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Da Scopelliti a Scura: ecco perché per l’ospedale adesso è anche peggio

È stato oggetto di critiche, contestazioni, accuse. Ma leggendo attentamente i documenti prodotti ci si accorge che l’ex presidente della giunta regionale Giuseppe Scopelliti non aveva “eliminato” il nosocomio di Serra San Bruno. Anzi, inserendolo nella tipologia degli “ospedali di montagna”, aveva previsto servizi che, stando agli esiti dell’incontro fra il sindaco Bruno Rosi e l’attuale commissario Massimo Scura, potrebbero scomparire. Proviamo allora a fare un confronto. L’allegato 2, recante il titolo “Il riordino della rete di Emergenza – Urgenza”, del decreto 18/2010 siglato da Scopelliti, prevedeva per “l’ospedale distrettuale di area disagiata” i seguenti punti cardine:

• “un reparto di 20 posti letto di Medicina generale con un proprio organico di medici e infermieri;

• una Chirurgia elettiva che effettua interventi in Day surgery con la possibilità di appoggio nei letti di Medicina (obiettivo massimo di 70% di occupazione dei posti letto per avere disponibilità dei casi imprevisti) per i casi che non possono essere dimessi in giornata; la copertura in pronta disponibilità, per il restante orario, da parte dell’équipe chirurgica garantisce un supporto specifico in casi risolvibili in loco;

• un Pronto soccorso presidiato da un organico medico dedicato all’Emergenza-Urgenza, inquadrato nella disciplina specifica così come prevista dal D.M. 30.01.98 (Medicina e Chirurgia d’Accettazione e d’Urgenza) e, da un punto di vista organizzativo, integrata al DEA di riferimento che garantisce il servizio e l’aggiornamento relativo. È previsto un protocollo che disciplini i trasporti secondari dall’ospedale distrettuale al centro Spoke o Hub”. 

Dunque, uno schema abbastanza semplice ma anche chiaro. Secondo quanto riportato da Rosi nel corso dell’ultimo consiglio comunale, Scura avrebbe ora in mente di trasformare il “San Bruno” in una sorta di Rsa. In pratica, ci sarebbe, secondo questa versione, un sostanziale accorpamento dei reparti di Medicina e Lungodegenza con la costituzione di un unico reparto di 40 posti letto. Non, però, per acuti. Più che una semplice idea sarebbe una concreta tendenza confortata dalla prova documentale. La tabella 42 del decreto 9/2015, firmato da Scura, certifica infatti che “il nuovo ospedale (di Vibo) è maggiore dei posti letto programmati e sostituisce totalmente l’attuale offerta pubblica dell’area interessata”. In altre parole, una volta completato il nuovo ospedale della città capoluogo, non ci sarà spazio per altri posti letto per acuzie sul resto del territorio. E senza posti letto per acuti, possiamo definire ancora un ospedale come tale? Ecco quindi che il presidio di Serra rischia di essere riconvertito in qualcos’altro con appena due righe. Stavolta niente conferenze stampa, convegni aperti al pubblico, slides. E nemmeno clima da guerra civile.

