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Alitalia vola via e i piloti di Palazzo San Giorgio restano a terra

Una farsa, una istituzionale presa in giro, oppure un ulteriore esempio di avventatezza, di preoccupante impreparazione o, altrettanto pericolosa incapacità. A prescindere da quale sia la cornice dentro cui ormai da mesi si sta consumando la querelle attorno al volo che collega, o dovrebbe collegare, la città di Reggio Calabria con l'aeroporto di Milano Linate, il rischio, per l'opinione pubblica confusa e furiosa, è quello di alzare le mani ed arrendersi di fronte all'armata invincibile dell'insipienza. Sia il mese di ottobre che quello di novembre sono stati, come si ricorderà, teatro di roboanti manifestazioni di giubilo da parte di rappresentanti dell'Amministrazione Falcomatà, sindaco in testa, che annunciavano alla cittadinanza in trepida attesa che no, non c'era nulla da temere: quotidianamente sarebbe stato possibile continuare ad andare dalla riva dello Stretto al capoluogo lombardo. Un'operazione di "salvataggio" per la quale era doveroso ringraziare, ci hanno raccomandato, il sollecito impegno profuso dal ministro Graziano Delrio, addirittura da considerare a tutti gli effetti, disse qualcuno, come un "assessore aggiunto" della Giunta Comunale. Davanti a cotanta sicurezza nell'esibire successi amministrativi di cui andare fieri, però, si resta interdetti di fronte a ciò che puntualmente succede a distanza di qualche settimana. L'ultimo caso del genere è esploso proprio in queste ore perché, come ha fatto notare il senatore di Forza Italia, Antonio Caridi, Alitalia ha deciso che dai giorni immediatamente successivi alle tradizionali festività natalizie, nello specifico dall'8 gennaio e fino al 31 marzo, nessun aereo si alzerà fra Milano e l'aeroporto dello Stretto, e viceversa. E' ancora più disarmante il recentissimo'intervento di Federica Roccisano, battagliera assessore regionale che, con una prontezza di spirito non indimenticabile quanto meno per la scelta della tempistica, qualche ora prima aveva pensato bene di scrivere ai vertici di Alitalia per chiedere spiegazioni in merito all'esorbitante costo del biglietto  relativo alla tratta in questione. Un testimonianza palese che nessuno, nelle alte sfere della politica locale, era a conoscenza della cancellazione disposta unilateralmente dalla compagnia aerea. Prescindendo dalle scelte aziendali di una società che prima di tutto bada ai propri conti ed alle proprie convenienze economico-commercaili, è impossibile non prendere coscienza di quanto inconsistente ed insignificante sia il peso dei politici (rectius aspiranti tali) che gestiscono le faccende reggine e calabresi. Una condizione ormai fuori controllo che non lascia sperare per il presente e nemmeno per l'immediato futuro. Comincia, infatti, ad essere piuttosto lungo il filotto di episodi talmente espliciti nella loro interpretazione da rendere impraticabile la coltivazione della speranza che si possa uscire fuori dal guado con gli attuali capi e capetti di Palazzo San Giorgio e della Cittadella Regionale. 

L'antica legge dei Leonardi boys: "A Platì decido io chi parla e chi no"

