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Infocontact, Slc Cgil: "I lavoratori non si piegano al ricatto"

"Il risultato del voto sull’accordo di Infocontact  riflette perfettamente la natura violenta dello strappo avvenuto. Su 348  aventi diritto  107 persone non hanno partecipato al voto (il 31%) e dei 241 partecipanti, 148 (il 42% degli aventi diritto) hanno votato favorevolmente mentre 89 (il 27%) hanno espresso un voto contrario.” Così annuncia una nota di Slc Cgil nazionale. “Fra non voto e voto contrario – spiega il sindacato - è evidente che 196  lavoratrici e lavoratori della sede di Rende (il 56%) hanno chiaramente preso le distanze da questo ricatto occupazionale. Questo aprirà la strada ad un contenzioso imprevedibile che si poteva e si doveva evitare. Ora gli autori di tutto questo farebbero bene a riflettere. Come Slc Cgil, nel ribadire la nostra netta contrarietà all’accordo ed indisponibilità a sottoscriverlo, coltiviamo ancora la speranza che chi deve ragionare lo faccia e si riapra il confronto. In caso contrario – conclude Slc Cgil - rimarremo al fianco di tutte quelle lavoratrici e quei lavoratori che vorranno proseguire in ogni sede la lotta per una soluzione giusta”.

La ‘ndrangheta che cambia: dalle armi ai centri commerciali

I tentacoli sono sempre più lunghi e possenti. Arrivano in ogni dove, abbrancano ogni settore. Tappano troppe bocche, soffocano tante speranze. Eppure le operazioni delle forze dell’ordine si moltiplicano, gli arresti non si contano. L’ultima settimana è stata quasi uno scorrere di fotogrammi che descrivono che cosa è oggi la ‘ndrangheta. Dallo scacco ai Piromalli di Gioia Tauro ai duri colpi alla cosca degli zingari di Cassano allo Jonio gli inquirenti hanno svelato interessi e connubi, affari illeciti e rapporti inquinati. Lo si sapeva, così è semplicemente più chiaro e tangibile. La ‘ndrangheta non si limita a minacciare e sparare, ma viaggia, progetta e investe. In Calabria come in ogni angolo del globo. S’infiltra e contamina, offusca e corrompe, si riunisce, decide e vota. Aleggia sui centri commerciali, compra e vende cocaina, eroina e marijuana, predomina nei traffici di armi e nei pericoli per la sicurezza nazionale vede occasioni di profitto. Intimidisce gli amministratori, manda messaggi sinistri alle vedove che vorrebbero gridare il loro dolore, s’insinua nei lavori pubblici. A volte con la veste elegante dell’imprenditore, altre con il passamontagna e la benzina per incendiare gli embrioni dello sviluppo. Si manifesta nei fatti materiali come nelle subculture che ogni giorno si nutrono di omertà e prevaricazione. È un fenomeno che va studiato a fondo per poter essere compreso e combattuto. Perché si evolve continuamente, mutando non solo nelle forme e nelle attività, ma anche nei riti. Nei giorni scorsi “Il fatto quotidiano” ha raccontato il battesimo di ‘ndrangheta ricevuto da Luciano Nocera, finito dietro le sbarre con l’accusa di omicidio. La sua affiliazione  è avvenuta nel carcere di Como nel 2004: “da sempre – ha spiegato Nocera ai magistrati dell’antimafia milanese – sono stato vicino a gente affiliata, ero un contrasto onorato. Prima mi diedero lo sgarro e poi la Santa”. In particolare, “per il conferimento della Santa, Vona mi fece una croce sulla schiena e bevve il sangue che uscì”. Ci sono, dunque, procedure e regole interne, soprattutto c’è una capacità di penetrare nella società con le chiavi del bisogno e della disoccupazione, con quelle della sete di denaro facile  e del desiderio di potere. Le Istituzioni sembrano carenti di mezzi e di uomini in questa lotta contro un male che parte dall’anima; talvolta sono indebolite perché quel male ce l’hanno dentro.  E non basta sciogliere gli Enti per bonificarli perché questo cancro è capace di infettare la burocrazia oltre che la politica. La guerra per sconfiggerlo parte dalla quotidianità, dalle piccole verità, dal coraggio di pensare alle generazioni del futuro e non unicamente a se stessi. E prima di cercare di cambiare gli altri, occorre guardarsi allo specchio e riflettere sulle proprie azioni.