L’ospedale di Serra diventa Rsa? La politica ed il territorio provino a reagire

La parentesi aperta durante il consiglio comunale di oggi ha riacceso l’attenzione su uno dei temi cari a tutti gli abitanti del comprensorio serrese: il destino dell’ospedale “San Bruno”. Sollecitato dal consigliere di minoranza Mirko Tassone, il sindaco Bruno Rosi ha raccontato quanto avvenuto l’11 agosto a Cosenza durante l’incontro con Massimo Scura. Ha sottolineato di aver percepito sensazioni negative con la sostanziale chiusura sull’ipotesi di cancellare la postilla che prevede la cancellazione dei posti letto per acuti di tutto il territorio quando il nuovo ospedale di Vibo sarà completato, con la sperimentazione degli interventi chirurgici programmati solo negli ospedali di montagna cosentini, con la possibilità avanzata dal commissario ad acta della trasformazione del nosocomio in una sorta di Rsa. Soltanto timido è stato il tentativo dell’esponente dell’opposizione Rosanna Federico di evidenziare che quella di Scura è una figura “tecnica”: lo stesso Mirko Tassone ha rilevato che non era il caso di insistere su questa versione visto che Scura è stato nominato da un premier del Pd in una regione governata dal Pd. Ecco allora che Adriano Tassone ha avuto modo di rimpiangere il famoso decreto 18 di Scopelliti, all’epoca fortemente criticato da tutte le fazioni. Considerata la rilevanza della questione, appare utile mettere momentaneamente da parte le strumentalizzazioni determinate dai campanili politici e dedicarsi alla soluzione del problema. È più produttivo fare blocco, pur conservando le rispettive appartenenze, e cercare di far valere i propri diritti. In che modo, forse è meglio deciderlo assieme. Di certo, il sindaco farebbe bene a far convocare un consiglio comunale ad hoc per discutere, in tutta franchezza, della questione, per far conoscere alla cittadinanza tutti i dettagli di quanto ha riferito en passant nel civico consesso odierno, per far comprendere che seguito hanno avuto i dieci rilievi formulati dall’assemblea dei sindaci. La popolazione deve capire quanta considerazione i piani alti hanno di questo territorio, se le rassicurazioni fornite da chi di competenza sono mosse da buona fede o meno. Era stato promesso, ad esempio, che il 7 giugno sarebbero state recepite o comunque valutate le richieste dei sindaci. È stato così o come risposta abbiamo avuto il trasferimento ad altra sede, per un mese, degli infermieri operanti nel presidio serrese? E che dire delle garanzie sulla cancellazione della famigerata postilla? Occorre poi vigilare su un altro aspetto: alcune aree della Calabria paiono prevalere su altre a seconda della provenienza geografica di chi detiene lo scettro del potere. Serve una strategia e idee chiare; diversamente questo territorio, spesso annebbiato dal fumo delle passerelle, soccomberà senza nemmeno aver provato (davvero) a reagire.

 

Comune: la maggioranza approva il bilancio, ma cede nel confronto politico

Pur sotto i colpi incalzanti dei consiglieri di minoranza Mirko Tassone e Rosanna Federico, la maggioranza targata Forza Italia dà il via libera al bilancio di previsione, ultimo rilevante step amministrativo prima delle elezioni della prossima primavera (assenti Nazzareno Salerno, Carmine Franzè, Raffaele Lo Iacono e Giuseppe Raffele). Ma la fatica a reggere il dibattito in aula è davvero tanta. Dopo l’approvazione del verbale della seduta precedente ed il disco verde alla “verifica della quantità e qualità di aree e fabbricati da destinarsi alla residenza, alle attività produttive e terziarie, che potranno essere ceduti in proprietà o in diritto di superficie”, ecco il primo intoppo: il presidente del consiglio Giuseppe De Raffele è costretto a sospendere la seduta dopo la segnalazione della mancanza del numero legale di Mirko Tassone, che si allontana provvisoriamente. Ripresa la discussione con la richiesta dell’opposizione di una relazione politica sul bilancio di previsione, il sindaco Bruno Rosi spiega che “abbiamo cercato di privilegiare le risposte al disagio sociale, le misure contro la crisi, i provvedimenti sul sistema idrico e l’avvio dell’iter per la realizzazione di opere infrastrutturali per 1 milione e mezzo di euro”. Troppo poco per Federico che definisce “striminzito” l’intervento del primo cittadino e contesta soprattutto “la previsione di maggiori entrate”, le “scelte politiche sulle alienazioni”, il destino del mercato coperto, l’aumento delle spese per il contenzioso e l’indicazione della mole di entrate in riferimento al taglio dei boschi. Qui s’inserisce la nota di colore con la battuta (?) di Rosi che afferma: “ti avevo proposto assessore”. Il livello dell’attacco si alza con la sfuriata di Mirko Tassone che bolla il bilancio come “deludente dal punto di vista politico” ed asserisce che “l’aula vuota dà la dimensione della disaffezione dei sostenitori dell’amministrazione”. E ancora sottolinea “l’assenza di programmazione”, la “superficialità sul tentativo di rinegoziare i mutui che avrebbe portato costi aggiuntivi per 600mila euro per la comunità”, “la genericità del Piano triennale delle opere pubbliche” e la tipologia di azione sulla rete idrica poiché sarebbe preferibile “un censimento sulle perdite” piuttosto che concentrarsi  su “nuove captazioni”. Su questo, però, Adriano Tassone chiarisce che si sta già procedendo in tal senso. Mirko Tassone pone poi i riflettori sugli “interventi di carattere sociale” che “i cattivi pensieri” portano ad interpretare come di “carattere elettorale” e critica i criteri di selezione dei voucher in quanto ci sarebbero ampi margini di “discrezionalità”. Le “scelte dissennate”, a suo avviso, riguardano anche il contenzioso dato che la presenza di “liti inevitabili” sarebbe affiancata da “operazioni avventate”, la gestione del servizio di raccolta differenziata (con “percentuali che si attestano al 10%”), le uscite che sono “sottostimate”. Perplessità infine sulla previsione di 600mila euro relativa al taglio dei boschi e sul fatto che “negli ultimi 3 anni abbiamo avuto 3 relazioni sul bilancio operate da 3 tecnici diversi”. Quindi l’approvazione del bilancio di previsione con i voti azzurri, la difficoltà a controbattere, però, è un dato di fatto.