Non una gran figura, tutt'altro: un episodio imbarazzante che la sempiterna legge del contrappasso ha permesso che avvenisse a favore di telecamera. Anna Rita Leonardi, balzata agli onori della cronaca negli ultimi giorni grazie allo show (nessun'altra definizione è ammessa per la kermesse renziana) sul palco della Leopolda, è stata colpevolmente ignorata per mesi anche dalle cronache locali. Fatta qualche debita eccezione, compresa questa testata che non aveva lesinato critiche motivate già al momento della candidatura della giovin fanciulla a sindaco di Platì, in pochi si erano accorti di lei prima dello "spettacolo" spacciato per politica inscenato lo scorso weekend in terra toscana. A dire la verità, della sua presenza non avevano avuto contezza nemmeno gli elettori reggini che le riservarono un trattamento poco invidiabile in occasione delle elezioni amministrative dell'ottobre dello scorso anno. Resta comunque il fatto che anche i cronisti calabresi hanno finalmente iniziato ad incuriosirsi per le scorribande dell'ambiziosa ragazzotta e la Testata Giornalistica Regionale della Calabria ha pensato bene di inviare a Platì un suo giornalista con lo scopo dichiarato di conoscerla meglio, lei che, fino al momento, è più nota per i selfie con i big, o presunti tali, del PD regionale, nazionale, europeo, mondiale, intergalattico. Dopo un'introduzione del cronista che presenta la situazione disastrata del paesino della Locride il cui Consiglio Comunale è stato ripetutamente sciolto per le infiltrazioni della 'ndrangheta nelle attività del'ente, l'attenzione si focalizza tutta sulla trentenne reggina che, evidentemente insoddisfatta dall'attività politica sui social network, si è fiondata sulla preda rappresentata dalla visibilità riservata da una discesa in campo mediatica e non ha perso l'occasione di rimanere sul proscenio per un tempo superiore al quarto d'ora di celebrità da riservare a chiunque. La rappresentante democrat ha prima sciorinato il programma elettorale, strepitoso monumento alla banalità, suddiviso in cinque punti: acqua, lotta alla disoccupazione (?!), viabilità, raccolta differenziata, riqualificazione del centro storico. Poi, messa la parola fine al libro dei sogni, il servizio giornalistico si è dovuto concentrare, suo malgrado, sulla figura di Antonio, descritto dallo stesso inviato come un sostenitore della Leonardi che lo ha seguito come un ombra. Un personaggio che, di lì a poco, come documentano le immagini e l'audio, non mancherà di farsi notare. In particolare, l'asfissiante marcatura a uomo nei confronti del giornalista si concretizza in tutta la sua sconcertante inopportunità quando il cronista prova ad abbozzare qualche domanda a Maria Grazia Messineo, dirigente del Partito Democratico di Siderno che, al motto di "Platì ai platiesi", ha manifestato la propria contrarietà alla candidatura della "compagna" forestiera. Antonio, ci fa sapere l'inviato, ha uno zio in carcere, e, a microfoni spenti, informa l'intervistatore che "A Platì decido io chi parla e chi no"  e, quindi, "raccomanda caldamente" al cronista di non rivolgersi alla rivale della beniamina. Un atteggiamento che non poteva non intimidire Maria Grazia Messineo, limitatasi a dire che, sentendosi "pressata" da quella situazione e da quella presenza, non sarebbe stato opportuno proseguire l'incontro utile per meglio spiegare la sua posizione.. Momenti di tensione accompagnati anche da un acceso scambio di battute con l'inviato de "Il Fatto Quotidiano" rimproverato da Antonio: "Non si un pupazzo. Domani - lo ha avvisato - non scriviri cazzati 'ndo giornali". Parole e comportamenti minacciosi che hanno costretto Anna Rita Leonardi ad intervenire mettendo una mano sulla bocca del suo affezionato supporter. Finalmente, sia pur con notevoli sforzi, le due rappresentanti democrat, si sono confrontate esprimendo brevemente le ragioni del loro contrasto. Per una adamantina campionessa della democrazia come Anna Rita Leonardi, così almeno la meschina propaganda da strapazzo ce la propina, il servizio giornalistico del TG3 Calabria andato in onda nell'edizione delle 14:00 del 16 dicembre e visibile dal minuto 4:18 del link consultabile qui, si è rivelato una buccia di banana: accidenti che capitano quando ci si confronta con la realtà abbandonando la bolla virtuale. 

