Renzi scappa da Reggio: gli spari sopra sono per noi
Un paio di auto celate agli sguardi dei sacri crismi democratici: una foto che, per valore simbolico, rende l'idea meglio di qualsiasi riflessione. Da una parte, quella che si affaccia sull'ingresso del Museo, centinaia di persone armate di fischietti e rabbia, di bandiere e malcontento, dall'altra, quella che si nasconde davanti ad una porta laterale, Matteo Renzi e il suo codazzo già sgattaiolati nelle sale rimesse a nuovo. Un paio di decine di metri bastano e avanzano per comprendere le differenze esistenti tra le categorie dell'orgoglio e della vigliaccheria, fra dignità e paura, genuinità e falsità. La vita quotidiana, con i suoi accidenti, lì ad occupare le barricate della partecipazione metaforicamente erette all'esterno; la mistificazione della propaganda a spadroneggiare all'interno di una struttura che, riaperta nella sua interezza, avrebbe dovuto suggellare un giorno festoso per Reggio Calabria. Così non è stato, troppo scarso il livello di alfabetizzazione politica dei rappresentanti locali e nazionali che hanno affollato la sala in cui il presidente del Consiglio ha firmato il Patto per la Calabria. Già nelle ore precedenti l'evento, era apparso chiaro che il premier ed i suoi appiattiti "professionisti indigeni dell'inchino" non sarebbero stati accolti da grida di giubilo. Proprio perché la contestazione era attesa, invece di blindarsi dentro le quattro mura con un paio di ministri e la folla di imbucati, da Anna Rita Leonardi in su, il capo del Governo ed i suoi lacchè avrebbero dovuto, se armati di personalità e fierezza, porsi faccia a faccia, occhi negli occhi, con il popolo. Un tentativo, che ha abbondantemente superato i limiti del patetico, è stato compiuto dal sindaco Giuseppe Falcomatà, ma gli esiti, come era scontato che fosse, sono stati disastrosi. L'ennesima perla di una catena ininterrotta di "vorrei ma non posso" che il Primo Cittadino sta inanellando da quando si è infilato nel "tunnel degli orrori" della gestione di Reggio Calabria. La firma del Patto per la Calabria, stretto tra Renzi ed il presidente della Regione, Mario Oliverio (altra comparsa fin qui impalpabile per i calabresi), e quella per la Città Metropolitana sono così diventati l'emblema di una verbosità vuota, di un decadimento senza freni nell'abisso del nulla. La sconfitta di oggi non sarà esente da conseguenze: l'immagine di un gruppetto di mediocri oligarchi che scappa, inseguito da quegli stessi esseri umani in carne ed ossa davanti ai quali si prostrano per strappare la miseria di un voto durante una campagna elettorale qualsiasi fa di ognuno dei rappresentanti presenti dentro quel Museo un vile e, già solo per questo, immeritevole di candidatura alla gestione del "bene comune". Nulla è peggio dell'arroganza che si traveste di squallore. Quando a produrre velleità in serie sono politici senza bussola in grado di indicare loro la navigazione il risultato non può che essere la catastrofe in un pianeta disabitato dalla democrazia.
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