A spasso fra i beni confiscati alla mafia: l'ultima 'fatica' del Parto delle Nuvole pesanti

Talvolta le espressioni artistiche riescono a trasmettere messaggi importanti più efficacemente rispetto ai mezzi tradizionali. Perchè ogni forma di arte incarna la passione e penetra nel cuore, nell’anima e nel cervello delle persone. Può accadere così che la musica diventi strumento di denuncia sociale, di presa di coscienza e di rinascita civile. Il Parto delle Nuvole pesanti ha sempre guardato con attenzione ai temi sociali, offrendo fra le note toccanti spaccati di realtà. L’ultima ‘fatica’  è “Terre di Musica”, un progetto musicale e culturale ideato dal leader del Parto, Salvatore De Siena, e concretizzato grazie ad un tour biennale con la collaborazione di Arci e Libera. Si tratta di “un viaggio a tappe da Corleone a Trapani, dalla Piana di Gioia Tauro ad Isola Capo Rizzuto, da Mesagne a Cerignola, da Casal di Principe a Castel Volturno, fino a Roma, Bologna, Torino e Milano, per documentare l’esperienza dei beni confiscati, raccontare le storie delle tante persone, spesso giovani, che ci lavorano tra mille difficoltà, intimidazioni e vandalismi, e far comprendere che i beni confiscati non rappresentano solo un valore simbolico, ma anche una risorsa, un modello di sviluppo economico e sociale alternativo”. I frutti di questo viaggio sono un libro ed un documentario – che dal 21 marzo saranno in libreria – che riepilogano i tratti salienti delle esperienze dei protagonisti e svelano i dettagli concernenti i beni confiscati alla mafia. L’idea di fondo si basa sulla convinzione secondo cui “la legalità possa svilupparsi a partire dalle piccole azioni e che la musica, il cinema, la letteratura siano linguaggi capaci di arrivare alla gente con maggiore facilità e immediatezza”. 

Call center, è quasi game over

SERRA SAN BRUNO - Arrivano segnali sempre più preoccupanti da Roma per i lavoratori del call center. Da un interlocuzione con esponenti della Cgil regionale, sono emersi elementi tutt’altro che confortanti. La trattativa al Mise è stata separata in due tronconi: quella concernente il ramo di Rende e quella riguardante il ramo lametino, che è quello che interessa i lavoratori di via Catanzaro. Sul primo la partita è già chiusa: l’acquirente non ha spostato il tiro decidendo di non dare spazio a sedi periferiche. Sul secondo la trattativa non è finita e la Abramo Customer Care sta operando una riflessione circa la riduzione degli orari di lavoro e, a meno di colpi di scena, l’epilogo (previsto per domani) sarà simile con il blocco delle attività delle sedi di Serra e Stefanaconi. C’è un elemento che, però, differenzia i casi e che costituisce una fioca fiammella di speranza. Si tratta della produttività, fattore che presenta dati assai diversi a seconda delle realtà e che per quanto attiene la sede posta sulla cittadina della Certosa  risulta poter contare su picchi ampiamente positivi. Ma, dai pensieri di chi sta seguendo il Tavolo, non pare essere sufficiente a giustificare una scelta diversa rispetto a quella effettuata da Comdata. Sostanzialmente, si teme il peggio, le cui sembianze sono quelle della perdita di posti lavoro essenziali per un’economia soffocata come quella del Vibonese.

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