Onoriamo i veri eroi bonificando la giungla della fasulla anti 'ndrangheta

Era ora che qualcuno, a livello istituzionale, aprisse gli occhi e smettesse di voltarsi dall'altra parte davanti allo scandalo della corruzione delle anime e delle menti che i "professionisti dell'antimafia" allestiscono con una spregiudicatezza pari solo all'omertà di chi intuisce e tace. La Commissione parlamentare antimafia, infatti, ha deciso di aprire uno squarcio definitivo sulla gestione di associazioni e fondazioni che si sono rivelate un perfetto trampolino di lancio per personaggi senza arte né parte, arricchitisi di denaro e popolarità ingiustificata. L'azione di pulizia deve, però, essere, radicale. Non limitarsi a raccogliere nella rete i "pesci piccoli" per esibire risultati di fronte all'opinione pubblica, troppo spesso pigra nell'esaltazione di sedicenti star della lotta alla criminalità organizzata. In questo calderone della vergogna, è bene che gli inquilini di Palazzo San Macuto lo abbiano ben chiaro fin dai primi passi, si affollano in tanti: giornalisti, politici, parenti di vittime, istituzioni laiche e religiose, magistrati, sì, anche magistrati talmente impegnati nell'attività di divulgazione del nulla da dimenticare di avere un ufficio dotato di sedia, scrivania e faldoni su cui sgobbare per mettersi concretamente di traverso alle scorribande criminali di mafia, camorra e 'ndrangheta. Autentici truffatori della buona fede di un popolo pigramente inginocchiato al cospetto del sacro furore del simbolismo. Non c'è bisogno di ricordare in questa occasione quale sia stata la sorte in vita di Giovanni Falcone o di Paolo Borsellino, osteggiati con uno stillicidio di parole velenose ed atti paralizzanti da quegli stessi colleghi che, una volta defunti, li hanno sistemati come santini sulle rispettive scrivanie. Deturpare la nobiltà della eterna lotta tra il bene ed il male, tra la vita e la morte, per meschini interessi affaristici è, prima ancora che un'azione disdicevole, una disposizione d'animo criminale. Solo il ridicolo autocompiacimento del politico medio disegnato dalle dinamiche moderne è pari all'insulsa autoreferenzialità di falsi profeti che si dimenano tra un convegno ricco di tartine quanto vuoto di contenuti ed una patetica "iniziativa con le scuole". Perché l'operazione riesca a determinare un mutamento sostanziale nella percezione e nel giudizio nei confronti di questa categoria di sciacalli è assolutamente indispensabile, però, che la stessa Commissione parlamentare antimafia si svincoli da legami con soggetti che, senza né arte né parte, si sono insinuati nelle maglie larghe delle consulenze elargite in assenza di meriti di qualsivoglia natura. Il rischio, altrimenti, è che affidandosi a corrucciati "esperti" in cerca d'autore, in Calabria come in Campania e Sicilia si formi una casta altrettanto pericolosa, formata da quella medesima categoria di avvoltoi del web, della toga o del buonismo associativo, oggetto, nelle intenzioni dei componenti dell'organismo di Palazzo San Macuto, di una radicale azione di pulizia. Consegnarsi alla schiera di millantatori che si aggirano famelici, carichi di ignoranza e furbizia, nelle redazioni dei giornali o nei Palazzi di Giustizia, sarebbe, infatti, il definitivo inchino alla menzogna creata ad arte da quel corto circuito mediatico-giudiziario che da decenni assassina la possibilità di combattere, per davvero, le organizzazioni criminali.  

