Serra: San Bruno e la celebrazione del lunedì di Pentecoste
Numerosa e composta, anche quest’anno, la partecipazione popolare alla tradizionale processione del lunedì successivo alla Pentecoste, nel corso della quale i devoti di san Bruno accompagnano la statua del Santo, dalla Certosa, al Santuario di Santa Maria del bosco.
La tradizionale processione del lunedì successivo alla Pentecoste trova origine in un episodio, storicamente ben collocabile.
Dopo la sua fondazione, nel 1091, la Certosa, nel 1193, passò ai cistercensi. Nel 1505, quando il ricordo era ormai labile, al disotto della chiesa di Santa Maria vennero rinvenute le spoglie di Lanuino e del fondatore dell’ordine cartusiano.
In seguito al ritrovamento, che indusse nel 1514, papa Leone X a santificare Bruno ed a richiamare i certosini alla guida della Certosa, il lunedì di Pentecoste del 1505 centinaia di fedeli diedero origine ad un corteo che seguì la traslazione delle reliquie, dalla chiesa di Santa Maria, alla Certosa.
Nella ricorrenza di quell’evento, ogni anno, i fedeli, seguendo il percorso inverso, accompagnano il simulacro di san Bruno nei luoghi in cui la prima comunità certosina, ormai mille anni or sono, elevò il suo eremo.
Lungo il tragitto i fedeli lanciano confetti che, prima di cadere sul selciato, si infrangono contro la teca in vetro predisposta a difesa del prezioso busto. Anticamente, al fine di placare la pioggia, i confetti venivano raccolti, per poi essere gettati dalle porte o dalle finestre durante i temporali.
Tra i fedeli, seppur in misura ridotta rispetto al passato, fanno ancora capolino le testoline bianche dei “monachiedi”, ovvero i bambini vestiti con il tipico saio certosino.
Giunti al cospetto del lago, nelle cui acque San Bruno s’immergeva in penitenza, viene impartita la benedizione che precede l’ingresso della statua in chiesa.
Dopo una notte di veglia, una nuova processione segue il percorso inverso.
Nel corso dei secoli la tradizione è radicalmente mutata. Un tempo, infatti, i fedeli raccoglievano piccoli rami di abete che, una volta bagnati con l’acqua lacustre, venivano utilizzati a protezione delle abitazioni.
Così come sono cessati del tutto gli esorcismi agli “spirati”, ovvero gli ossessi, che al termine della liturgia venivano immersi nello specchio d’acqua per essere liberati. Un rito ancora vivo negli anni Sessanta, al punto da indurre, l’antropologo Ernesto De Martino a definire il laghetto, il “Gange delle Serre”.
Tra le tradizione, ormai desuete ve ne era una in cui al sacro si sostituiva rapidamente il profano. Fino a qualche decennio addietro, infatti, al termine della cerimonia i fedeli popolavano le posticce osterie nelle quali la trippa e le teste di capra in umido rappresentavano piatti forti sui quali versare fiumi di vino, sovente origine di assai poco caritatevoli dispute.
Nonostante molte tradizioni siano venute meno ed a dispetto di un tempo in cui i ritmi vorticosi ed ossessivi sembrano derubricare la religione ad un fatto puramente personale, quando non addirittura esteriore, la devozione verso il santo di Colonia conosce ancora un naturale afflato; anche perché, come recita una popolare giaculatoria, per ogni serresi san Bruno rappresenta ancora “lu rifugio alli [… ]guai”.
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