Generazione Famiglia contro "la barbarie dell’utero in affitto"

"Gli uteri non si affittano! I figli non si comprano!" è il messaggio sulle locandine affisse in tutta la città dal circolo reggino di Generazione Famiglia per "denunciare - si legge in una nota trasmessa dal portavoce Giorgio Arconte - la barbarie dell’utero in affitto. Secondo alcuni, l’uso del termine 'utero in affitto' sarebbe offensivo e da sostituire con i preferiti 'gestazione per altri' oppure 'maternità surrogata', termini nati per nascondere un atto di compravendita vergognoso condannato anche dall’UE". Recentemente, infatti, il Parlamento europeo - ricorda Arconte - ha approvato un emendamento al Rapporto sui diritti umani che «condanna la pratica della maternità surrogata, che mina la dignità umana della donna, visto che il suo corpo e le sue funzioni riproduttive sono usate come una merce; considera che la pratica della maternità surrogata, che implica lo sfruttamento riproduttivo e l’uso del corpo umano per profitti finanziari o di altro tipo, in particolare il caso delle donne vulnerabili nei Paesi in via di sviluppo, debba esser vietato e trattato come questione di urgenza negli strumenti per i diritti umani». Generalmente sono donne povere e bisognose quelle che si lasciano sfruttare da questo odioso mercato, ma l’utero in affitto è un’arma a doppio taglio, da una parte costringe la donna a fattrice di figli per conto terzi, dall’altra riduce i figli allo stato di merce". L’utero in affitto - incalza il rappresentante di Generazione Famiglia - è una violazione dei diritti umani anche quando non implica lo sfruttamento economico e sociale della donna perché comunque un essere umano viene trattato come merce e non come soggetto di diritto, il figlio. Ultimamente anche in Italia si è acceso il dibattito intorno a questa pratica, addirittura le femministe di SNOQ (Se Non Ora Quando) hanno lanciato un appello contro l’utero in affitto sottoscritto da numerosi intellettuali e gente dello spettacolo. Eppure, c’è chi in Italia vorrebbe legittimare questa pratica attraverso l’approvazione del ddl Cirinnà, la proposta di legge sulle unioni civili. Con l’articolo 5 di questa legge, infatti, è previsto il meccanismo della stepchild adoption, che di fatto renderebbe legittima questo commercio anche in Italia pur praticandolo all’estero. È bene, quindi, che il dibattito su queste tematiche sia sempre il più ampio ed approfondito possibile affinché il Parlamento non assecondi spinte ideologiche da parte di piccoli gruppi". La donna - tuona Giorgio Arconte - non è un oggetto, non è il macchinario di una fabbrica, e il bambino non è un prodotto commerciale, non è un bene di consumo!"

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