Le fiere ieri e oggi: evoluzione e significato storico-sociale
Si potrebbe dire che la civiltà e l’esistenza stessa delle città deriva dalle fiere, luogo e momenti di scambio di merci e incontro di persone. Le poleis greche avevano al centro l’agorà, parola che significa raduno; gli insediamenti romani erano sede delle Nundinae, raduno e fiera ogni otto giorni, e occasione di affari commerciali e operazioni politiche e spettacoli e svaghi. Nella Tabola bronzea del senatusconsultum de Bacchanalibus del 186 a.C., ritrovata a Tiriolo nel 1640 (o '38?) è chiaramente disposto che il decreto venga pubblicato per tre Nundinae di seguito, affinché tutti lo possano leggere: se è vero che la legge non ammette ignoranza (ignorantia legis non excusat), è altrettanto vero che le leggi devono essere portate a conoscenza. A tutto questo e altro servivano le fiere. Federico II (1198-1250) istituì sette grandi fiere del Regno di Sicilia; per la Calabria, quella di Cosenza, che ancora si tiene. Se ne svolgevano molte altre in luoghi di facile accesso, e rimangono interessanti resti archeologici di stabilimenti commerciali di muratura, con stanze prese a nolo dai mercanti. Segnaliamo quello di Mesoraca; quello di Isola; quello di Cirò; e la grande “Fera e santu Janni” (San Giovanni Minagò o Monaco) di Santa Severina. Le fiere erano occasione di secolari liti giurisdizionali, se dipendessero dal potere laico, Stato o feudatari, o dal clero. L’ordine pubblico era garantito dal mastrogiurato. Ogni paese aveva la sua, secondo un turno scandito dalle feste dei Patroni. Gli ambulanti passavano di fiera in fiera: nel reggino, con una curiosissima espressione arabo-greca, erano detti “baziarioti”. Passava così l’estate, fino alla festa della Madonna della Luce, donde il motto “si dissaru li missi a Palermiti; non si ‘nda dinnu chiù missi cantati”, evidentemente nato prima di feste di settembre. Nel 1899 viene istituita la Fiera di luglio a Soverato, che si tiene tuttora. Una singolarità soveratese è la Fiera di Pasqua, molto anticipata rispetto all’estate, e che fino a tre decenni fa attraeva da tutta la Calabria per il mercato degli animali da reddito. Si chiama della Galilea, per l’espressione evangelica del Risorto: “Vi precederò in Galilea”. Anche l’antica torre d’avvistamento prese il nome di Galilea per la sosta tradizionale delle statue “portate a Galilea”, quando non c’era ancora quasi nulla sul mare: forse memoria di antichissimi insediamenti grecoromani, quelli che chiamiamo Poliporto? Che si faceva, alle fiere? Si festeggiavano le ricorrenze religiose; si scambiavano prodotti, più baratto che compravendita in denaro; si comprava quello che di solito non c’era in paese (“jeve vennendu spingule francese”); si guardavano le ragazze, e si combinavano i matrimoni con i forestieri, che, in genere, si trasferivano nel paese della moglie; s’incontravano monaci, zingari, “magare”, i biscazzieri e i loro manutengoli, gli “zaraffi”; e personaggi curiosi come “u sampaularu”, che vendeva antidoti contro i serpenti, e ne mostrava alcuni in una cassettina appesa al collo; e “u vanderi” che pubblicizzava prodotti e annunziava bandi e decreti. Avvenivano anche regolamenti di conti, ma ne parliamo un’altra volta. Per ora, tutti alla fiera di Soverato.
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