La grande fuga, in 13 anni emigrati 2 milioni d'italiani
Dal 2006 al 2019 due milioni di italiani hanno scelto di andare a vivere in un altro Paese, in 13 anni il numero degli iscritti all’Anagrafe degli italiani residenti all’estero (Aire) è aumentato del 70,2%. Il numero degli iscritti al registro è passato da 3,1 milioni a 5,3 milioni. Lo spopolamento maggiore lo sta subendo il Sud dell’Italia, da dove è partito il 48,9% degli iscritti al registro anagrafico.
Questi i dati forniti dalla Fondazione Migrantes che ha presentato a Roma la 14a edizione del rapporto ‘Italiani nel mondo’. Se da un lato le cronache ci raccontano dei continui sbarchi di immigrati provenienti dall’Africa o dalla rotta balcanica o dalla Turchia, dall’altra continua il lento spopolamento di italiani che vanno via spesso per non tornare più.Italia quindi terra di approdo, ma forse ancor più terra di partenza verso altri paesi.
A partire non sono principalmente i pensionati in cerca di Paesi economicamente più sostenibili dove godersi la vecchiaia, a partire sono le forze fresche.Partono i giovani e le giovani con una laurea in tasca, ben preparati ad affrontare il mercato del lavoro e a rispondere alle esigenze delle aziende, lì dove la domanda c’è.
Una vera e propria emergenza di italiani altamente qualificati che vanno all’estero. Una conferma in somma, dopo il recente rapporto della fondazione Leone Moressa che metteva in evidenza come l’Italia ha perso 250mila giovani negli ultimi 10 anni.
La loro perdita è stata calcolata anche in termini economici: -16 miliardi di euro di Pil. Solo nel 2019 si sono iscritte all’Aire 128mila persone, esse provengono da 107 province e risiedono in ben 195 destinazioni mondiali. Il 71,2% resta in Europa, un cospicuo 21,5% vola in America, di cui il 14,2% in America Latina.Il Regno Unito resta la meta preferita nonostante la Brexit, anzi, quest’anno è partito l’11,1% in più del totale rispetto al 2018. Segue la Germania e quindi la Francia, quarta meta il Brasile, quinta la Svizzera e sesta meta preferita dagli italiani che espatriano la Spagna.
Emblematico è il racconto della giovane veterinaria salentina Diana D'Agata che oggi guadagna oltre 40mila euro l’anno dopo aver operato la scelta di lasciare il Sud e l’Italia. In Inghilterra, la UK Food Standards Agency, organismo che si occupa della sicurezza alimentare, le ha affidato l’incarico di veterinario ufficiale a 25 mila pound all’anno, quasi 32mila euro. Ma poi ha deciso di cambiare e oggi lavora in una delle più prestigiose cliniche inglesi, nella Myerscough Veterinary Group. La sua vita è cambiata quando ha deciso di prendere un aereo e volare in terra di Albione alla ricerca di un lavoro vero e di uno stipendio commisurato al suo grado di preparazione, che le permettesse di emanciparsi dall’umiliante stato di dipendenza economica verso i suoi genitori. Diana avrebbe voluto restare nella sua terra, ma si è arresa dopo avere lottato a lungo e inutilmente per un posto di lavoro. Alla fine ha dovuto emigrare, seguendo strade già tracciate da tanti altri ragazzi italiani che prima di lei avevano compreso quanto poco spendibile fosse una laurea in patria. «Lavorare per cinque euro al giorno con una laurea in Medicina veterinaria è stata un’esperienza che ha demolito la mia dignità – confessa Diana D’Agata – e perciò, anche se con la morte nel cuore, ho lasciato il Salento e la mia famiglia per trasferirmi in Inghilterra dove ho ritrovato sorriso e autostima».Il Regno Unito,evidenzia Giovanni D'Agata, presidente dello “Sportello dei Diritti”, continua ad assorbire intelligenze che l’Italia forma a sue spese nelle proprie università. Non è un caso che la Gran Bretagna sia diventata la terra promessa degli italiani che decidono di lasciare il proprio Paese. Nel 2018 i nostri connazionali occupavano il secondo posto, alle spalle dei polacchi, tra gli stranieri giunti in Inghilterra. E il loro numero aveva subito un incremento del 37 per cento rispetto all’anno precedente. «La nostalgia di casa è tanta, ma il lavoro ti prende e non ci pensi. Qui c’è rispetto per le professionalità e lo Stato ti è sempre accanto – racconta ancora Diana D’Agata -. Mi hanno persino assegnato un tutor per la guida a sinistra. Lo voglio dire ad alta voce e spero che il mio messaggio possa servire ad altri ragazzi italiani delusi, come me, da un’Italia poco benevola con le nuove generazioni. Pur non lavorando, ho dovuto versare gli oneri dovuti da tutti coloro i quali sono iscritti al nostro ordine professionale. Credo che questa sia una grave forma di ingiustizia verso chi, malgrado la disoccupazione, è comunque costretto a sostenere i costi di un apparato che non ti dà nulla in cambio». Diana D’Agata ha dovuto prima imparare la lingua inglese attraverso corsi intensivi, per poi inserirsi nel mondo del lavoro: «Non è stato facile, ma ci sono riuscita con sacrificio e dedizione. Ora sono molto soddisfatta di me stessa e di quello che sto facendo. Dopo tutto un giovane laureato, come me, vuole solo iniziare a lavorare per potersi costruire un avvenire e magari una famiglia. Ma in Italia, tutto questo, è diventato un miraggio per tanti ragazzi». Burnley, nel Lancashire, è diventata la nuova casa di Diana che ora ha anche un marito inglese Karl Atkinson, e un bellissimo bambino, Matteo Francis. Il suo Salento è lontano, ma con tre ore d’aereo, di tanto in tanto, ci ritorna. Per una vacanza.
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