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Rifiuti tossico-radioattivi nelle Serre, Codacons: “Stop rinvii, è l’ora di azioni concrete”

“Crediamo sia piuttosto ridicolo continuare a convocare tavoli più o meno tecnici quando il problema è noto da anni”. Vuole vederci chiaro il responsabile del Codacons per l’entroterra vibonese, Antonio Carnovale, in riferimento alla presunta presenza di rifiuti pericolosi sotterrati nei boschi del comprensorio montano che potrebbero costituire il motivo dell’incremento di malattie praticamente incurabili. “Per primi – sottolinea Carnovale - ci siamo occupati della vicenda prelevando le famose ‘carte desecretate’ alla Camera dei Deputati, dalle quali emergeva che già da tempo gli agenti dell'ex Sisde avevano acceso i riflettori su uno strano traffico di rifiuti tossico-radioattivi che sarebbero andati a finire nel sottosuolo delle Serre. Gli analisti dei servizi di intelligence hanno fornito alle Procure competenti particolari, nomi e località. Subito dopo la divulgazione delle notizie sulla desecretazione degli atti, si è appreso dell'esistenza del progetto ‘MiaPi’ teso all'individuazione e alla georeferenziazione di ‘zone sospette’. Tali dati sarebbero confluiti in hard disk a disposizione degli Enti competenti già da due anni. Abbiamo più volte sollecitato Arpacal, attraverso la stampa, dopo averci negato l'accesso agli atti, a rendere note quantomeno le azioni di tutela poste o da porre in essere a tutela della salute dei cittadini, purtroppo non abbiamo capito granché se non che a problemi veri si vuole dare risposta con tavoli nei quali si svolge una riunione per stabilire la data di un'altra riunione. Nel frattempo – rileva l’esponente dell’associazione a tutela dei consumatori - mentre c'erano periodi in cui per l'abete bianco secolare di Rosarella, si sprecavano interrogazioni parlamentari, adesso tutto tace. Speriamo almeno che i rifiuti non siano interrati vicino l'abete, altrimenti anche quelle interrogazioni saranno state vane. Sarebbe, invece, opportuno – conclude - dare risposte con meno tavoli e più azioni concrete, altrimenti la gente continuerà ad ammalarsi senza conoscerne i motivi e senza poter far nulla”.

Il familismo amorale e il sottosviluppo della Calabria

Carenza di infrastrutture, tessuto produttivo asfittico, ‘ndrangheta. Sono le cause che, secondo l’ultimo studio Svimez, determinano e incancreniscono lo stato di arretratezza della Calabria. Ma vi sono motivi, che affondano le loro radici nella storia e nelle consuetudini, che spesso vengono affrontati solo en passant, come se si trattasse di aspetti secondari. E, invece, costituiscono le vere origini del gap socio-economico che separa la realtà in cui viviamo da quelle più avanzate. Da un’attenta analisi delle diverse aree territoriali italiane emerge una correlazione positiva tra  sviluppo economico e senso civico. Le regioni che attualmente presentano i tassi di crescita più elevati sono le stesse in cui le società di mutuo soccorso, le associazioni culturali o qualunque altra organizzazione basata sulla cooperazione sono più diffuse. Nel nostro Sud a prevalere non è mai stata la propensione verso la collaborazione, piuttosto si è diffusa l’idea del “bene limitato” riguardo all’approccio verso le risorse ed ha preso piede la regola del “massimizzare i vantaggi materiali e immediati della famiglia nucleare; supporre che tutti gli altri si comportino allo stesso modo”. Illuminante è la ricerca di Banfield (1976) che si soffermò su alcune “caratteristiche” della società meridionale, con particolare riferimento alla Lucania. Questa esperienza sul campo portò Banfield a considerare il Mezzogiorno come una società di familisti amorali, in cui “nessuno persegue l’interesse del gruppo o della comunità, a meno che ciò non torni a suo vantaggio” e dove “mancherà qualsiasi forma di controllo sull’attività dei pubblici ufficiali” e “sarà molto difficile dare vita e, mantenere in vita, forme di organizzazione”. “In una società di familisti amorali – rilevò - si agirà in violazione della legge ogni qualvolta non vi sia ragione di temere una punizione” e “il familista amorale, quando riveste una carica pubblica, accetterà buste e favorì, se riesce a farlo senza avere noie, ma in ogni caso, che egli lo faccia o no, la società di familisti amorali non ha dubbi sulla sua disonestà”. Inoltre “il familista amorale apprezza i vantaggi che possono derivare alla comunità, solo se egli stesso e si suoi ne abbiano parte diretta”. Da questo quadro emerge la mancanza delle condizioni morali della crescita economica. Anche perché abbinando a queste osservazioni le tesi di Fukuyama si deduce che “un necessario antecedente della fiducia, oltre all’onestà e alla lealtà, è il senso del dovere, ovvero la responsabilità verso il ruolo che si ricopre nella società… dal punto di vista economico questa mancanza di responsabilità (al Sud) è nociva perché determina un’allocazione delle risorse indipendentemente dalla loro produttività (merito), e dunque inefficiente”. In sostanza, se si danno per buone queste considerazioni, si arriva ad affermare che la politica è malata perché, ancora prima, la società è malata. In altre parole, i vertici sono marci perché è marcia la base. Concetto che può apparire provocatorio, ma che – al di là della volontà di riversare sugli altri la responsabilità dei propri fallimenti – dà una spiegazione logica a molte situazioni della vita quotidiana.

