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Comunali Serra. Azzardati protagonismi verso il precipizio della superbia

Mesi di estenuanti trattative, condite da incontri ristretti, riunioni allargate, da avanzate improvvise seguite da rapide ritirate improvvisate, fino al momento del ritorno al "via". E' questa, in sintesi, l'apparentemente intricata storia che ha avuto come epilogo la candidatura a sindaco di Jlenia Tucci per l'Asse Civico. Perché, a dispetto degli strateghi del giorno dopo, sarebbe il caso di ricordare ai distratti ed ai sonnacchiosi dormienti che anche i resti della Certosa sopravvissuti al terremoto del 1783 erano informati da settimane circa lo sbocco naturale del progetto politico-amministrativo concepito da Nazzareno Salerno e Michele Ciconte. Un'idea nata con un guizzo d'ingegno, ma che lungo il percorso è stata segnata da mille errori, politici e psicologici. Tutti con un'unica matrice: aver concesso margini di manovra ad interlocutori che, accomodatisi con le lustrine del rinnovamento in bella mostra, in realtà custodivano in tasca l'arma del personalismo più deleterio. Tempo perso inutilmente, da una parte e dall'altra del tavolo, perché, se è vero che il consigliere regionale è stato obbligato a ritardare l'annuncio pur di individuare un punto di sintesi con tutti i potenziali partner, è altrettanto evidente che la tattica ottusamente dilatoria e centrata sui propri specifici interessi coltivati dalla controparte ha portato acqua al mulino censoriano: la scorciatoia perfetta per raggiungere l'eterogenesi dei fini. D'altra parte, perseguendo con realismo un allargamento alla società civile del troppo angusto perimetro di partito, quale obiezione avrebbe potuto incontrare la figura di Jlenia Tucci? Volendo voltare pagina rispetto all'inazione dell'Amministrazione Rosi, era per certi versi un passaggio obbligato offrire all'elettorato il volto di una giovane professionista non adusa ai giochini della politica di basso conio. Ovvio che ciò costituisca anche un rischio, perché dinamiche, linguaggio e comportamenti quotidiani tipici del Palazzo, di ogni Palazzo, sono altra merce rispetto ai riti ordinari vissuti da chi non abita quel mondo. A giudicare, però, dall'affollamento claustrofobico di sedicenti autocandidati alla carica di Primo Cittadino, ed a dispetto del vento dell'antipolitica che soffia impetuoso in ogni angolo d'Europa, sembra siano in tanti nei luoghi cari a San Bruno a voler sbarcare su quel pianeta, a parole e solo a parole, detestato e considerato pieno di immondi marziani. Serra, infatti, in questo frangente, ha rappresentato e rappresenta tuttora, un "unicum", un caso da studiare, sia nel bene che nel male. Partendo dall'assunto che una cittadina con meno di 7000 abitanti ha avuto ed ha la forza di esprimere contemporaneamente un deputato della Repubblica italiana ed un consigliere regionale, non si può non prendere atto che ciò testimonia una vitalità di cui andare fieri. Lo si voglia o no, è una felice anomalia che testimonia quanto la Politica faccia parte del bagaglio storico-culturale della comunità. Questa particolare condizione, tuttavia, deve aver iniettato nelle vene di troppi il siero della vanità mixato con il veleno dell'autoreferenzialità. Contando il numero di virtuali partecipanti alla fiera del "Miglior sindaco possibile", neanche a Roma in questo momento si concentra una tale densità di giovani rampolli, convinti, non è ancora chiaro in base a cosa, di essere gli uomini o le donne del destino. Naturalmente, la partecipazione democratica merita di essere incoraggiata e, sotto questo punto di vista, la presenza di due big come Censore e Salerno potrebbe anche costituire un freno, anche inconscio, capace di bloccare ambizioni e la formazione di nuovi soggetti politici. Ma il rischio è che una situazione del genere contribuisca solo a costruire massicci alibi dietro cui nascondersi per celare intrinseche debolezze. Onestà intellettuale vorrebbe che il disegno di un modo alternativo di esercitarsi nella gestione della "cosa pubblica" partisse da lontano. Anni di reale ascolto del territorio, anni di lavoro in mezzo al popolo, anni di studio delle esigenze e dei problemi, per approdare infine ad una visione organica da pesare sulla bilancia del voto popolare. Troppo facile vantare ingiustificati "diritti dinastici", senza lo straccio di un voto personale; troppo semplice immaginare che nella mal interpretata difficoltà contingente dei "politici", essi altro ruolo non possano occupare se non quello di portatori della borraccia da cui abbeverarsi fino allo striscione del traguardo da raggiungere comodamente a bordo di una carrozza trainata da cavalli sellati col consenso accumulato nel tempo dai tanto vituperati esponenti della "casta munita di tessera". Magari evitando, lungo la corsa verso il precipizio dell'arroganza mal riposta, di imporre le proprie misere brame su altre tavole, purché già ben imbandite. 

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