Un impegno morale: riportare a casa i nostri Marò

La credibilità di un sistema passa necessariamente attraverso la sua capacità di regolare i rapporti sia all’interno del territorio nazionale sia con gli altri Stati. Si tratta di un concetto vecchio di secoli, la cui interpretazione traduce il funzionamento della vita collettiva. Garantire il principio di giustizia è un’esigenza imprescindibile: solo in tal modo l’anarchia lascia spazio all’ordine e i cittadini riescono a condurre una normale convivenza. Medesima rilevanza assume la gestione degli impegni, delle trattative, delle controversie con le altre nazioni. Una volta era la guerra a porre fine ai contrasti con effetti spesso devastanti per vinti e vincitori. L’epoca moderna ha poi tracciato l’arte della diplomazia affinchè le problematiche si risolvessero mediante la discussione e l’arrivo ad un punto di sintesi. Ai fini del risultato finale incidono ovviamente i rapporti di forza, il grado di rispetto e la considerazione della controparte, la determinazione e la capacità di trasmettere la propria scala di priorità. Questa premessa può essere utile a contribuire a comprendere la situazione in cui si trovano, ormai da tre anni e mezzo, Massimiliano Latorre e Salvatore Girone. Accusati di aver ucciso due pescatori al largo delle coste del Kerala, i Marò sono intrappolati in un groviglio giuridico-burocratico da cui è difficile uscire, anche per l’approccio, apparentemente remissivo, dei Governi italiani che si sono susseguiti. Eppure esistono le indagini-studio condotte, in maniera indipendente ma coordinata, da Stefano Tronconi, Toni Capuozzo e Luigi Di Stefano che sembrano dimostrare la sostanziale estraneità dei Marò ai fatti contestati. Le ipotesi a corredo dello studio vanno nel senso della prevalenza degli interessi politici ed economici rispetto alla vertenza in sè: se così fosse, non si potrebbe non registrare un arretramento della civiltà stessa. Gli italiani non possono accettare che due loro connazionali siano lasciati in balia del destino, ma ogni uomo di questo pianeta non può consentire che la verità non venga alla luce, che la giustizia ceda il passo ad altri aspetti. Il Governo italiano deve assumere dunque un impegno morale: riconsegnare alle loro famiglie due uomini che - se fossero confermate le analisi di Tronconi, Capuozzo e Di Stefano – avrebbero subito un’assurda privazione di libertà. Va (andava) assicurato un processo fondato su un diritto che pone al centro l’individuo, non certo gli equilibri politici indiani o la conclusione di altri affari. E, in ogni caso, va recuperato il buon nome di una nazione che non può essere impotente rispetto all’esistenza di due suoi figli. E se ai Marò accadesse qualcosa, di chi sarebbe la responsabilità? Sicuramente di chi ha il compito di prendere le decisioni, ma un po’ anche di chi riesce a rimanere indifferente di fronte alla Spada di Damocle che pende sulla testa di due uomini che hanno avuto la sfortuna di essere coinvolti in una vicenda dai contorni non rassicuranti. 

 

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