La Calabria è la regione più “evitata” dagli imprenditori: i dati Svimez per Provincia

Sempre più giù in ogni classifica relativa a crescita economica, dinamicità, progresso. Sembra proprio notte fonda per la Calabria che, addirittura - secondo i dati illustrati nello studio “L’attrattività percepita di regioni e province del Mezzogiorno per gli investimenti produttivi” di Dario Musolino, pubblicato sull’ultimo numero della Rivista Economica del Mezzogiorno, trimestrale della Svimez diretto da Riccardo Padovani ed edito da Il Mulino – viene percepita dagli industriali come territorio più arretrato di quanto non lo sia veramente. Lo studio – teso a verificare i motivi in base ai quali gli imprenditori scelgano le aree su cui investire – è stato effettuato su un campione di 225 imprese con sede in Italia, di diversi settori merceologici e almeno 20 addetti. La regione più “desiderabile” risulta essere la Lombardia (punteggio di 4,07 su 5), poi ci sono Emilia Romagna (3,92), Veneto (3,86) e Piemonte (3,58). Nel Mezzogiorno, relativamente bene Abruzzo (2,59) e Puglia (2,47). In fondo al tunnel c’è la Calabria (1,73), che fa peggio anche di Sicilia (1,99), Campania (1,98) e Sardegna (1,88). In particolare, nella nostra regione i valori oscillano fra l’1,74 di Reggio Calabria e l’1,72 di Vibo Valentia e Crotone. La Provincia preferita risulta essere quella di Milano (4,07). L’analisi non cambia passando da un settore all’altro, mentre è interessante notare che, secondo i formulari depositati, gli imprenditori meridionali attribuiscono al Mezzogiorno punteggi generalmente più alti rispetto ai loro omologhi settentrionali, forse perchè vivendo al Sud ne conoscono ogni dettaglio. Lo spunto su cui riflettere è offerto da un coefficiente che confronta “il divario percepito dagli imprenditori a livello soggettivo con quello reale certificato ad esempio dal livello del Pil pro-capite nelle varie regioni”. Il divario reale è di 2, quello percepito è di 2,34: questo significa che il Mezzogiorno viene ritenuto più arretrato di quello che è. I motivi della scarsa capacità di attrarre emergono dalle risposte degli imprenditori: sul banco degli imputati ci sono la carenza di infrastrutture (26,4%), la povertà del tessuto produttivo (21,3%) e la criminalità (13%). Sembra incidere meno l’inefficienza della Pubblica Amministrazione (3,5%). Il Sud viene inoltre inteso come una realtà omogenea e, infatti, nello studio viene rilevato che “l’esistenza di tanti, molteplici, Sud, differentemente attrattivi, non è contemplata. In altre parole, per le imprese del Paese gli svantaggi localizzativi nel Mezzogiorno non presentano differenziazioni, diverse gradazioni, territoriali”. “Questa macroregione – viene sottolineato - non è conosciuta a sufficienza nelle sue varie e diverse realtà territoriali”. Le soluzioni prospettate riguardano la messa in campo di azioni “nel trasporto ferroviario, nella portualità, nell’intermodalità e nelle piattaforme logistiche” per rendere l’area più accessibile, oltre che interventi in tema di legalità. Opportune sarebbero infine “strategie di comunicazione e promozione, a livello centrale e locale, che consentano di scardinare la cappa mediatica che oggi tende a mettere tutto il Sud sotto un unico cappello”.

Spadola, Cosimo Damiano Piromalli si candida a sindaco

I movimenti, studiati da tempo, si sono intensificati nelle ultime settimane diventando segnali evidenti: Cosimo Damiano Piromalli è pronto a lanciare il guanto della sfida per conquistare il ruolo di guida della piccola cittadina delle Serre. L’attività politica, messa in campo nell’ultimo periodo, mira a sottolineare quelli che sono i possibili cambiamenti da concretizzare per dare delle pronte ed efficaci risposte alla popolazione: in particolare, l’iniziativa promossa in riferimento agli importi della tassa sui rifiuti sembra rispecchiare questa strategia. Anche la predisposizione della squadra che dovrà sostenere la sua candidatura a sindaco pare in stato avanzato tanto che negli ambienti vicini a Piromalli non si da affatto mistero circa le ambizioni di proporsi come classe dirigente. Resta da vedere chi ci sarà dall’altra parte della barricata alle elezioni amministrative del prossimo anno. Come si ricorderà, nel 2012 Giuseppe Barbara fu costretto a “fabbricarsi in casa” l’avversario che sulla carta era incaricato di contrapporsi: l’operazione fu all’epoca finalizzata ad evitare la corsa solitaria e dunque l’obbligo a superare il quorum del 50% dei votanti. In quell’occasione, Piromalli ottenne 80 preferenze.

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