Burrone ci ricasca: quando l'ostentazione comunista fa a pugni con il buongusto

Vero è che grande è la confusione sotto il cielo della politica: il livello rasoterra di gran parte dei suoi attori, del resto, non lascerebbe immaginare nulla di diverso rispetto ad uno scenario desolante che, inevitabilmente, fa tornare alla memoria con una punta di nostalgia ai giganti del passato. Rimanere stupefatti di fronte alle"prodezze" di qualcuno dei portabandiera del "nuovismo" è, quindi, impresa ardua. Qualcuno, però, riesce a superarsi ed a provocare quella candida meraviglia tipica dei bambini quando spalancano gli occhi di fronte a qualcosa che è per loro incomprensibile. Onestà intellettuale, infatti, vuole che si ammetta, senza remore, la assoluta impreparazione "culturale", da parte nostra, nel capire il senso ed il significato di un comunicato arrivato in un pigro pomeriggio di lunedì incastonato fra due giorni festivi. Mittente l'ufficio stampa del Comune di Reggio Calabria, dunque un indirizzo istituzionale, che trasmetteva in allegato una nota di Filippo Burrone, consigliere comunale eletto in una di quelle liste civiche che di civico nulla hanno, ma servono ad ampliare il bacino degli aspiranti "poltronisti". E' lui stesso, infatti, a non aver mai fatto mistero della sua legittima ed apprezzabile fede comunista e si tratta del  medesimo rappresentante della maggioranza di Palazzo San Giorgio finito nella bufera a metà giugno per un post su Facebook in cui con invidiabile sobrietà scriveva: "Fascistelli assoldati che si propongono a salvatori della città, leccaculo e schiavi di un impero caduto sotto i disastri da esso stesso causati, prezzolati e tenuti dalle palle da una misera prebenda che fu, topi di fogna indegni persino dimettere il naso fuori di casa, iene che hanno banchettato sulle carogne lasciategli dal loro padrone, frammenti di uomini che solo un nefasto decennio ha tolto dall’anonimato. NO PASARAN". Ciò espresso, l'esponente di sinistra deve aver riflettuto a lungo in questi mesi perché, denotando la sagace capacità di analisi politica mostrata sul social network e forte della difesa a spada tratta concessagli allora dal sindaco Giuseppe Falcomatà, ha voluto dare ancora prova della sua "sottile" competenza nell'osservazione delle dinamiche della politica. Impossibile, allora, per un fine commentatore farsi sfuggire l'occasione rappresentata dall'acceso confronto interno a Forza Italia Calabria esploso nel weekend a suon di dichiarazioni taglienti e richieste di commissariamenti e dimissioni. Tutti i maggiorenti del movimento berlusconiano in trincea per difendere le proprie posizioni ed il buon Burrone non poteva non lanciarsi a peso morto sul piatto della polemica. Qualcuno, più avveduto di noi, potrebbe anche domandarsi: ma che c'entra lui con le ripicche dei "reazionari e liberisti" di Forza Italia? Domanda legittima, certo, ma dando una rapida occhiata alle parole che a Palazzo Grazioli attendevano con ansia per sbrogliare l'intricata matassa calabrese, è apparso tutto più chiaro. Una sequela di insulti, senza né capo né coda, che suonano ancora più sinistri perché partiti, come scritto in precedenza da un mittente istituzionale. "Quello che sta avvenendo dentro Forza Italia - Burrone dixit - è una pantomima degna della peggiore tra le rappresentazioni circensi. Peccato che però a farne le spese siano i calabresi. O meglio quei pochi coraggiosi che hanno deciso di affidare il loro consenso a lor signori, che adesso fanno a gara a spartirsi i pezzettini di una torta che però, nel frattempo, si è trasformata in un pasticcino secco". Piombato sul delizioso bocconcino, non può più arrestare la sua verve e chiama in causa i membri di Forza Italia in Consiglio Comunale che, si badi bene, in questa diatriba interna al partito 'azzurro', non hanno ruolo alcuno, visto che la disfida è giocata tutta sul terreno regionale. "A Reggio - ci fa sapere Filippo Burrone - abbiamo sorriso osservando la corsa dei consiglieri comunali di minoranza, tutti affannati a scendere dal cavallo stanco e zoppicante dello scopellitisimo, per ripararsi sotto il tendone circense ora abitato da nani, pagliacci e saltimbanchi. Così come ci siamo scandalizzati quando la stessa aula del Consiglio comunale si è trasformata nel teatro di una sorta di congresso cittadino di Forza Italia. La verità è che non si capisce più chi sta con chi. Ma si capisce perfettamente per che cosa. Poltrone, anzi poltroncine, forse più corretto dire sedioline, pieghevoli ovviamente, e facilmente riposizionabili, da adagiare sul soppalco della politica in attesa di qualche piccola prebenda che, in tanti, in troppi forse, sperano che prima o poi potrebbe arrivare. I consiglieri della minoranza ci dicano: ora che non stanno più con Scopelliti, stanno con la Forza Italia dell'una o dell'altra parte? Parlano a titolo personale o sono emanazione di quella o quell'altra corrente? Evidentemente - ci chiarisce le idee il consigliere che probabilmente conosce qualche meandro nascosto dell'edificio del centrodestra che a noi è ignoto - qualcuno è rimasto disorientato dal fatto che alcuni di essi abbiano deciso di gettare la maschera, tradendo il mandato elettorale, in nome di posizionamenti politici, per nulla rispondenti allo spirito di servizio nei confronti dei cittadini che dovrebbe accompagnare il ruolo di qualsiasi amministratore pubblico". Ma l'opinionista di Facebook, tronfio e sicuro di sé, non ha niente da temere perché, forse rendendosi conto che magari la faccenda non lo riguarda, conclude divertito: "Mentre loro si affannano a cercare la maniglia giusta per aggrapparsi alla cordata vincente, o quella che sperano tale, la gente osserva divertita la rappresentazione circense, in attesa che qualcuno passi con i pop corn. E noi ci limitiamo a registrare la meschinità dei comportamenti, di personaggi che, a furia di continui cambi di casacca e salamelecchi incrociati, ormai non rappresentano più nulla se non se stessi, in attesa che le prossime tornate elettorali li spazzino via, definitivamente, dal panorama politico regionale e cittadino". 

 

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