dare una fotografia stereotipata della regione che, almeno dagli anni Ottanta in poi, ha costituito la base per costruire e diffondere una odiosa e denigratoria idea verso i calabresi, senza operare distinzione alcuna e senza inserire il discorso nel giusto contesto ma assolutizzando una realtà complessa e articolata?”. Eppure, accanto agli autori di una pubblicistica poco indulgente nei confronti della Calabria e dei suoi abitanti, ci sono uomini straordinari che, per l’estrema punta dello Stivale, hanno nutrito un amore viscerale, tanto da salvarne le vestigia storiche (Paolo Orsi, veneto), le lingue regionali (Gerhard Rholfs, tedesco), creare scuole e istituti per l’infanzia (Giuseppe Isnardi ligure e Umberto Zanotti Bianco piemontese). Uomini che sono riusciti a cogliere “sfumature che altri, “vuoi per ignoranza, vuoi per indolenza, vuoi per mancanza di confronto vuoi per malafede, a malapena poteva[no] scorgere”. Del resto, come ha scritto Isnardi “In certi italiani e più ancora negli stranieri, esiste una ingiusta offensiva diffidenza per la taciturna fierezza di quell’umile gente, per certi atteggiamenti che paiono di malevolenza e che sono invece effetto di povertà, di fatica mal rimunerata, di stenti, di speranze deluse, spesso di debolezza organica cagionata dalla malaria. I viaggiatori costieri frettolosi e difficoltosi non escono da questo stato d’incomprensione e di ottusità e contribuiscono soltanto a diffonderlo, magari con libri troppo ingiustamente fortunati. Bisogna addentrarsi nella Calabria, percorrerne strade e sentieri, vederla nelle sue parti più alte e più lontane, per conoscerne bene, insieme col più caratteristico paesaggio, l’anima delle popolazioni”. Muovendo dall’intuizione di Isnardi, Fiorenza è andato alla ricerca dei resoconti redatti “Non solo [da] viaggiatori ma anche militari, artisti, letterati, filosofi, uomini di potere, giornalisti e individui di varia umanità. Così, “dato per scontato che due milioni di calabresi (è la popolazione della regione) non possono essere tutti mafiosi”, l’autore ha cercato di capire quanto pesi sull’identità dei calabresi “la contaminazione, chiamiamola così, proveniente dal campo dell’illecito e/o del pregiudizio” e quanto abbia contribuito e contribuisca tuttora “il punto di vista extraregionale a creare questa identità”. Il volume si propone, infine, di capire se i calabresi s’identificano nell’immagine costruita dal pregiudizio altrui e se tale immagine sia stata determinata “dall’assenza di autocritica e/o di autoironia nei calabresi”. Un dubbio cui “La Calabria non è la Calabria” cerca di trovare una risposta.
Giuseppe Fiorenza, è nato a Pazzano in provincia di Reggio Calabria, ma vive a Torino. Ha pubblicato i romanzi La terra senza dio, Roma 1995, Io t’ho amato sempre non t’ho amato mai, Torino 2007, Un viaggio lungo 35 anni 11 mesi 29 giorni, Torino 2010, dal quale è tratta la sceneggiatura I treni del Sole che ha ottenuto una menzione speciale al Premio Solinas, e Il paese del malocchio, Cosenza 2011, Fiele, Rossano 2014. Ha fondato il “Centro Barlaam, Biblioteca delle Letterature Mediterranee”.