Serra: altri due casi di coronavirus, ora sono 8
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Venerdì 2 giugno 1916, per i tre mannesi di Serra San Bruno, Salvatore Albano 40 anni, Pasquale Ruggero Figliuzzi di 56 e Giuseppe Maria De Lorenzo di 57, inizia una giornata come tante. Come tutte quelle passate a lavoro, che, in estate, incominciano all’alba e finiscono col crepuscolo. Sui monti seghettati delle Serre, poi, il tramonto è ancora più bello: il sole piega la testa tra le spalle dell’orizzonte e sembra quasi voler dimenticare la sua ombra sul verde del mare. In contrada “Niviere”, dove lavorano i tre, non si taglia solo la legna ne si squadrano soltanto le travi, ci sono anche delle enormi buche piene di neve accatastata durante l’inverno che, d’estate, fungono da riserve di ghiaccio per i bar del comprensorio, e soprattutto per quelli della costa che lo utilizzano per produrre granite e gelati. Quella mattina di venerdì le viscere della montagna sono già calde, il sottobosco popolato e nulla lascia presagire l’enorme sciagura che di li a poco si sarebbe abbattuta sui tre boscaioli. Poco prima di mezzogiorno il cielo è in tumulto, i fulmini inizialmente lontani si fanno sempre più minacciosi e incominciano a squarciare l’aria. Una pioggia di spilli fitti inizia improvvisamente a cadere dal cielo e la terra diventa scivolosa. Con i vestiti incollati i tre boscaioli cercano riparo sotto un abete ma un fulmine colpisce l’albero e i tre vengono investiti dalla scarica elettrica che si abbatte violentemente sui poveretti. Salvatore e Giuseppe Maria non hanno scampo, muoiono sul colpo, mentre Ruggiero, ancora in vita, spira più tardi in contrada “Siettu di li chianchi”, sopra Rosarella. I tre mannesi, due morti e uno in fin di vita, vengono trovati nel tardo pomeriggio dai familiari che, non vedendoli rientrare dal lavoro e preoccupati per il forte temporale che si era abbattuto sulla montagna, si recano sul luogo a cercarli. Con il divulgarsi della notizia, molte persone del paese si portano sul luogo della tragedia e adagiati i corpi delle vittime su delle rudimentali barelle costruite con pezzi di legno e brandelli di vestiti, incominciano la processione per la discesa a valle dei “Tre allampati”. Nei punti dove i soccorritori sostarono, facendo varie tappe per riposarsi, in memoria di quell’infausto evento, successivamente vennero poste delle croci, ancora esistenti fino a pochi anni fa. E proprio sul fusto di quell’abete tre esperti di montagna, hanno installato una iscrizione che ricorda l’accaduto a quanti, nel percorrere i sentieri montani, si dovessero imbattere in un albero recante tre croci. Il naturalista Pino Pisani, insieme a Nicola Macrì, Antonio Valente e Francesco Vavalà, hanno deciso che fosse giunto il momento di restituire alla memoria un episodio della cronaca locale ormai lontano nel tempo, che narra il sacrificio del lavoro di tre mannesi, personaggi a metà strada tra uomini e figure mitologiche che con ascia in pugno hanno fatto la storia dell’artigianato industriale locale.